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lunedì 16 febbraio 2015

Il colore della mia città


Un articolo del periodico Città Nuova (n. 1/2 2015), di Tanino Minuta (amico che seguo nelle sue pubblicazioni e con vero piacere nel suo blog In... visibile), mi ha fatto riflettere sul modo di rapportarmi con le persone che quotidianamente incontro al supermercato e fuori della porta della chiesa che chiedono l'elemosina o cercano di vendermi qualcosa.
Ecco l'articolo:

Il colore della mia città
Qualunque sia la provenienza di chi ti capita d'incontrare per strada, il rispetto reciproco è una condizione immutabile.


«Nel piccolo centro del Lazio, dove vivo, incontro ogni giorno giovani di Paesi non europei che vendono borse "firmate", cd, calzini, cinture... Cercano di succhiare linfa dalla nostra "opulenza". Un giorno mi ha stupito un ragazzo dall'aria indiana che invece di vendere rose distribuiva dépliant di propaganda. Stava mettendo in ogni cassetta postale la sua pubblicità. Proveniva dal Bangladesh e lavorava per far venire in Italia altri fratelli. Questi del Bangladesh sono miti. Non impongono la loro merce, non sono falsi. Un altro, proveniente dall'Africa, s'era messo a raccontarmi di una figlioletta gravemente malata e bisognosa di cure urgenti. Vendeva calzini apparentemente buoni. Ne ho preso un pacco di tre paia. L'ho rivisto qualche giorno dopo. Stavolta diceva di non essere sposato: aveva dimenticato il copione che gli era stato necessario precedentemente. Ho risposto all'africano che i calzini erano tutti di misure diverse e difettosi: «Vedi, tu mi hai imbrogliato e io ho fatto girare la notizia tra quelli che conosco di non comprare nulla da te. Se tu fossi stato sincero, ti avrei aiutato...». Lui è scoppiato a piangere. Stavolta ferito nel suo orgoglio e anche perché, mentre gli parlavo, dei conoscenti si erano fermati ad ascoltare e a sostenermi. «Povera gente! - commentava un conoscente che aveva assistito alla scena - Ma non meno poveracci di quelli che ti imbrogliano sulla carne, su chi ruba sul cemento, su chi guadagna da un'impresa pubblica, su chi ti vende fiori che non durano».
A proposito di fiori, ricordo un fatto che m'era successo quando abitavo a Budapest. Una vecchietta all'uscita della metropolitana vendeva fiori. C'era la neve ed era già tarda sera. Vedendola intirizzita dal freddo, le ho detto che le avrei comprato tutti i fiori che aveva, così avrebbe potuto andare a casa. Saranno stati cinque-sei mazzetti di crisantemi. Al momento di chiedermi i soldi, mi sono accorto che lo aveva moltiplicato non per sei ma per dieci. Credevo di non aver capito bene. Lei mi ha ripetuto il prezzo. Avrei voluto aiutarla (anche perché quei fiori li avrei buttati), ma lei non ha capito il gesto e voleva per di più sfruttare la situazione. Con tanto dispiacere le ho dovuto dire che non avevo più bisogno di quei fiori. Al che ha cominciato a imprecare piena di rabbia. Mi sono allontanato amareggiato.
Strada facendo, m'è venuta in mente la parabola del Vangelo che racconta dell'invito alla festa. Siccome i veri invitati avevano delle scuse per non partecipare, sono stati chiamati tanti altri dalle strade. Fin allora non avevo capito come mai quelli che avevano fatto il favore di partecipare, ma non avevano il vestito della festa, fossero stati cacciati via. Quella sera la vecchietta, che preferiva morire di freddo pur di non desistere dalla sua avidità, mi ha fatto capire qual era "il vestito". Se un amore gratuito ti investe, devi saper rispondere con la stessa gratuità. Se non conosci questa legge, non è sorprendente che tu venga scartato».

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