Ho letto un intervento di Carlo de Cesare, diacono della diocesi di Napoli, sul tema "Due Sacramenti di servizio: Matrimonio e Ordine; e modalità di vita nell'ambito del Sacramento dell'Ordine", dove si affronta il discorso sul diaconato uxorato nella Chiesa Latina.
Dopo aver illustrato la figura del ministro ordinato nel suo stato di vita e nella propria Chiesa di appartenenza, si affronta il discorso sul diacono sposato e lavoratore nella sua disponibilità di tempo per il ministero, e vi si legge tra l'altro:
«[…] I due Sacramenti non sono in concorrenza tra di loro. È possibile che una scelta escluda l'altra, ma nell'Ordine e nel Matrimonio la convivenza è possibile perché il celibato per i presbiteri nella Chiesa Romana e Ambrosiana è una prassi disciplinare, non teologica. L'incompatibilità esiste tra chi emette voti solenni di castità, povertà e obbedienza, ma questa consacrazione non è un Sacramento.
E non c'e neanche alcuna ragione di creare primazie o subordinazioni tra i Sacramenti dell'Ordine e del Matrimonio.
"Prima viene la famiglia, poi il lavoro, e solo dopo il ministero?". La vita di un ministro non può essere segmentata, parcellizzata e gerarchizzata in questo modo.
Questo modo di pensare, nell'ipotesi in cui si dovesse veramente verificare, obbligherebbe sia il singolo che tutto il collegio Diaconale ad uniformarsi al basso, al minimo dell'impegno, e questo sarebbe francamente avvilente.
La vita diaconale sposata è una vita di diaconia di coppia. Non può non essere così. […]
Noi diaconi uxorati viviamo una realtà sui generis, in senso letterale: di un genere e una specie propria che non è dei diaconi celibi, non è dei diaconi inseriti in un ordine religioso…
I due sacramenti, quindi, non si sommano, ma si fondono in noi in una nuova ed unica ontologia, che è quella del "diacono uxorato". […]
Bisogna quindi "impegnare" il diacono sposato in maniera consona alla sua vocazione e al suo stato di marito, padre e lavoratore.
Un professionista, un funzionario, un artigiano, un lavoratore coscienzioso e attento ai principi evangelici, di mattina al lavoro con responsabilità ed impegno, non può essere messo il pomeriggio a fare il sacrista o solamente a intonare il Rosario per gli anziani. Per questo basta un laico di buona volontà. Anche l'utilizzo del diacono per coprire esigenze quasi esclusivamente liturgiche non è adatto. Se ci sono la Via Crucis o impegni devozionali di routine in Parrocchia, non si chiama il diacono per lasciare qualche ora libera al parroco, e comunque non lo si ordina per affidargli quasi esclusivamente cose di questo genere.
[…]
Diventa necessario che il Vescovo, nella preparazione dei candidati al diaconato, chiarisca che la vita diaconale di una persona sposata ha bisogno anche di tempi particolari da dedicare al servizio del ministero. Ci sono particolari attività lavorative che non permettono spazi di attività extra, il Vescovo valuterà attentamente se è il caso di ordinare queste persone.
Dopo l'ordinazione, il mandato sia chiaro anche per il carico temporale dell'impegno.
Penso sia necessario che sia il Vescovo sia l'ordinando sappiano a quale impegno si vada incontro e ognuno delle parti faccia le dovute valutazioni.
Si va comodamente in Paradiso anche da laici, non c'e bisogno di rifugiarsi in un Sacramento che prevede un impegno di cuore e di orologio. Il "servizio", che il diacono può dare alla comunità cristiana, impegna tempo ed energie. […]».
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