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lunedì 31 ottobre 2016

Come farsi santi?


Solennità di Tutti Santi
Apocalisse 7,2-4.9-14 • Salmo 23 • 1 Giovanni 3,1-3 • Matteo 5,1-12
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Nella Solennità di Tutti i Santi la mente e il cuore guardano al capolavoro di Dio che sono i Santi… e la nostalgia del Paradiso invade l'anima.
Propongo quale spunto per la meditazione il seguente scritto di Chiara Lubich.


Come farsi santi?
Accade spesso che le anime siano attratte dall'idea della santità. E forse è proprio la grazia di Dio che le lavora, suscitando un simile desiderio.
La considerazione della preziosità d'un santo, l'influenza della sua personalità nel suo secolo, la rivoluzione ampia e continua che egli apporta nel mondo, sono spesso combustibili primi alla fiamma di questo anelito.
Ma alle volte l'anima, che ne è così dolcemente tormentata, si trova di fronte ai santi come di fronte ad un valico insuperabile o ad un muro impossibile a sfondarsi.
«Come si fa a farsi santi?» - ci si domanda.
«Quale la misura, il sistema, le pratiche, la via?».
«S'io sapessi che basta la penitenza, mi flagellerei da mane a sera. Se conoscessi che occorre l'orazione, pregherei notte e giorno. Se fosse sufficiente la predicazione, vorrei percorrere città e paesi, senza darmi tregua, per dir a tutti la parola di Dio... ma io non so, non conosco la strada».
Ogni santo ha una sua fisionomia, ed essi si distinguono l'un dall'altro come i più vari fiori d'un giardino...

Ma forse una via c'è: buona per tutti.
Forse non occorre cercare la propria strada, non tracciarsi un disegno, non sognare programmi, ma inabissarci nel momento che passa ad adempiere in quell'attimo la volontà di Colui che s'è detto «Via» per eccellenza. Il momento passato non è più; quello futuro forse non sarà mai in nostro possesso. Certo è che Dio lo possiamo amare nel presente che ci è dato. La santità si costruisce nel tempo.
Nessuno conosce la propria, né spesso quella altrui, finché è in vita. Solo quando l'anima ha fatto il suo corso, ha dato la sua prova, essa rivela al mondo il disegno che Dio aveva su di lei.
A noi non resta che costruirla attimo per attimo, corrispondendo con tutto il cuore, l'anima, le forze, all'amore che Dio ci porta, personale, come Padre nostro celeste, pieno, come la larghezza della carità d'un Dio.

(Chiara Lubich, Scritti spirituali/1, Città Nuova, 19782, pag. 97)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
 Beati i misericordiosi (Mt 5,7)
(vai al testo)

Vedi anche analoghe Parola-sintesi a suo tempo pubblicate:
 Beati i poveri in spirito ( Mt 5,3) (1° novembre 2015) (vai al testo…)
 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia ( Mt 5,7) (1° novembre 2014) (vai al testo…)
 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ( Mt 5,8) (1° novembre 2013) (vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Nelle Beatitudini la regola della santità (30/10/2015)
  La santità è innamorata dell'oggi (30/10/2014)
  Ciò che sta più a cuore a Dio: la nostra felicità! (31/10/2013)
  La gioia del Cielo (31/10/2012)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Luigi Vari (VP 9.2015)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Marinella Perroni (VP 9.2012)
  di Marinella Perroni (VP 9.2011)
  di Giovanni Cavagnoli (VP 9.2014)
  di Claudio Arletti (VP 9.2010)
  di Claudio Arletti (VP 9.2009)
  di Enzo Bianchi (2010)
  di Enzo Bianchi (2009)
  di Enzo Bianchi (2008)

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COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI
  di Cettina Militello (VP 2016)
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Giovanni Cavagnoli (VP 2014)
  di Enzo Bianchi

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(Illustrazione di Giorgio Trevisan da "la-domenica.it")

venerdì 28 ottobre 2016

Quello sguardo di Gesù che ci dona libertà


31a domenica del Tempo ordinario (C)
Sapienza 11,22-12,2 • Salmo 144 • 2 Tessalonicesi 1,11-2,2 • Luca 19,1-10
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Appunti per l'omelia

Un uomo di nome Zaccheo, piccolo di statura, cercava di vedere Gesù
Zaccheo ha un handicap (la bassa statura) e un desiderio (vedere Gesù) e, a questo conflitto tra due forze che potrebbero annullarsi, risponde con creatività e coraggio, diventando figura di tutti coloro che, anziché chiudersi nei loro limiti e arrendersi, cercano soluzioni, inventano alternative senza timore di apparire diversi. Nella vita avanza solo chi agisce mosso dal desiderio e non dalla paura.

Allora corse avanti e salì su di un albero
Correre, sotto l'urgenza del richiamo di cose lontane, seguendo il vento del desiderio che gonfia le vele. Avanti, verso il proprio oggetto d'amore, verso un Dio che viene non dal passato, ma dall'avvenire. Sull'albero, in alto, come per leggere se stesso e tutto ciò che accade da un punto di vista più alto. Perché il quotidiano è abitato da un oltre.

Gesù passando alzò lo sguardo
Lo sguardo di Gesù è il solo che non si posa mai per prima cosa sui peccati di una persona, ma sempre sulla sua povertà, su ciò che ancora manca ad una vita piena. La sua parola è la sola che non porta ingiunzioni, ma interpella la parte migliore di ciascuno, che nessun peccato arriverà mai a cancellare. Zaccheo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di vedere lui. Il cercatore si accorge di essere cercato, l'amante scopre di essere amato, ed è subito festa: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua.

Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua
«Devo» dice Gesù, devo fare casa con te per un intimo bisogno: a Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l'ultima pecora, manco io. Se Gesù avesse detto: «Zaccheo, ti conosco bene, se restituisci ciò che hai rubato verrò a casa tua», Zaccheo sarebbe rimasto sull'albero. Se gli avesse detto: «Zaccheo scendi e andiamo insieme in sinagoga», non sarebbe successo nulla. Il pubblicano di Gerico prima incontra, poi si converte: incontrare uno come Gesù fa credere nell'uomo; incontrare un uomo così rende liberi; incontrare questo sguardo che ti rivela a te stesso fa nascere.

Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia
Sono poche parole: fretta, accogliere, gioia, ma che dicono sulla conversione più di tanti trattati. Apro la casa del cuore a Dio e la gioia e la vita si rimettono in moto.
Infatti la casa di Zaccheo si riempie di amici, lui si libera dalle cose: «Metà di tutto è per i poveri e se ho rubato...». Ora può abbracciare tutta intera la sua vita, difetti e generosità, e coprire il male di bene...

Oggi mi fermo a casa tua. Dio viene ancora alla mia tavola, intimo come una persona cara, un Dio alla portata di tutti. Ognuno ha una dimora da offrire a Dio. E il passaggio del Signore lascerà un segno inconfondibile: un senso di pienezza e poi il superamento di sé, uno sconfinare nella gioia e nella condivisione.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua (Lc 19,5)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (3 novembre 2013)
Oggi devo fermarmi a casa tua (Lc 19,5)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
L'incontro sorprendente con Gesù (2/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

lunedì 24 ottobre 2016

Chi è grande nel cuore del Padre?


Stare in mezzo alla gente, esercitare il ministero diaconale accanto alle persone, facendo un tratto di strada assieme nella vita con chi si trova magari in situazioni particolari di sofferenza o di bisogno, è fare l'esperienza sempre nuova della vicinanza del Padre, che Gesù, che ritrovo nei miei fratelli, mi fa sperimentare.
Rimedito le parole del vangelo della parabola del fariseo e del pubblicano che salgono al tempio a pregare (cf Lc 18,9-14).
E mi chiedo: chi è più grande nel cuore del Padre?
Guadando al pubblicano che non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma, battendosi il petto, si rivolge a Dio chiedendo di avere pietà di lui che è peccatore, è inequivocabile l'atteggiamento di Gesù. Egli non loda il pubblicano per la sua vita, ma perché si riconosce peccatore e fa conto dell'amore di Dio.
Potremmo dire che è preferibile chi, in situazione irregolare, accetta di non poter ricevere i Sacramenti a chi, dicendosi "praticante", li vive come un diritto.
L'atteggiamento del pubblicano si manifesta nel conservare la stima, anche quando si vedono le debolezze, nel cercare la Parola di Dio per cambiare lo stile di vita e di pensiero, nell'affidarci all'amore gratuito del Padre, nel riconoscere che Gesù ha dato la vita per tutti, "caricandosi" del peccato dell'umanità.
E mi ritorna alla mente l'esperienza di Roberta:

«Sono sposata civilmente con un divorziato. Ho vissuto con ribellione la privazione dei Sacramenti. Ero certa che Dio mi capiva nella mia scelta e mi ribellavo alla Chiesa e al prete che non mi capiva.
Il passare degli anni e le difficoltà nella vita di coppia mi hanno cambiata.
La privazione dei Sacramenti mi faceva soffrire: non aveva senso per me la Messa, se non potevo ricevere l'Eucaristia e così non partecipavo più. Apparentemente un taglio netto, ma dentro un vuoto sempre più grande. Quel vuoto che tanta sofferenza mi procurava - l'ho capito dopo - era la presenza di Dio, che non mi lascia e che non smette di amare la sua creatura anche se essa volta le spalle. Questo è il Dio che ho ritrovato: un Dio che è Misericordia.
Ho seguito le indicazioni del mio parroco e ho ripreso poco a poco, anche con l'aiuto della comunità, la capacità di rivedere la mia vita non secondo le mie convinzioni, ma alla luce della Parola di Dio e degli insegnamenti della Chiesa. Io e Dio, io sola davanti alla sua Parola.
È cambiato tutto. Non posso ricevere i Sacramenti e questa rimane una sofferenza… Cerco però l'incontro con Gesù nella contemplazione del Crocifisso: da lì viene il dono della Misericordia divina. Ho trovato quindi anche il mio posto nella Chiesa: aiutare nella pastorale dei casi difficili di matrimonio».



sabato 22 ottobre 2016

Un nuovo diacono per la diocesi tuscolana


Nella Cattedrale di Frascati questo pomeriggio il vescovo mons. Raffaello Martinelli ha ordinato un nuovo diacono permanente. È Luigi Raparelli, coniugato con Fiorella, libero professionista, attuale direttore della Caritas diocesana.
A distanza di poco più di un anno (vedi…), ecco un altro diacono per la chiesa tuscolana. Gioia grande e riconoscenza sincera al Signore che non fa mancare alla sua Chiesa servitori per la sua Vigna.

Caro Luigi, il Signore ti ha scelto come suo diacono.
Siamo con te e la tua famiglia in questa "nuova avventura".
Ti auguriamo, come papa Francesco ha detto al Giubileo dei diaconi, di essere "volto della Chiesa nella vita quotidiana, di una comunità che vive in mezzo alla gente e dove non è grande chi comanda, ma chi serve, pronto sempre alle sorprese quotidiane di Dio".









venerdì 21 ottobre 2016

Aprirsi alla misericordia, unica onnipotenza di Dio


30a domenica del Tempo ordinario (C)
Siracide 35,15-17.20-22 • Salmo 33 • 2 Timoteo 4,6-8.16-18 • Luca 18,9-14
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Appunti per l'omelia

Per coloro che avevano l'intima presunzione di essere giusti…
Gesù, rivolgendosi a chi si sente a posto e disprezza gli altri, mostra che non si può pregare e disprezzare, adorare Dio e umiliare i suoi figli, come fa il fariseo. Pregare può diventare in questo caso perfino pericoloso: puoi tornare a casa tua con un peccato in più.

Il fariseo pregava tra sé: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini…
Il fariseo inizia la preghiera con le parole giuste: O Dio, ti ringrazio. Ma tutto ciò che segue è tutto sbagliato: ti ringrazio di non essere come gli altri, ladri, ingiusti, adulteri. La sua preghiera non è un cuore a cuore con Dio, è un confronto e un giudizio sugli altri, tutti disonesti e immorali. L'unico che si salva è lui stesso.
Come deve stare male questo fariseo in un mondo così malato, dove è il male che trionfa dappertutto! Lui, il fariseo, buon esecutore di precetti, onesto ma infelice!

Io digiuno, io pago le decime…
Il fariseo è irretito da una parola che non cessa di ripetere: io, io, io. È un Narciso allo specchio, per il quale Dio non serve a niente se non a registrare la propria auto esibizione, è solo una muta superficie su cui far rimbalzare la propria soddisfazione.
Il fariseo non ha più nulla da ricevere, nulla da imparare: conosce il bene e il male e il male sono gli altri.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto e diceva: O Dio, abbi pietà di me peccatore
Due parole cambiano tutto nella sua preghiera, rendendola autentica.

La prima parola è "TU": Tu, Dio, abbi pietà. Mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che lui fa, il pubblicano la fonda su quello che Dio fa.
L'insegnamento della parabola è chiaro: la relazione con Dio non segue logiche diverse dalle relazioni umane. Le regole sono semplici e valgono per tutti.
Se metto al centro l'io, nessuna relazione funziona. Non nella coppia, non con gli amici, non con Dio. Vita e preghiera percorrono la stessa strada: la ricerca mai arresa di un tu, uomo o Dio, in cui riconoscersi, amati e amabili, capaci di incontro vero, quello che fa fiorire il nostro essere.

La seconda parola è "PECCATORE". In essa è riassunto un intero discorso: "sono un poco di buono, è vero, ma così non sto bene, non sono contento; vorrei tanto essere diverso, ci provo, ma ancora non ce la faccio; e allora tu perdona e aiuta".

Il pubblicano tornò a casa sua giustificato
Tornò a casa sua giustificato non perché più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l'umiltà), ma perché si apre - come una porta che si socchiude al sole - a un Altro più grande del suo peccato, che viene e trasforma. Si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua sola onnipotenza.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
O Dio, abbi pietà di me peccatore (Lc 18,13)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (27 ottobre 2013)
Tornò a casa sua giustificato (Lc 18,14)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La preghiera che piace a Dio (25/10/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

venerdì 14 ottobre 2016

La preghiera: il respiro della vita


29a domenica del Tempo ordinario (C)
Esodo 17,8-13 • Salmo 120 • 2 Timoteo 3,14-4,2 • Luca 18,1-8
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Appunti per l'omelia

Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai
Il pericolo che minaccia la preghiera è quello della stanchezza: qualche volta, spesso pregare stanca… anche Dio può stancare. È la stanchezza di scommettere sempre sull'invisibile, del grido che non ha risposta, quella che avrebbe potuto fiaccare la vedova della parabola, alla quale lei non cede.

C'era una vedova che chiedeva giustizia
Gesù ha una predilezione particolare per le donne sole che rappresentano l'intera categoria biblica dei senza difesa: vedove, orfani, poveri, i suoi prediletti che egli prende in carico. Così di questa donna sola, una vedova che chiedeva al giudice: fammi giustizia contro il mio avversario! Questa donna, forte e dignitosa, che nessuna sconfitta abbatte, fragile e indomita, maestra di preghiera: ogni giorno bussa a quella porta chiusa. Come lei, anche noi: quante preghiere sono volate via senza portare una risposta!
Ma allora, Dio esaudisce o no le nostre preghiere?
Dio esaudisce sempre: non le nostre richieste, ma le sue promesse. E il Vangelo ne trabocca: sono venuto perché abbiate la vita in pienezza, non vi lascerò orfani, sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo, il Padre sa di cosa avete bisogno.

Anche se non temo Dio… le farò giustizia…
E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti… prontamente?

Con l'immagine della vedova mai arresa Gesù vuole sostenere la nostra fiducia: Se un giudice, che è in tutto all'opposto di Dio, alla fine ascolta, Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui, prontamente? Li farà a lungo aspettare? Ci perdoni il Signore, ma a volte la sensazione è proprio questa, che Dio non risponda così prontamente e che ci faccia a lungo aspettare.
Ma quel prontamente di Gesù non si riferisce a una questione temporale, non vuol dire «subito», ma «sicuramente». Il primo miracolo della preghiera è rinsaldare la fede, farla poggiare sulla prima certezza che la parabola trasmette: Dio è presente nella nostra storia, non siamo abbandonati. Dio interviene secondo i suoi disegni, non come io vorrei.

La preghiera è il respiro della fede, ha detto papa Francesco: pregare è una necessità, perché se smetto di respirare smetto di vivere. Questo respiro, questo canale aperto in cui scorre l'ossigeno di Dio, viene prima di tutto, prima di chiedere un dono particolare, un aiuto, una grazia. È il respiro della vita, come per due che si amano, il respiro del loro amore.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
... è necessario pregare sempre (cf Lc 18,1)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (13 ottobre 2013)
L'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2Tm 3,17)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La perseveranza nella preghiera (18/10/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2016)
  di Marinella Perroni (VP 8.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

venerdì 7 ottobre 2016

La fede: libera risposta all'amore di Dio


28a domenica del Tempo ordinario (C)
2Re 5,14-17 • Salmo 97 • 2 Timoteo 2,8-13 • Luca 17,11-19
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Appunti per l'omelia

Gli vennero incontro dieci lebbrosi…
Appena li vide...

Dieci lebbrosi all'ingresso di un villaggio, nove giudei e un samaritano insieme. La sofferenza li ha uniti, la guarigione li separerà. Insieme pregano Gesù ed egli: appena li vede... Notiamo il dettaglio: subito, senza aspettare un secondo di più, appena li vede, con un'ansia di guarirli.

Gesù disse loro: Andate a presentarvi ai sacerdoti. E mentre andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio…

Sono purificati non quando arrivano dai sacerdoti, ma mentre camminano, sui passi della fede.
Nove dei guariti non tornano: scompaiono nel vortice della loro felicità, dentro gli abbracci ritrovati, ritornati persone piene, libere.
Unico, un eretico straniero torna indietro e lo fa perché ascolta il suo cuore, perché intuisce che la salute non viene dai sacerdoti, ma da Gesù; non dall'osservanza di leggi e riti, ma dal rapporto vivo con lui. Per Gesù conta il cuore e il cuore non ha frontiere politiche o religiose.

La tua fede ti ha salvato!
Questa ultima parola è il centro del brano. Nove sono guariti, ma uno solo è salvato. Per fede.
Nel racconto possiamo distinguere i tre passi fondamentali del cammino del credere:
ho bisogno - mi fido - ringrazio e mi affido.
La fede nasce dal bisogno, dal grido universale della carne che soffre, dalla nostra fame di vita, di senso, di amore, di salute, quando non ce la fai e tendi le mani. Poi «mi fido». Il grido del bisogno è ricco di fiducia: qualcuno ascolterà, qualcuno verrà, già viene in aiuto. I dieci si fidano di Gesù e sono guariti. Ma a questa fede manca qualcosa, una dimensione fondamentale: la gioia di un abbraccio, una relazione, una reciprocità, una risposta.

Il terzo passo: ti ringrazio è compiuto dallo straniero. Il poeta Turoldo scrive: io vorrei dare una cosa al mio Signore, ma non so che cosa... ecco, la vita che mi hai ridato, te la rendo nel canto.
Allora corro da lui, mi stringo a lui, come un bambino alla madre, come l'amato all'amata, quando ciascuno mette la propria vita, e i sogni e il futuro, nella mani dell'altro.
Tutti hanno ricevuto il dono, uno solo ha risposto. La fede è la libera risposta dell'uomo al corteggiamento di Dio. Ed entrare in contatto con la madre di tutte le parole religiose: «grazie». Voglio fare come quello straniero: inizierò la mia giornata tornando a Dio con il cuore, non recitando preghiere, ma donandogli una cosa, una parola: «grazie». E lo stesso farò poi con quelli di casa. Lo farò in silenzio e con un sorriso.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Uno tornò indietro lodando Dio (Lc 17,15)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (13 ottobre 2013)
Gesù, Maestro, abbi pietà di noi (Lc 17,13)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La fede che salva (11/10/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2016)
  di Marinella Perroni (VP 8.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

mercoledì 5 ottobre 2016

Intervista sul diaconato a:
 Mons. Mauro Parmeggiani, Vescovo di Tivoli
 Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla
 Mons. Lino Fumagalli, Vescovo di Viterbo


Riprendo le interviste ai vescovi delle diocesi italiane sul diaconato permanente e i diaconi delle loro diocesi, pubblicate nella rivista L'Amico del Clero della F.A.C.I. (Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia).
Le interviste sono curate da Michele Bennardo.


Michele Bennardo, diacono permanente della diocesi di Susa, ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense. È professore di religione cattolica nella scuola pubblica e docente di Didattica delle competenze e di Didattica dell'Insegnamento della Religione Cattolica e Legislazione scolastica all'ISSR della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Sezione parallela di Torino. È autore di numerosi testi e articoli e dal 2005 collabora con L'Amico del Clero.


Ho riportato le varie interviste nel mio sito di testi e documenti.

Nel numero 5 (maggio 2016) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Mauro Parmeggiani, Vescovo di Tivoli.

Alla domanda: "Come giudica per la Chiesa in generale, e per la diocesi di Tivoli in particolare, il ripristino del diaconato permanente?", Mons. Parmeggiani ha risposto: «Una grande grazia. Provengo da una parrocchia di Reggio Emilia nella quale, nel 1978, furono ordinati due tra i primi diaconi permanenti della mia Diocesi di origine. Per me, insieme al mio Parroco, furono di grande aiuto a scoprire la mia vocazione al sacerdozio e veri esempi di donazione totale a Dio e ai fratelli rimanendo con i piedi per terra, ancorati alla realtà della famiglia, del lavoro, per uno di loro anche della sofferenza che ha vissuto con fede esemplare.
Divenuto Vescovo di Tivoli, nel 2008, sono stato contento di aver trovato una comunità diaconale con quattro diaconi permanenti ed aver avuto la grazia – in questi anni – di averne potuto ordinare altri otto.
Ritengo che quella del diacono sia una figura di collegamento tra famiglia, mondo del lavoro, e pastorale – ossia l'azione che la Chiesa fa per annunciare a tutti la gioia del Vangelo – assai utile e preziosa e a Tivoli risulta essere molto positiva per la comunità dei fedeli ed anche per i presbiteri che ammirano molto questi uomini esemplari sempre disponibili per aiutare il Vescovo ed i sacerdoti a dedicarsi maggiormente a quanto loro compete dedicandosi maggiormente alla carità, quasi fossero il braccio del Vescovo e del parroco là dove egli non arriva. Un braccio con una sensibilità particolare che gli deriva dall'essere sposo, padre, lavoratore e, potremmo aggiungere, punto di incontro vivente tra vita e liturgia: aiuto per la Chiesa nella sua opera di santificazione».
Vai all'intervista…

Nel numero 6 (giugno 2016) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla.

Alla domanda: "Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?", Mons. Camisasca ha risposto: «Innanzitutto che egli abbia coscienza di essere una persona chiamata da Dio – e non semplicemente da una comunità – a quel compito così importante nella vita della Chiesa locale. È chiamato perciò a prendere coscienza di questa vocazione e ad alimentarla.
Il diacono deve essere un uomo di preghiera, di meditazione della Sacra Scrittura. Un uomo che ha consapevolezza delle verità fondamentali della fede e della vita cristiana attraverso lo studio, meno esigente di quello richiesto per il cammino verso il presbiterato, ma pur sempre capace di portare la mente del diacono a una sintesi chiara, come quella che ci è offerta nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Deve essere un uomo che sa parlare, forse e più ancora che con le parole, con la propria vita. Deve essere un uomo appassionato degli uomini, soprattutto dei piccoli, dei bisognosi, di coloro che sono feriti, che hanno necessità di essere incontrati. Deve essere veramente colui che va in cerca di chi è perduto.
In lui convivono diverse vocazioni: talvolta quella matrimoniale, poi la vocazione a una professione, la vocazione genitoriale se è sposato. Quindi deve essere anche un uomo dotato di buon equilibrio, di grande umiltà, serenità, capacità di perdono e ripresa continua».

E alla domanda: "Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?", ha risposto: «Penso che la strada migliore sia quella di una vita, da parte dei diaconi, piena di umiltà, di collaborazione, di disponibilità vera al servizio e anche di comunione vissuta con i laici e con il clero».
Vai all'intervista…

Nel numero 7-8 (luglio-agosto 2016) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Lino Fumagalli, Vescovo di Viterbo.

Alla domanda: "Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?", Mons. Fumagalli ha risposto: «Oggi più che mai, in un mondo diviso e frammentato, dove aumentano conflitti e incomprensioni, il diacono deve essere l'uomo della comunione. Anche la comunità ecclesiale non è esente da divisioni e contrapposizioni, da relazioni difficili, non sempre animate da autentico spirito evangelico. In questo contesto il diacono è chiamato ad esercitare la "diaconia della comunione". La capacità di "fare comunione" è requisito indispensabile per un candidato al diaconato permanente».

E alla domanda: "Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti?", ha risposto: «Non dobbiamo mai dimenticare quanto affermava Benedetto XVI: "… non possiamo "produrre" vocazioni, esse devono venire da Dio. Non possiamo, come forse in altre professioni, per mezzo di una propaganda ben mirata, mediante, per così dire, strategie adeguate, semplicemente reclutare delle persone. La chiamata, partendo dal cuore di Dio, deve sempre trovare la via al cuore dell'uomo. E tuttavia: proprio perché arrivi nei cuori degli uomini è necessaria anche la nostra collaborazione " (Discorso ai sacerdoti e ai diaconi permanenti della Baviera, 14 settembre 2016).
Ecco, quindi, la preghiera al Padrone della messe. Sì, intensificare prima di tutto la preghiera e poi, certamente, pensare e trovare occasioni e modalità con cui presentare e far conoscere di più e meglio nelle comunità parrocchiale la bellezza di questa specifica vocazione».
Vai all'intervista…


martedì 4 ottobre 2016

È il «come» che conta


4 Ottobre – San Francesco d'Assisi

Ho letto questo brano di san Francesco: «Facciamo "frutti degni di conversione" e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine, perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.
Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto».

Mi è di aiuto a metterlo meglio in pratica questo scritto di Chiara Lubich:

«Ci sono giorni in cui le cose - umanamente parlando - vanno meglio, ci sono dei giorni in cui vanno meno bene. Allora ripeti la dolce esperienza che nella vita presente che ti è data non conta se va bene o meno bene, ma vale come la vivi questa vita, perché in quel come è la carità, che sola dà valore a tutto. Infatti ama Dio chi osserva la sua parola.
Noi, durante il giorno, dobbiamo pensare che in Paradiso non porteremo né le gioie, né i dolori. Anche il dar il corpo alle fiamme, senza la carità, è nulla. Né valgono le opere di apostolato. Anche il saper la lingua degli angeli, senza la carità, non vale.
Né le opere di misericordia. Anche il dar via tutto ai poveri, senza la carità, non vale.
In Paradiso porteremo come abbiamo vissuto tutto questo: se cioè secondo la parola di Dio, che ci dà modo di esprimere la nostra carità.
Perciò, alziamoci ogni giorno felici: sia che tempesti, sia che sorrida il sole; e ricordiamoci che varrà della nostra giornata quanto di parola di Dio avremo nel corso di essa "assimilato". Così facendo, in quel giorno Cristo sarà vissuto in noi ed Egli avrà dato valore alle opere che compiremo, o con il contributo diretto, o con quello della preghiera e della sofferenza. Ed esse, alla fine, ci seguiranno.
Insomma si può ammirare come la parola di Dio, la Verità, ci faccia liberi…, liberi dalle circostanze, liberi da questo corpo di morte, liberi dalle prove dello spirito, liberi dal mondo che attorniandoci vorrebbe scalfire la bellezza e la pienezza del Regno di Dio dentro di noi».
(Chiara Lubich – Scritti Spirituali/2, Città Nuova 1998, p.19)

sabato 1 ottobre 2016

Perdona il tuo prossimo e sarai perdonato


Parola di Vita – Ottobre 2016

"Perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati" (Sir 28, 2) [1]

In una società violenta come quella nella quale viviamo, il perdono è un argomento difficile da affrontare. Come si può perdonare chi ha distrutto una famiglia, chi ha commesso crimini inenarrabili o chi, più semplicemente, ci ha toccato sul vivo in questioni personali, rovinando la nostra carriera, tradendo la nostra fiducia?
Il primo moto istintivo è la vendetta, rendere male per male, scatenando una spirale di odio e aggressività che imbarbarisce la società. Oppure interrompere ogni relazione, serbare rancore e astio, in un atteggiamento che amareggia la vita e avvelena i rapporti.
La Parola di Dio irrompe con forza nelle più varie situazioni di conflitto e propone, senza mezzi termini, la soluzione più difficile e coraggiosa: perdonare.
L'invito, questa volta, ci giunge da un saggio dell'antico popolo di Israele, Ben Sira, che mostra l'assurdità della domanda di perdono rivolta a Dio da una persona che a sua volta non sa perdonare. «A chi [Dio] perdona i peccati? - leggiamo in un antico testo della tradizione ebraica - A chi sa perdonare a sua volta»1. È quanto Gesù stesso ci ha insegnato nella preghiera che rivolgiamo al Padre: «Padre… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori?» [2].
Anche noi sbagliamo, e ogni volta vorremmo essere perdonati! Supplichiamo e speriamo che ci sia data nuovamente la possibilità di ricominciare, che si abbia ancora fiducia nei nostri confronti. Se è così per noi, non lo sarà anche per gli altri? Non dobbiamo amare il prossimo come noi stessi?
Chiara Lubich, che continua a ispirare la nostra comprensione della Parola, così commenta l'invito al perdono: esso «non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l'ha commesso. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell'accogliere il fratello così com'è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" [3].
Il perdono consiste nell'aprire a chi ti fa del torto la possibilità d'un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d'aver un avvenire in cui il male non abbia l'ultima parola».
La Parola di vita ci aiuterà a resistere alla tentazione di rispondere a tono, di ricambiare il male subìto. Ci aiuterà a vedere chi ci è "nemico" con occhi nuovi, riconoscendo in lui un fratello, anche se cattivo, che ha bisogno di qualcuno che lo ami e lo aiuti a cambiare. Sarà la nostra "vendetta d'amore".
«Dirai: "Ma ciò è difficile" - continua Chiara nel suo commento -. Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla sei alla sequela di un Dio che, spegnendosi in croce, ha chiesto il perdono a suo Padre per chi gli aveva dato la morte. Coraggio. Inizia una vita così. Ti assicuro una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta» [4].

Fabio Ciardi

[1] Cf. Talmud babilonese, Megillah 28a2.
[2] Mt 6,12.
[3] Rom 12,21
[4] Costruire sulla roccia, Città Nuova, Roma 1983, p. 46-58.


Fonte: Città Nuova n.9, Settembre 2016
Illustrazione: Figlio prodigo, Rembrand, 1642 - Teylers Museum di Haarlem