Rimeditando il discorso che papa Francesco ha rivolto ai partecipanti l'Assemblea Generale del Movimento dei Focolari il 26 settembre scorso, nella Sala Clementina, ho colto nelle "tre parole" che il Papa ha rivolto ai presenti e a tutti coloro che «in vari modi ne condividono lo spirito e gli ideali» («contemplare, uscire, fare scuola»), un programma serio e ricco di prospettive per il nostro impegno verso la Chiesa e l'umanità che siamo chiamati a servire.
È come una magna carta per vivere con frutto la nostra opera di evangelizzazione. Parole rivolte ad un gruppo particolare, ma essenziali per tutti.
«Innanzitutto, contemplare - dice il Papa. Oggi abbiamo più che mai bisogno di contemplare Dio e le meraviglie del suo amore, di dimorare in Lui, che in Gesù è venuto a porre la sua tenda in mezzo a noi, (cfr Gv 1,14). Contemplare significa inoltre vivere nella compagnia con i fratelli e le sorelle, spezzare con loro il Pane della comunione e della fraternità, varcare insieme la porta (cfr Gv 10,9) che ci introduce nel seno del Padre (cfr Gv 1,18), perché "la contemplazione che lascia fuori gli altri è un inganno" (Esort. ap. Evangelii gaudium, 281). È narcisismo.
Ispirata da Dio in risposta ai segni dei tempi, Chiara Lubich scriveva: "Ecco la grande attrattiva del tempo moderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo" (Scritti spirituali 1, 27). Per realizzare questo è necessario allargare la propria interiorità sulla misura di Gesù e del dono del suo Spirito, fare della contemplazione la condizione indispensabile per una presenza solidale e un'azione efficace, veramente libera e pura. […]».
La seconda parola, molto importante perché esprime il movimento dell'evangelizzazione, è uscire. Uscire come Gesù è uscito dal seno del Padre per annunciare la parola dell'amore a tutti, fino a donare tutto sé stesso sul legno della croce. Dobbiamo imparare da Lui, da Gesù, "questa dinamica dell'esodo e del dono, dell'uscire da sé, del camminare e seminare sempre di nuovo, sempre oltre" (Esort. ap. Evangelii gaudium, 222), per comunicare a tutti generosamente l'amore di Dio, con rispetto e come ci insegna il Vangelo: "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). Questo senso della gratuità: perché la Redenzione è stata fatta nella gratuità. Il perdono dei peccati non si può "pagare". Lo ha "pagato" Cristo una volta, per tutti! La gratuità della Redenzione, noi dobbiamo attuarla con i fratelli e le sorelle. Dare con gratuità, gratuitamente, quello che abbiamo ricevuto. E la gratuità va insieme alla creatività: le due vanno insieme.
Per fare questo, occorre diventare esperti in quell'arte che si chiama "dialogo" e che non s'impara a buon mercato. Non possiamo accontentarci di mezze misure, non possiamo indugiare, ma piuttosto, con l'aiuto di Dio, puntare in alto e allargare lo sguardo! E per far questo dobbiamo uscire con coraggio "verso di Lui fuori dall'accampamento, portando il suo disonore" (Eb 13,13). Egli ci aspetta nelle prove e nei gemiti dei nostri fratelli, nelle piaghe della società e negli interrogativi della cultura del nostro tempo. Fa male al cuore quando, davanti a una chiesa, a una umanità con tante ferite, ferite morali, ferite esistenziali, ferite di guerra, che sentiamo tutti i giorni, vedere come i cristiani incominciano a fare "bizantinismi" filosofici, teologici, spirituali, ma serve invece una spiritualità dell'uscire. Uscire con questa spiritualità: non rimanere dentro chiuso a quattro mandate. Questo non va. Questo è "bizantinismo"! Oggi non abbiamo diritto alla riflessione bizantinistica. Dobbiamo uscire! Perché - l'ho detto altre volte - la Chiesa sembra un ospedale da campo. E quando si va in un ospedale da campo, il primo lavoro è curare le ferite, non fare il dosaggio del colesterolo… questo verrà dopo… È chiaro?».
«E infine la terza parola: fare scuola. San Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, ha invitato tutta la Chiesa a diventare "casa e scuola della comunione" (cfr n. 43), e voi avete preso sul serio questa consegna. Occorre formare, come esige il Vangelo, uomini e donne nuovi e a tal fine è necessaria una scuola di umanità sulla misura dell'umanità di Gesù. È Lui, infatti, l'Uomo nuovo a cui in ogni tempo i giovani possono guardare, di cui possono innamorarsi, la cui via possono seguire per far fronte alle sfide che ci stanno di fronte. Senza una adeguata opera di formazione delle nuove generazioni, è illusorio pensare di poter realizzare un progetto serio e duraturo a servizio di una nuova umanità.
Chiara Lubich aveva a suo tempo coniato un'espressione che rimane di grande attualità: oggi - diceva - occorre formare "uomini-mondo", uomini e donne con l'anima, il cuore, la mente di Gesù e per questo capaci di riconoscere e di interpretare i bisogni, le preoccupazioni e le speranze che albergano nel cuore di ogni uomo. […]».
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