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venerdì 19 aprile 2013

Nell'unità del Padre e del Figlio


IV domenica di Pasqua (C)

Appunti per l'omelia

Nella breve dichiarazione di Gesù, riportata nel brano evangelico (cf Gv 10,27-30) di questa IV domenica di Pasqua, detta del Buon Pastore, è racchiusa tutta l'esperienza cristiana. Si tratta di un legame profondo che si stabilisce fra il Signore risorto e coloro che, credendo in Lui, fanno parte della Chiesa. Legame che Gesù descrive attraverso l'immagine del pastore e del gregge.
Alcuni verbi ed affermazioni riguardano le pecore ed a queste affermazioni ne corrispondono altrettante sul pastore. È un intreccio che esprime la qualità e l'intensità unica del rapporto fra Gesù e i suoi discepoli.

«Io le conosco». Non si tratta di una conoscenza superficiale, anagrafica, ma di un "conoscere" che significa relazione d'amore personale, profonda; relazione che supera l'intimità della stessa relazione nuziale e la tenerezza di una madre o di un padre nei confronti del proprio figlio. Gesù mi assicura: "Io ti conosco"; so tutto di te; tutto mi interessa di te; mi prendo a cuore ogni particolare della tua vita; ti amo.
«Io do loro la vita eterna», vale a dire, la vita stessa di Dio, la comunione del Figlio col Padre, la medesima relazione d'amore che da sempre lo lega al Padre, lo Spirito Santo. È il dono permanente che Gesù fa ai suoi, la realtà sovrumana in cui li introduce.
«Ascoltano la sua voce». La legge che regola il rapporto di Gesù con i suoi è la reciprocità: "Ascoltano" la sua voce. È l'atteggiamento fondamentale dei credenti. Essi accolgono la parola di Gesù, la interiorizzano, la custodiscono nel cuore. Non ne lasciano cadere a vuoto neppure una. E caratteristica di questo ascolto è l'attenzione vigile e piena d'amore non solo alle parole, ma prima ancora a Colui che ci parla, Gesù. È aver imparato a riconoscere, a colpo sicuro, fra le mille voci e i tanti messaggi che ci raggiungono, quali sono in sintonia con la sua voce e quali no.
«Mi seguono». L'ascolto diventa azione, l' "udire" sfocia nell' "ubbidire".
È a questo punto che Gesù potrà svelare il futuro della sua relazione con i discepoli: le sue pecore «non andranno perdute in eterno» e «nessuno le strapperà dalla mia mano». Egli le difende, le protegge. In mano a Lui godranno la massima sicurezza, perché in ultima istanza, esse appartengono al Padre, che le ha affidate a Gesù e rimane con Lui nel custodire il gregge, perché – afferma Gesù - «Io e il Padre siamo una cosa sola».
Affidarsi a Gesù vuol dire mettersi nelle mani del Padre, perché Gesù e il Padre agiscono con un medesimo potere e sono spinti da un medesimo amore in favore delle pecore. Questa unità nell'agire, secondo cui il Figlio opera inseparabilmente dal Padre e viceversa, suppone la loro unità nell'essere.
Custoditi dall'unità e nell'unità tra il Padre e il Figlio, i discepoli sono destinati a diventare sempre più una cosa sola: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola» (Gv 17,21).
Questa è la consolante realtà: "ascoltando la voce" di Gesù e "seguendolo", veniamo introdotti in questa unità. Così, se vivo unito a Gesù, posso dire anch'io: "Io e il Padre siamo una cosa sola".



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Io conosco le mie pecore ed esse mi seguono (Gv 10,27)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


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