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venerdì 21 febbraio 2014

Il vero compimento della Legge


7a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Nel Vangelo proposto per questa domenica (cf Mt 5,38-48), continua, in un vertiginoso crescendo, la riformulazione della legge di Mosè da parte di Gesù, affinché essa sia veramente compiuta. Se le prime antitesi («È stato detto... ma io vi dico») vertevano principalmente sul male da non fare al proprio prossimo, le ultime focalizzano la nostra attenzione su quello che possiamo subire e non dobbiamo restituire, culminando nel precetto dell'amore al nemico, unica vera via per evitare la vendetta e imitare lo stile di Dio.
È da intendere bene, però, le esortazioni di Gesù per evitare di confondere il cristianesimo con pura e semplice debolezza o incapacità di reagire.
Dalla legge del taglione, «occhio per occhio e dente per dente», ritenuta efficace nel contenere la vendetta, Gesù invita a passare a un altro atteggiamento: a non fronteggiare, cioè, il malvagio, a non affrontarlo con le sue stesse armi. Infatti, allo schiaffo sulla guancia destra, che fa pensare a un colpo inferto per insultare più che per usare violenza, Gesù invita a reagire offrendo anche l'altra guancia. Tuttavia, questa non semplice non-violenza, se pensiamo che Gesù stesso agirà diversamente, secondo quanto ci descrive Giovanni del suo vangelo, quando verrà colpito dagli attendenti del sommo sacerdote. Anzi, domanderà ragione dello schiaffo ricevuto: «Perché mi percuoti?»(Gv 18,23), lasciando intendere che il comportamento del discepolo di Gesù differisce dal comportamento della nonviolenza praticata, per esempio, da Gandhi. La non-violenza, ossia lasciarsi colpire senza reagire, non ha al suo interno un vero interesse per l'altro. Non ci importa veramente di chi ci colpisce, per cui ci comportiamo come se niente fosse. Porgere l'altra guancia significa, invece, costringere l'altro a riflettere su quanto ha appena compiuto, sfidandolo a ripetere, a freddo, lo stesso gesto che ha fatto, mosso dall'ira o da altro impulso. In altre parole, un cristiano è disposto a farsi colpire una seconda volta pur di interpellare il fratello perché comprenda il male che ha fatto e possa chiederne perdono. Porgere l'altra guancia, allora, è un'altissima provocazione: essa non lascia cadere né finge che nulla sia successo, ma piuttosto non si rassegna al brutale istinto dell'altro. L'amore vero al nemico è questo, non infischiarsene per paura o per quieto vivere.
Nella stessa direzione muovono gli altri due esempi, dove appunto non si tratta di cedere tutto quanto si possiede per porre fine a una contesa, ma di mostrare l'ingiustizia dell'altro che pretende quanto non deve avere: a chi porta in tribunale per avere la tunica, bisogna lasciare anche il mantello. Allo stesso modo, quando il più forte costringe a fare un miglio, nel momento in cui l'obbligo è stato assolto, la strada deve continuare perché in colui che pratica la costrizione sorga una domanda, si muova un interrogativo su quanto è appena stato estorto con la forza.
In questo senso dobbiamo intendere anche l'esortazione a dare e a concedere prestiti. Quando però il dare è il modo migliore per togliersi dai piedi chi domanda, allora siamo molto lontani dallo spirito del vangelo. A chi domanda bisogna dare. Ma sappiamo pure che il nostro Dio non concede spesso quanto chiediamo, perché domandiamo male. Sempre a chi bussa Dio apre. Ma non sempre è la porta giusta quella a cui stiamo battendo. Chi domanda, infatti, cosa chiede veramente? Solo qualche spicciolo o vera attenzione?
Così, l'amore al nemico non è il gesto eroico di chi considera l'altro come nemico e, per essere bravo, lo ama lo stesso. Ma consiste nel non considerare nemico chi ti considera tale, divenendo quindi possibile pregare per chi ci perseguita.
Ma noi sappiamo bene che nella nostra vita quotidiana, spesso, il prossimo e il nemico coincidano. È molto difficile essere perseguitati da chi non vediamo mai. Sono le persone con cui viviamo quelle che, da prossimo, si trasformano occasionalmente in nemico. Amare il prossimo e amare il nemico, in fondo, non sono due comandamenti così distanti. È la partecipazione allo stesso amore di Dio che non fa differenze quando fa piovere su giusti e su ingiusti. Questo è l'amore «perfetto» di Dio che non considera propri nemici coloro che lo ignorano o gli sono ostili.
Essere «perfetti, dunque, come il Padre», non è tanto un atteggiamento di irreprensibilità morale (perché siamo "perfetti" nel nostro comportamento), ma la "perfezione" di cui parla Gesù è il portare a «compimento» i dettami della Legge, Legge che Gesù non è venuto per abolire ma per portare, appunto, a compimento. La perfezione, quindi, è il compimento pieno della Legge nell'amore.
Perfezione che non è mai solo eliminazione dell'errore, ma è aggiunta di misericordia e perdono. È l'amore di Dio che si compie ed è «perfetto» solo sulla croce del Figlio di Dio, dove anche l'ultimo peccatore è stato raggiunto dall'abbraccio infinito del Padre. Solo allora tutto è veramente compiuto (Gv 19,30), tutto è veramente «perfetto».



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Siate perfetti come il Padre vostro celeste (Mt 5,48)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


2 commenti:

  1. La morale del discorso della montagna si fa sempre più concreta. Il mondo del nostro Dio è un mistero da accogliere. Sempre. Senza ma e però. Con il solo abbandono in suo Figlio. Che lo Spirito ci sostenga in questo cammino. Buona domenica!

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    Risposte
    1. Buona domenica anche a te, don Dino!
      E' proprio vero che seguire Gesù è un affidarsi completamente, oltre la nostra umana comprensione, un abbandonarsi all'abbraccio misericordioso del Padre. E' un "mistero", sì, non tanto perché non lo capisco pienamente, ma perché è il segno della presenza di Dio che mi avvolge, un amore che mi trascende... di fronte al quale non posso che lasciarmi afferrare!
      E' bello poter camminare insieme...

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