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martedì 26 aprile 2011

Chiara, mia moglie


In occasione del 20° anniversario della mia ordinazione diaconale (di cui ho scritto qualcosa nei post precedenti) ho chiesto a mia moglie Chiara di esprimere cos'è per lei questa nostra "avventura".

Tornare con la mente a quella sera del 1991 non è uno sforzo della memoria, ma la gioia di rivedere il fiorire di un disegno di Dio per la nostra realtà familiare.
Nel momento dell'imposizioni delle mani del vescovo su Luigi la mia preghiera che saliva al Padre è stata: "Tutto quello che non capisco ancora, tutto quello che mi rende incapace di fare quello che dovrò fare, Tu lo sai, e solo Tu indirizzami in modo che io possa riuscire a fare contento Te e Luigi ".

Ritornare con la mente a quei momenti e alla strada di vita fatta sino ad ora, mi fa vedere il mio e nostro disegno nel pensiero di Dio da sempre. Ancora diciottenne, quando le amicizie che avevo, belle, hanno cominciato a dissolversi per il naturale evolversi del vivere umano, mi sono ritrovata a chiedere a Dio cosa dovevo fare della mia vita: "Sento la vocazione alla famiglia", Gli ho detto. "Ma solo se mi dai la possibilità di avere una BELLA famiglia, perché Tu sai cosa vuol dire Bella mentre io no; ma se il Tuo desiderio su di me è un altro, fammi avere una fede così solida da non desiderare niente di diverso".
Eccomi qui a ringraziare Dio di essere sempre presente nella mia vita. Certamente fatta di alti e bassi; di slanci e di battute d'arresto, ma pur sempre riconoscente per il Suo amore per me. Nella richiesta di avere una bella famiglia non era contemplata la realtà diaconale, perché non sapevo ancora cosa fosse; ma Dio sì!
La moglie del diacono. In questi anni ho sentito varie versioni riguardo all'identificarne la figura. C'è chi la pensa un limite alla libertà d'azione del marito, c'è chi la paragona alla moglie di un medico o di un militare, perché uomini sempre pronti in prima linea e sempre fuori casa; c'è chi la vorrebbe diaconessa così da togliere, una volta per tutte, il problema.
Mi guardo e vedo una donna che, partecipando intimamente alla chiamata di Dio del marito, decide LIBERAMENTE e TOTALITARIAMENTE, con il suo Sì a Dio, di seguire la volontà di Dio sul marito, sapendo di "perderlo", nel senso umano del termine. Iniziano ad esserci delle priorità nelle decisioni e bisogna essere pronte a posporre, ma non per partito preso.
È una donna che decide di anteporre le realtà del marito ai propri desideri sicura di ricevere un di più, perché è un ridonare a Dio il dono ricevuto, ma con l'aggiunta di altre vite: la mia e quella dei nostri figli. Però c'è una cosa che sento dover essere sempre presente nella mia vita: la realtà che Dio mi ha offerto come dono va costantemente alimentata da un rapporto personale, solido, d'anima, tra moglie e marito che non dovrebbe mai assopirsi, come invece talvolta accade, pena lo sterile attivismo del marito e l'insoddisfazione e incomprensione sempre più profonda della moglie. Ho sempre sentito di non dover accettare passivamente una decisione, anche santa, di mio marito, proprio per il fatto che con il matrimonio la realtà è quella di due che diventano uno e in questa unità prende forma e si concretizza la realtà del diaconato.
Alle volte mi sembra un controsenso che venga chiesto il consenso della moglie per il raggiungimento dell'ordinazione al diaconato del marito e una volta ricevuto il sacramento la figura della moglie sia esteriormente quasi sopportata, come se quell'accettazione fosse una semplice formalità: se così fosse, sarebbe svuotata del suo unico e vero significato.
Perciò la luce non va nascosta, va alimentata, va fortificata soprattutto nell'essere.
Mi viene alla mente la figura di Maria. Come deve essersi sentita giudicata, nella società di allora – ma per certi versi non molto distante dall'odierna –, nel momento in qui non era più possibile nascondere la gravidanza: sguardi indiscreti, bisbigli, atteggiamenti scortesi. Ma la vedo nel suo incedere fiero, cosciente del suo sì a Dio, mai distolta dal chiasso circostante, il suo seguire passo passo Gesù fino a ritrovarsi con Lui sotto la croce e rivederlo poi risorto. Ecco a chi deve guardare la moglie del diacono: a Maria. Alla sua forza, ma anche all'accettazione di qualcosa che non c'era nei suoi pensieri: "com'è possibile? Non conosco uomo" o "donna, ecco tuo figlio" o "Figlio, perché ci hai fatto questo?". All'austerità di Maria, ma anche alla sua previdenza "non hanno più vino", alla sua fedeltà a quel sì iniziale!
Chiara Vidoni


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