Nel fare memoria della festa odierna di san Lorenzo, riporto l'ultima parte di una bozza di articolo che avevo preparato per il mensile diocesano "Ecclesia in cammino" della diocesi di Velletri Segni (RM); articolo non andato in stampa per un cambio di programmazione.
L'intero articolo è riportato nel mio sito di testi e documenti (vai al testo…).
Ecco la parte conclusiva:
[…]
La testimonianza della vita e del martirio di san Lorenzo è per noi di grande attualità e fonte di luce per una maggior comprensione del ministero diaconale, ripristinato nella sua forma permanente dal Concilio Vaticano II.
Tale attualità si può peraltro riscontrare anche nei vari discorsi che si sono tenuti in occasione del Giubileo dei diaconi del 2000, al quale ho potuto partecipare. Uno di questi interventi è stato quello di mons. Moraglia. Cercherò qui di riportare alcuni appunti di quel discorso.
Se la caratteristica principale che identifica il diacono, in sé, e nel suo ministero è essere ordinato per il servizio della carità, allora la "martyria", la testimonianza fino all'effusione del sangue, va considerata come espressione di un amore-carità più grande, ossia il servizio di una carità che non conosce limiti. Il ministero della carità a cui il diacono viene deputato attraverso l'ordinazione non si ferma, quindi, al servizio delle mense o genericamente alle così dette opere di misericordia corporali o spirituali, piuttosto il servizio diaconale della carità deve pervenire, nell'incondizionata consegna di sé, fino all'imitazione di Cristo, il testimone fedele per antonomasia (Cfr, Ap 1,5; 3,14). Nel caso di san Lorenzo, spiega sant'Ambrogio, nessun desiderio lo spingeva se non quello di immolarsi per il Signore; così, attraverso la testimonianza data innanzi ai suoi persecutori, è evidente che l'esercizio del ministero diaconale qui non si identifica col servizio al prossimo ridotto alle sole necessità materiali. Poiché proprio in quel gesto che esprime un amore più grande per Cristo e che porta a donare la vita, Lorenzo fa in modo che anche i suoi carnefici possano, in senso reale, fare una qual esperienza di Cristo che, alla fine, è il destino personale e comune di ogni uomo: questo è il servizio teologico della carità a cui ogni diacono deve tendere o, almeno, rimanere disponibile. Ciò non significa che il diacono nel suo ministero esaurisca la testimonianza della carità che è, e rimane sempre, vocazione e missione di tutta la Chiesa; piuttosto si intende affermare che, in forza dell'ordinazione, il diacono porta in sé, in modo sacramentale-specifico, la "forma Christi'" per il servizio della carità; vale a dire un "esercizio ministeriale" della carità che si attua nei confronti di Cristo e dei fratelli e che può giungere a richiedere anche il dono di sé, fino al sacrificio della vita.
Il diacono poi si presenta come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, vive la "comunione ecclesiale" attraverso un servizio specifico proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad essa.
Questa è l'altra caratteristica che si evince dal colloquio tra Sisto e Lorenzo presso il cimitero di Callisto. Il dialogo pone in evidenza come proprio nel legame sacramentale che unisce il diacono al vescovo, il diacono appare "uomo della comunione" proprio attraverso il servizio specifico al vescovo; servizio che si realizza concretamente nel fedele adempimento di ciò che il vescovo richiede al suo diacono secondo le necessità e le urgenze ecclesiali.
L'incontro tra papa Sisto e il diacono Lorenzo ci invita a riscoprire nel cuore della Istituzione-Chiesa, sempre indispensabile, e delle strutture ecclesiali, parimenti necessarie, la realtà viva e vivificante della grazia che le anima e, insieme, ci invita a riscoprire il legame teologico che le vincola a Cristo, unico, vero Episcopo, Presbitero e Diacono.
Nella sua testimonianza, sant'Ambrogio ci presenta ancora Lorenzo come colui che, in forza del sacramento ricevuto, è pienamente dedito al servizio della carità in una situazione concreta: la Roma imperiale del terzo secolo, mentre infuria la persecuzione; e, in tale congiuntura, Lorenzo è chiamato a porre, dinanzi alla comunità ecclesiale e al mondo, gesti concreti destinati a trasformarsi in altrettanti segni dell'Amore-Carità di Dio, ossia di quella Carità da cui ogni cosa proviene e verso cui è incamminata. E proprio in tale servizio, il diacono esprime il ministero più tipico della sua diaconia che consiste, appunto, nel servizio della carità compiuto in forza del mandato sacramentale.
Lorenzo, prima di morire, in spirito di servizio ed obbedienza al suo vescovo, per l'ultima volta amministrerà i beni della Chiesa, Sposa di Cristo, con un gesto che dice come nella Chiesa tutto è finalizzato e assume valore a partire dal servizio della carità.
A chi guarda da lontano, in modo approssimativo, questo gesto può sembrare legato esclusivamente alle necessità materiali (si tratta, infatti, solamente della distribuzione di beni materiali a dei poveri). In realtà, l'atto che Lorenzo compie, in spirito di fedeltà alla consegna ricevuta dal vescovo e al ministero ecclesiale in cui è costituito, è un atto che lo proietta e con lui proietta tutta la Chiesa - affidatagli fino al momento del martirio -, oltre la storia, nel "tempo" e nello "spazio" in cui Dio manifesta la pienezza della sua carità e del suo amore.
Così il diacono Lorenzo, ministro ordinato della carità, porta a termine il compito che aveva ricevuto, non solo in quanto segue il suo vescovo nel martirio ma perché attraverso il gesto col quale dona ai poveri tutte le risorse della comunità - qui espresse dai beni materiali -, manifesta come nella Chiesa, ogni cosa abbia valore se è orienta alla carità, se diventa servizio alla carità, se può trasformarsi in carità.
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