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giovedì 9 giugno 2016

Intervista sul diaconato a
 Mons. Carlo Mazza, Vescovo di Fidenza


Riprendo le interviste ai vescovi delle diocesi italiane sul diaconato permanente e i diaconi delle loro diocesi, pubblicate nella rivista L'Amico del Clero della F.A.C.I. (Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia).
Le interviste sono curate da Michele Bennardo.

Michele Bennardo, diacono permanente della diocesi di Susa, ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense. È professore di religione cattolica nella scuola pubblica e docente di Didattica delle competenze e di Didattica dell'Insegnamento della Religione Cattolica e Legislazione scolastica all'ISSR della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Sezione parallela di Torino. È autore di numerosi testi e articoli e dal 2005 collabora con L'Amico del Clero.

Ho riportato le varie interviste nel mio sito di testi e documenti.

Nel numero 4 (aprile 2016) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Carlo Mazza, Vescovo di Fidenza.

Alla domanda "Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?", mons. Mazza ha risposto: «È necessaria una lenta acquisizione "mentale". Il cammino si presenta lungo, almeno per comprendere il "grado" del ministero diaconale, nella sua specificità teologica e pastorale, molto specifico e da sperimentare. I preti pian piano entrano in questa prospettiva, anche se rimane alta la fatica, la diffidenza, la distanza. In realtà si tratta di un problema di cultura teologico-pastorale, di mentalità, forse anche di "potere" clericale mai dismesso. Non vi è certamente contrapposizione (di classe!), ma inidoneità di funzioni o non flessibilità di integrazione dei servizi ministeriali. Alla fine prevarrà, se non la virtù, la necessità: i preti si diradano e dunque i diaconi sopperiscono!».

E alla domanda "Quale tra i classici compiti diaconali (carità, catechesi/ evangelizzazione e liturgia) le sembra necessiti di maggior valorizzazione rispetto a quanto avviene oggi nella diocesi di Fidenza?", ha risposto: «Il diaconato permanente uscito dal Concilio Vaticano II deve ancora "assorbire" l'ecclesiologia conciliare di comunione e missione. I modelli della Chiesa antica sono fascinosi e certamente imitabili, soprattutto sul versante della "testimonianza della carità". E tuttavia la Chiesa ha bisogno di altro, nel senso che oggi il quadro di riferimento "pastorale" è quello tracciato da Papa Francesco nell'Evangelii Gaudium, cioè di una Chiesa missionaria, aperta al mondo, serva dei poveri, dialogante in modo inclusivo con tutti, capace di educare alla preghiera, alla "via mistica". Il diacono permanente, forse più libero dallo "schema" clericale, può essere il "nuovo segno" in mezzo al popolo di Dio e nella società secolare. Siamo impegnati per una Chiesa inviata nelle "periferie esistenziali" presenti sul territorio e significativamente bisognose di compagnia, di consolazione, di speranza. I diaconi comprendono che la loro vocazione-missione non si esaurisce nel pur nobile servizio all'altare, ma sentono che devono "sporcarsi le mani" nel visitare e abitare persone e ambienti di umanità varia e dispersa. Così il diacono che verrà, dovrà essere "sentinella" nelle frontiere dell'umano per recare la "buona notizia" della salvezza».
Vai all'intervista…


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