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venerdì 2 novembre 2012

Il culto più vero e gradito a Dio

31a domenica del T. O. (B)

Appunti per l'omelia

«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore» (Dt 6,4). Queste parole, con quelle che seguono, sono il cuore della fede espressa nella Bibbia, costituiscono la professione di fede che gli Ebrei fedeli, in tutti i secoli e ancora oggi, recitano più volte al giorno. Proclamano la relazione stretta del popolo col suo Signore, la sua appartenenza a Lui, anzi l'appartenenza reciproca: Il Signore è il nostro Dio: siamo del Signore e il Signore è nostro.
Da questa affermazione di fede, della nostra appartenenza al Signore e l'unicità assoluta di Lui, scaturisce quel rapporto totalizzante con Dio che il testo definisce come "amore": «Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6,5).
È noto come i rabbini avessero raccolto la Legge di Mosè in 613 comandamenti ed anche che i maestri ebrei cercassero, nella serie interminabile dei precetti, di individuarne uno che avesse chiaramente il primato sugli altri. In questo senso si coglie la domanda che lo scriba, sinceramente interessato all'insegnamento di Gesù, gli pone: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» (Mc 12,28).
Gesù risponde facendo sua la professione monoteista del Deuteronomio, che sulle sue labbra esprime un'adesione a Dio così intensa e ardente, quale mai fu vissuta prima di Lui né mai in seguito. La risposta di Gesù a questo punto sembrerebbe conclusa: al primo posto nella vita del credente c'è l'amore di Dio. Ma si affretta ad aggiungere: «E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12,31).
Il comandamento dell'amore a Dio, che è indiscutibilmente il primo, non può esistere da solo. Pur rimanendo distinti, i due comandamenti si intrecciano e si richiamano a vicenda. Non posso amare Dio, se non amo quelli che Egli ama. Se mi impegnassi ad amare soltanto Dio escludendo il mio prossimo, la mia relazione con Dio sarebbe semplicemente falsa, inesistente e quindi illusoria. Se investissi ogni mia energia nell'amare gli uomini, escludendo espressamente Dio dal mio orizzonte, il mio rapporto col prossimo sarebbe semplicemente idolatria e amore non genuino. Ogni gesto è autentico se è insieme amore di Dio e del prossimo.
Sei sicuro di amare Dio con tutto il cuore, se ami il prossimo come te stesso. Il credente non è più diviso fra i doveri verso Dio (culto, preghiera, osservanza del sabato...) e il suo comportamento nella vita familiare e sociale. Se vivo nell'amore le molteplici forme della relazione col prossimo, in uguale misura cresce la mia relazione con Dio. L'altro, che è semplicemente e sempre un fratello, non è un muro o una porta chiusa fra me e Dio. Ma una porta aperta, una via direttissima a Dio.
Amare il prossimo come se stesso è attenzione costante a fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi (cf Mt 7,12). È la "regola d'oro", espressa in vario modo in tutte le religioni. Nella tradizione musulmana, per esempio, si trova formulata così: "Nessuno di voi è vero credente, se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso".
Lo scriba cercava di sapere quale fosse il primo comandamento. Gesù gliene indica praticamente uno solo: amare. E lo scriba conferma e sottoscrive la risposta di Gesù: il duplice amore «vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici» (Mc 12,33). Non viene solo condannato il culto sterile e lontano dalla vita, ma si afferma che amando Dio e il prossimo si celebra il culto più vero e gradito a Dio.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Amerai il prossimo tuo come te stesso (Mc 12,31)
(vai al testo) - (pdf, formato A5)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Enzo Bianchi




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