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giovedì 12 giugno 2008

Come servire la Parola


Come servire la Parola in modo che questo "servire" non sia sterile e porti i suoi frutti?
È un interrogativo che spesso mi rivolgo. Non so darmi altra risposta se non quella che mi viene dal personale rapporto col Signore Gesù, Parola incarnata del Padre.
Mi chiedo: sono anch'io parola incarnata, parola nella Parola? Il mio dire è la mia vita, il mio modo di pensare, di agire?

Ho ripreso l'editoriale dell'ultimo numero della Rivista "il diaconato in Italia" (nr. 149) di don Giuseppe Bellia dal titolo appunto "Come servire la Parola".
Ne riporto alcuni passi che mi hanno fatto capire che il mio servire la Parola, perché sia segno profetico, deve innestarsi nel mio vissuto quotidiano e dare senso e colore all'esistenza ed alla testimonianza.

"Servire la parola" è affermazione risaputa e molto vociata in certi ambienti ecclesiali. La messa in opera è però così rara che si dura fatica a comprenderne sapienza e praticabilità; in ogni caso il servizio reso alla parola di Dio non sembra più legato all'azione profetica che connatura il mistero del Logos divenuto carne. Stessa sorte tocca anche alla "diaconia della parola", espressione carica di senso biblico e ministeriale che rischia di essere soltanto descrittiva di una prassi cultuale dove, di fatto, poche possibilità di presenza o irruzione sono assegnate alla gratuita e indisponibile opera della profezia.
Per servire la parola bastano poche cose… mai nessuno è stato raggiunto e convertito da esibizioni di forza e di potenza o da ostentazioni di grandezza e di magnificenza. I discepoli di Emmaus, carichi di conoscenza "carnale" del rabbi galileo e appesantiti da speranze generate da ingannevoli interpretazioni della Scrittura - aspettavano un'azione liberatrice di rivalsa da colui che era stato «potente in opere» - non avevano occhi per riconoscere il Risorto dai morti che conversava con loro lungo la via, mentre il ladrone pentito, nel liberatore fallito della croce ha saputo vedere il Signore della gloria. Credere è la sola opera richiesta dal Maestro (Gv 6,26) che apre gli occhi del cuore alla comprensione delle Scritture e "servire la Parola" è mediazione priva di valenza testimoniale che trattiene la forza della profezia se non è accompagnata dalla fede di vuole essere servo della Parola.
Servire la Parola significa rendere oggi visibile e udibile lo Spirito che parla nelle sacre Scritture portandole a compimento.
Nel solco dell'incarnazione… la "diaconia della Parola" diviene il segno della profezia di cui i diaconi sono strumento di mediazione storica oltre che sacramentale.

Con occhi e cuore nuovi mi appaiono le parole del profeta Geremia: "Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti" (Ger. 15,16).

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