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venerdì 29 gennaio 2016

Non si può uccidere la profezia


4a domenica del Tempo ordinario (C)
Geremia 1,4-5.17-19 • Salmo 70 • 1 Corinzi 12,31-13,13 • Luca 4,21-30
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Non è costui il figlio di Giuseppe?
Gesù ha presentato il suo programma per un mondo senza più disperati, poveri, ciechi, oppressi, la sua strada per la pienezza dell'umano; e tutti nella sinagoga di Nazaret capiscono di aver ascoltato parole nuove, che fanno bene, parole di grazia. Ma l'entusiasmo passa in fretta e i compaesani di Gesù lo hanno già catalogato, lo hanno chiuso nelle loro categorie e non sono capaci di aprirsi alla sorpresa e alla novità.
Purtroppo lo sappiamo, la vita si spegne quando muoiono le attese. È anche ciò che accade nelle famiglie, tra gli sposi, tra genitori e figli, tra amici: l'abitudine spegne il mistero e la sorpresa... e l'altro invece di essere una finestra di cielo, la possibilità di un incontro che apre alla speranza, è solo il figlio di Giuseppe, o il falegname, l'idraulico, il postino, la maestra... Diciamo di conoscerlo; ma cosa sappiamo del mistero di quella persona? Per che cosa batte il suo cuore, cosa lo fa soffrire, cosa lo fa felice, per quali persone spera e trema?...

Nessun profeta è ben accetto nella sua patria
Non sappiamo scorgere in colui che ci parla la possibilità di un incontro personale con Dio, la possibilità che quella persona che conosciamo bene ha in sé un pezzetto di Dio, una profezia.
È pressoché impossibile, per la nostra cecità, scorgere una profezia nel nostro vivere quotidiano, una profezia dentro la mia casa, come gli abitanti di Nazaret che non riescono a vedere: Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui… perché non ci bastano belle parole! E Gesù risponde raccontando un Dio che protegge la vedova straniera di Sarepta, che guarisce il lebbroso di Siria, un generale nemico…
Che è come dire: voi non cercate Dio, ma solo i suoi vantaggi.

Ma egli passando in mezzo a loro si mise in cammino
La fede sbagliata degli abitanti di Nazaret genera il più sbagliato degli istinti, un istinto di morte. E così vogliono uccidere Gesù, ma lui passa in mezzo a loro si mette in cammino. Un finale a sorpresa. Anche nelle situazioni senza uscita, sul ciglio del monte con una folla che urla, accade qualcosa di incongruo, come sempre negli interventi di Dio, un improvviso vuoto, un "ma": ma egli passando in mezzo a loro si mise in cammino. Non fugge, non si nasconde, non si arrende, ma passa in mezzo a loro, a portata di quella furia, attraversa la violenza e si rimette in cammino dietro al suo ideale.

Per una Nazaret che si chiude cento altri villaggi gli apriranno le porte, perché si può ostacolare la profezia, ma non ucciderla. La sua vitalità è incontenibile, perché viene da Dio. Anche la nostra Chiesa oggi trabocca di mistici e di profeti coraggiosi. Quello che manca sono gli ascoltatori. Manchiamo noi che non sappiamo vedere l'infinito all'angolo della strada, il mistero raccolto, quasi nascosto, sulla soglia della nostra casa.

(spunti da Ermes Ronchi)


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Oggi si è compiuta questa scrittura (Lc 4,21)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa f/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (3/02/2013)
Tutti gli davano testimonianza (Lc 4,22)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Essere profeti, oggi (2/02/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 1.2016)
  di Marinella Perroni (VP 1.2013)
  di Claudio Arletti (VP 1.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)


domenica 24 gennaio 2016

Essere aperti alla riconciliazione


In questa settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, ho riletto il discorso che Chiara Lubich ha pronunciato in occasione dell'Assemblea ecumenica di Graz nel giugno 1997, dove parla di un cammino di riconciliazione da percorrere sorretti da una spiritualità di comunione, spiritualità che anima profondamente ogni impegno ecumenico.
Eccone uno stralcio:


[...] Per intraprendere con frutto a vivere una spiritualità di riconciliazione occorre, nell'oggi del mondo e della Chiesa, che noi possiamo, con piena convinzione e nella verità, ripetere come nostre le parole dell'evangelista Giovanni: «… noi crediamo all'amore».
Ma Egli non ci ama solo come singoli cristiani, ci ama pure come Chiesa. E ama la Chiesa per quanto si è comportata nella storia secondo il disegno che Dio aveva su di essa.
Ma anche - e qui è la meraviglia della misericordia di Dio - la ama per quanto non vi ha corrisposto, essendosi i cristiani divisi, se però ora essi ricercano la piena comunione nella divina volontà.[...]
[...] Una spiritualità ecumenica così vissuta, potrà produrre frutti eccezionali. Ma, lo si intuisce, avrà soprattutto un particolare effetto: perché comunitaria, legherà in uno tutti coloro che la vivono, sicché si sentiranno solidali fra loro e, in un certo modo, già uno.
Avvertiranno di formare, per così dire, un solo popolo cristiano che potrà essere - con tutto ciò a cui conducono le altre forze suscitate dallo Spirito in questo tempo ecumenico - un lievito per la piena comunione tra le Chiese.[...]

venerdì 22 gennaio 2016

Dio è sempre dalla parte dell'uomo


3a domenica del Tempo ordinario (C)
Neemia 8,2-4a.5-6.8-10 • Salmo 18 • 1 Corinzi 12,12-30 • Luca 1,1-4;4,14-21
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Appunti per l'omelia

Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui
Gesù si inserisce nel solco dei profeti, li prende e li incarna in sé. E i profeti, da parte loro, lo aiutano a capire se stesso, chi è davvero, dove è chiamato ad andare: lo Spirito del Signore mi ha mandato ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi. Da subito Gesù sgombra tutti i dubbi su ciò che è venuto a fare: è qui per togliere via dall'uomo tutto ciò che ne impedisce la fioritura, perché sia chiaro a tutti che cosa è il regno di Dio: vita in pienezza, qualcosa che porta gioia, che libera e da luce, che rende la storia un luogo senza più disperati.

Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio… a rimettere in libertà gli oppressi…
Dio sta dalla parte degli ultimi, mai con gli oppressori. Gesù non è venuto per riportare i lontani a Dio, ma per portare Dio ai lontani, a uomini e donne senza speranza, per aprirli a tutte le loro immense potenzialità di vita, di lavoro, di creatività, di relazione, di intelligenza, di amore.
Il primo sguardo di Gesù va sempre sulla povertà e sulla fame dell'uomo, non si posa mai per primo sul peccato della persona. Per questo nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che non la parola peccatori. Il Vangelo non è moralista, ma creatore di uomini liberi, gioiosi, non più oppressi.

Oggi si è compiuta questa scrittura…
La buona notizia è che Dio mette l'uomo al centro e dimentica se stesso per lui… Un Dio sempre in favore dell'uomo e mai contro l'uomo. E senti dentro l'esplosione di potenzialità prima negate, energia che spinge in avanti, che sa di futuro… di spazi aperti. Nella sinagoga di Nazaret è l'umanità che si rialza e riprende il suo cammino verso il cuore della vita, il cui nome è gioia, libertà e pienezza.

(spunti da Ermes Ronchi)


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Lo Spirito del Signore è sopra di me (Lc 4,18)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa f/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (27/01/2013)
Oggi si è compiuta questa Scrittura (Lc 4,21)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La Parola si compie, oggi (25/01/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 11.2015)
  di Marinella Perroni (VP 11.2012)
  di Claudio Arletti (VP 1.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

martedì 19 gennaio 2016

Il Diacono, operatore e animatore di misericordia


Nel numero 4/2015 del trimestrale Unità nella carità, della Pia Società San Gaetano di Vicenza, Istituto religioso formato da preti e diaconi, riporto questo articolo di don Luca Garbinetto, all'inizio dell'anno giubilare.


Il Diacono, operatore e animatore di misericordia
(Le sottolineature in grassetto sono mie)

Inizia il Giubileo straordinario della Misericordia, voluto da papa Francesco, inizia come segno di speranza, in un mondo ferito da dolorosi eventi di violenza. Sulla scia della tradizione più bella della nostra fede, la Chiesa ci propone di rinnovare la nostra missione di evangelizzazione con la concretezza delle opere di misericordia. Alla luce del capitolo 25 del vangelo di Matteo, che presenta il grande affresco del giudizio universale, e con l'attenzione alle necessità dell'uomo contemporaneo, ogni comunità cristiana è invitata a mettersi in gioco per realizzare la concretezza dell'amore. Il diacono è chiamato, in questo contesto, ad assumere un ruolo di protagonista.

Il suo ministero, infatti, si caratterizza particolarmente per il forte ancoraggio alla costitutiva vocazione della Chiesa ad essere segno e strumento di carità nel mondo. Ecco allora che il diacono, come operatore di misericordia, deve vivere questa missione oggi con alcune attenzioni. Innanzitutto, deve far sì che si compiano realmente queste opere di misericordia, sia corporali che spirituali. Deve cioè evitare che la fede propria e di tutti i cristiani rimanga sterile e si limiti a discorsi e considerazioni vuote e inefficaci sulla difficile situazione del mondo e sui bisogni dei popoli.

Il diacono, con la sua testimonianza e con il suo ministero, deve manifestare come il Vangelo non abbia senso se non ci rende capaci di sporcarci le mani con i bisognosi che abbiamo accanto. In un contesto estremamente condizionato dalle forme di comunicazione tecnologiche, il rischio di una passività e di una alienazione dai reali problemi della vita è grande: il diacono ci riporta alla necessità del 'corpo a corpo' nella relazione di servizio.

In secondo luogo, il diacono aiuta i cristiani a far sì che le opere che si compiono siano di 'misericordia', e non di pura gratificazione personale o di assistenzialismo. Egli, investito della grazia sacramentale, ricorda con la sua presenza che la fonte della misericordia è Dio Padre e che il nostro donare misericordia è una necessaria restituzione di quanto abbiamo ricevuto in dono. Il diacono rende continuamente visibile il radicamento all'altare di ogni agire ecclesiale, per evitare che i cristiani operino soltanto come agenti di un servizio sociale o che la Chiesa venga considerata come una ONG.

Infine, il diacono è chiamato costantemente a far sì che le opere di misericordia siano comunitarie, e non si limitino a iniziative individualistiche, capaci di trasformare forse una persona in un eroe, ma non in un testimone di unità. La misericordia porta sempre con sé il sigillo della comunione. Al diacono spetta il compito di animare l'agire pastorale della comunità cristiana per aiutare a crescere nella consapevolezza di essere l'unico Corpo di Cristo, nel quale ogni membro si mette umilmente a servizio dell'altro, soprattutto del più debole, per sostenere la vita di tutto il Corpo. Non vi è l'ansia di iniziative spettacolari in cui il diacono sia l'unico protagonista; piuttosto, vi è una costante preoccupazione di creare relazioni, in cui la donazione reciproca, l'impegno per il bene dei poveri, la generosa e coraggiosa creatività dell'amore sia radicata in una sincera ricerca di unità e di pace.

In questo modo il diacono, quale operatore e animatore di misericordia, contribuisce vivacemente a rendere la Chiesa, incarnata in ogni comunità cristiana, e in particolare la comunità parrocchiale, segno e strumento visibile della misericordia del Padre che vuole arrivare a tutte le periferie dell'esistente.

venerdì 15 gennaio 2016

Colui che riempie le anfore vuote del cuore


2a domenica del Tempo ordinario (C)
Isaia 62,1-5 • Salmo 95 • 1 Corinzi 12,4-11 • Giovanni 2,1-11
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Appunti per l'omelia

Questo, a Cana fu l'inizio dei segni… egli manifestò la sua gloria…
Gesù dà avvio alla salvezza partendo da una festa di nozze. Anziché asciugare lacrime egli riempie le anfore di vino. Sembra quasi di sprecare la sua potenza a servizio di una causa all'apparenza effimera. Eppure il Vangelo chiama questo «l'inizio dei segni», il capostipite di tutti.
Gesù a Cana vuole farci comprendere che l'essenziale della vita è la relazione che unisce Dio e l'umanità, perché tra l'uomo e Dio corre un rapporto nuziale, con tutto ciò che ne consegue: emozioni, amore, festa, gioco, dono, gioia. Un legame sponsale, non un rapporto giudiziario o penitenziale, nonostante la nostra fragilità. E Gesù partecipa con tutti i suoi alla celebrazione e proclama così il suo atto di fede nell'amore tra uomo e donna; perché lui crede nell'amore, lo ratifica con il suo primo prodigio. L'amore umano è una forza dove è custodita la passione per la vita, dove l'altro ha tutta la tua attenzione, dove la persona viene prima della legge, dove la speranza batte la rassegnazione. Dove nascono sogni.

Venuto a mancare il vino…
Il vino, in tutta la Bibbia, è il simbolo dell'amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio. Felice e sempre minacciato. Simbolo della fede e dell'entusiasmo, della creatività, della passione che vengono a mancare.
E la costatazione, forse sconsolata, sicuramente preoccupata, di Maria: Non hanno vino! Esperienza che tutti abbiamo fatto, quando stanchezza e ripetizione prendono il sopravvento. Significativo, però, proprio il giorno delle nozze… Quando l'amore è minacciato e necessita di sostegno… è fragile nella sua creaturalità, se svincolato dalla radice divina dell'Amore.

Qualsiasi cosa vi dica, fatela
Quando ci assalgono mille dubbi, quando gli amori sono senza gioia e le case senza festa, ecco che Maria, la madre attenta, sapiente della sapienza del Magnificat dove Dio sazia gli affamati di vita, ribalta la situazione e indica la strada: Qualsiasi cosa vi dica, fatela. Il femminile capace di unire il dire e il fare! Fate secondo la sua Parola, rendete il vangelo sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore, si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice.

A Cana è un Dio che ci sorprende, che si prende cura di noi e gode per la nostra e della nostra gioia, che si fa trovare dentro la nostra fragile umanità.


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Qualsiasi cosa vi dica, fatela (Gv 2,5)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (20/01/2013)
I suoi discepoli credettero in Lui ( Gv 2,11)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Gesù, lo Sposo (18/01/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 11.2015)
  di Marinella Perroni (VP 11.2012)
  di Claudio Arletti (VP 11.2009)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

giovedì 14 gennaio 2016

Il volto visibile del Padre invisibile


Nella preghiera di papa Francesco per il Giubileo della Misericordia è detto di Gesù che è «il volto visibile del Padre invisibile, del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia»: «Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e ci hai detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi».

Sant'Ireneo scrive nel trattato Contro le eresie: «Nessuno può conoscere il Padre senza il Verbo di Dio, cioè senza la rivelazione del Figlio, né alcuno può conoscere il Figlio senza la benevolenza del Padre. Il Figlio, poi, porta a compimento la benevolenza del Padre; infatti il Padre manda, mentre il Figlio è mandato e viene. Il Verbo conosce il Padre, per quanto invisibile e indefinibile per noi, e anche se è inesprimibile, viene da lui espresso. A sua volta, poi, solo il Padre conosce il suo Verbo.
Questa mutua relazione fra le Persone divine ci è stata rivelata dal Signore. Il Figlio con la sua manifestazione ci dà la conoscenza del Padre. Infatti la conoscenza del Padre viene dalla manifestazione del Figlio: tutto viene manifestato per mezzo del Verbo. Ora il Padre ha rivelato il Figlio allo scopo di rendersi manifesto a tutti per mezzo di lui, e di accogliere nella santità, nell'incorruttibilità e nel refrigerio eterno coloro che credono a lui. Credere a lui, poi, è fare la sua volontà. (…)
Il Padre era manifestato per mezzo dello stesso Verbo reso visibile e palpabile, quantunque non tutti vi credessero allo stesso modo; ma tutti videro il Padre nel Figlio: infatti il Padre è la realtà invisibile del Figlio, come il Figlio è la realtà visibile del Padre.
Il Figlio, poi, mettendosi al servizio del Padre, porta a compimento ogni cosa dal principio alla fine, e senza di lui nessuno può conoscere Dio. Conoscere il Figlio è conoscere il Padre. La conoscenza del Figlio viene a noi dal rivelarsi del Padre attraverso il Figlio. Per questo il Signore diceva: "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27). "Lo voglia rivelare": infatti non fu detto soltanto per il futuro, come se il Verbo abbia cominciato a rivelare il Padre quando nacque da Maria, ma vale in generale per tutti i tempi. Infatti fin da principio il Figlio, vicino alla creatura da lui plasmata, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando vuole e come vuole il Padre».

È nella nostra adesione alla persona di Gesù che impariamo le "cose del Padre", che ci vengono "riversate in abbondanza in seno per mezzo dello Spirito" e che per una sorta di "alchimia" divina ci trasformano nel Figlio. Farsi "imitatori di Cristo" sta proprio in questa nostra conformazione a Lui, che "non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la vita".

domenica 10 gennaio 2016

Il mio "servizio" sull'esempio di Gesù


Abbiamo celebrato oggi la festa del Battesimo di Gesù.
Quello che sempre mi colpisce seriamente è il modo di comportarsi del Figlio di Dio, il suo "essere" per noi, il suo mettersi al nostro livello, nella nostra condizione di precarietà creaturale, il suo camminare al nostro fianco…
Sono andato a rileggermi due miei interventi pubblicati su questo blog, relativi appunto a questa festa, che mi sono di luce per il ministero diaconale a cui sono chiamato.
Uno è del 12 gennaio del 2009, dal titolo Servi di Dio nel prossimo, e l'altro del 13 gennaio del 2013, dal titolo Farsi noi, per farci Lui.

Rivedo la scena: «In fila come tutti, confuso tra la folla, per farsi battezzare… È quel farsi simile in tutto a noi, solidale con noi peccatori pur essendo il Figlio di Dio, che mi attrae e diventa l'icona di ogni ministero, in particolare quello diaconale». Gesù, infatti, divenendo simile a noi tranne che nel peccato, diventa per me l'esempio, «l'unico, su cui conformare la mia vita, come peraltro il vescovo, prima di impormi le mani, mi ha chiesto: "Vuoi conformare tutta la tua vita sull'esempio di Cristo…?"».
L'esempio su cui modellare la mia vita è Gesù «in questo suo "svuotarsi", …e mi sono trovato "dentro" a questo "vuoto d'amore" che è l'Incarnazione… e con me tutta l'umanità peccatrice. In Lui ora io posso "fare penitenza", in Lui ora io mi sento "purificato", in Lui ora io mi sento "il figlio amato"… Quello che Lui fa diventa anche per me, ora, momento di predilezione, sacramento di salvezza. Ed è un "ora" che mi fissa nell'eterno!».
Gesù «ha voluto associarsi pubblicamente alla folla dei peccatori desiderosi di purificazione. È l'atteggiamento di chi inizia e poi esercita un ministero pubblico: questo immergersi nell'umanità fino ad "annullarsi" sulla croce; modello per chi vuol seguire Colui "che è venuto per servire e dare la vita"».
Si legge nel "Direttorio" dei diaconi, al nr. 45: «In particolare, per i diaconi la vocazione alla santità significa "sequela di Gesù in questo atteggiamento di umile servizio, che non s'esprime soltanto nelle opere di carità, ma investe e modella tutto il modo di pensare e di agire", per cui, "se il loro ministero è coerente con questo spirito, essi mettono maggiormente in luce quel tratto qualificante del volto di Cristo: il "servizio", per essere non solo "servi di Dio", ma anche servi di Dio nei propri fratelli».
«Questo essere servi di Dio nei propri fratelli significa farsi uno di loro, calandosi nella loro umanità, come Gesù, che ha iniziato il suo ministero "umiliandosi" col battesimo di Giovanni, assieme a tutti coloro che desideravano "purificarsi" per una vita di conversione a Dio. Gesù è uno di noi! Per questo ci chiama fratelli e ci fa entrare in comunione con il Padre».
Guardando a Gesù, comprendo sempre meglio che «il "servizio" del diacono è innanzitutto questo essere "uomo fra gli uomini" nella misura di Gesù».


venerdì 8 gennaio 2016

L'aprirsi del Cielo


Battesimo del Signore
Isaia 40,1-5.9-11 • Salmo 103 • Tito 2,11-14;3,4-7 • Luca 3,15-16.21-22
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Appunti per l'omelia

Mentre Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì
Al centro del brano evangelico odierno non è tanto posto il battesimo di Gesù, raccontato quasi come un inciso, ma l'aprirsi del cielo: Mentre Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì. Come si apre una breccia nelle mura, come quando si aprono le braccia agli amici, all'amato, ai figli, ai poveri. Il cielo si apre sotto l'urgenza dell'amore di Dio, sotto l'assedio dei poveri e nessuno lo rinchiuderà più.

E discese sopra di lui lo Spirito Santo
Però questo aprirsi del cielo non è l'aspetto definitivo, perché da quell'aprirsi discende su Gesù lo Spirito Santo. Spirito è parola che dice vita; vita, dal primo respiro di Dio che accese la fiamma misteriosa della vita nell'argilla che è Adamo, da prima ancora quando "aleggiava sulle acque"... E Santo significa sostanzialmente di Dio. «Discese lo Spirito Santo» si può quindi tradurre anche: «Discese la vita di Dio». Alito divino che rianima la fiamma smorta, respiro profondo dell'essere, soffio di vita nuova.

Tu sei il Figlio mio, l'amato
E poi ci fu una voce: «Tu sei il Figlio mio, l'amato». Il brano è come una miniatura di tutto il Vangelo e ne racconta alcune delle verità più alte. Racconta la Trinità per simboli: una voce, un figlio, una colomba. Racconta Gesù: il Figlio che si fa fratello, che si immerge solidale nel fiume dell'umanità. Racconta l'uomo: un fratello che diventa figlio.

Dio ha effuso su di noi lo Spirito Santo, con un'acqua che rigenera e rinnova
Il cielo che si apre parla anche di noi. Lo Spirito e la Voce sono discesi anche sul nostro battesimo: vita di Dio in me, dilatazione del cuore, incarnazione che non si arresta. Io amato come Gesù, Dio che preferisce ciascuno, ognuno come figlio prediletto.

Figlio è il somigliante al padre, colui che compie le stesse sue azioni, che prolunga nella sua vita la vita del padre. Allora è anche per noi il desiderio struggente di fare qualcosa che assomigli a ciò che è detto di Gesù: «Passò nel mondo facendo del bene e guarendo ogni male».
Sintesi bellissima della vicenda di Gesù, ma anche di ognuna delle nostre vite. Passare nel mondo facendo del bene, splendendo per un istante anche se nessuno guarderà il mio lucente sguardo. Anche un solo gesto così rende più grande l'universo!


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
In te ho posto il mio compiacimento (Lc 3,22)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa f/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (13/01/2013)
Tu sei il Figlio mio: l'amato (Lc 3,22)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Essere scelti dall'amore eterno di Dio (11/01/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 11.2015)
  di Marinella Perroni (VP 11.2012)
  di Claudio Arletti (VP 11.2009)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

mercoledì 6 gennaio 2016

La stella e il cuore


Guidati da una stella i Magi attraversano il deserto e si fermano dinanzi ad un umile bambino:
Dio che si è fatto Bambino.
La riflessione del vescovo tedesco Klaus Hemmerle (1929-1994).




La stella non si è ingannata,
quando ha chiamato chi era più lontano,
perché s'incamminasse verso il Dio a lui vicino.

La stella non si è ingannata,
indicando la via del deserto,
la più umile, la più dura.

La stella non si è ingannata,
fermandosi sopra la casa
di gente umile:
è nato là il grande futuro.

Il tuo cuore non si è ingannato,
mettendosi in cammino
in cerca dell'ignoto.

Il tuo cuore non si è ingannato,
non cedendo
alla vana impazienza.

Il tuo cuore non si è ingannato,
inginocchiandosi
dinanzi al Bambino.

Klaus Hemmerle – DIO SI È FATTO BAMBINO – pag.11 – Città Nuova 2007

martedì 5 gennaio 2016

Il cammino per l'incontro con Dio


Epifania del Signore
Isaia 60,1-6 • Salmo 71 • Efesini 3,2-3a.5-6 • Matteo 2,1-12
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Abbiamo visto spuntare la sua stella…
A Natale è Dio che cerca l'uomo. All'Epifania, è l'uomo che cerca Dio. Ed è tutto un germinare di segni: come segno Maria ha un angelo, Giuseppe un sogno, i pastori un Bambino nella mangiatoia, ai Magi basta una stella, a noi bastano i Magi. Un segno c'è sempre, per tutti, anche oggi. Spesso si tratta di piccoli segni, sommessi; più spesso ancora si tratta di persone che sono epifanie di bontà, incarnazioni viventi di Vangelo, che hanno occhi e parole come stelle. L'uomo è la stella: «percorri l'uomo e troverai Dio», dice sant'Agostino. Perché Dio non è il Dio dei libri, ma della carne in cui è disceso.

Alza gli occhi intorno e guarda
Ecco il primo passo: Alza il capo e guarda!, come ci sprona Isaia. La vita è uscire da sé, guardare in alto; uscire dal piccolo perimetro del sangue, dal nostro Narciso, verso il grande giro delle stelle verso l'Altro. Aprire le finestre di casa ai grandi venti; e mettersi in strada dietro una stella che cammina, perché per trovare Cristo occorre andare, indagare, sciogliere le vele, viaggiare con l'intelligenza e con il cuore. Cercare è già un po' trovare, ma trovare Cristo vuol dire cercarlo ancora. Andando però insieme, come i magi: piccola comunità, solitudine già vinta. Come loro fissando al tempo stesso gli abissi del cielo e gli occhi delle creature.

Allora Erode li inviò a Betlemme
In questo cammino nell'incontro con Dio, occorre non temere gli errori. Occorre l'infinita pazienza di ricominciare, e di interrogare di nuovo la Parola e la stella, non come fa uno scriba, ma come fa un bambino. Con lo sguardo semplice e affettuoso del bambino.

Si prostrarono e lo adorarono… e per un'altra strada fecero ritorno…
Adorare e donare. Il dono più prezioso che i Magi possono offrire è il loro stesso viaggio, lungo quasi due anni; il dono più grande è il loro lungo desiderio. Dio desidera che abbiamo desiderio di lui.
Per un'altra strada ritornarono al loro paese. Anche il ritorno a casa è strada nuova, perché l'incontro ormai ci ha fatti nuovi.


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Videro il bambino... si prostrarono e lo adorarono (Mt 2,11)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa f/r per A5)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
Nel "Nulla d'amore" di Dio (5/1/2015)
Essere "epifania" di Dio (4/1/2014)
L'incontro con Gesù, nella "casa", con Maria (4/1/2013)
Guardare oltre, con nel cuore il mondo (5/1/2012)

Vedi anche i post:
La Stella, il dono che porta (6/1/2011)
Lo scambio dei doni (5/1/2010)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 11.2015)
  di Luigi Vari (VP 1.2015)
  di Gianni Cavagnoli (VP 2013)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Marinella Perroni (VP 2010)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi (vol. A)
  di Enzo Bianchi (vol. B)
  di Enzo Bianchi (vol. C)

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

domenica 3 gennaio 2016

Incarnazione senza astrazioni


La carità che anima la nostra diaconia ha la sua radice nell'Amore di Dio. L'incarnazione del Verbo è l'espressione massima di questo amore. Un amore concreto, specifico, totalmente dimentico di sé: è l'umanizzazione di Dio.
Nell'articolo che riporto ho trovato espressa molto bene questa realtà.


Articolo tratto da www.monasterodibose.it
pubblicato su Jesus, Dicembre 2015
di Enzo Bianchi

Al cuore della nostra fede c'è il mistero dell'incarnazione di Dio: Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth, il quale è nato, ha vissuto, è morto quale umana creatura nella storia e in mezzo all'umanità. Tuttavia, questa fede che noi confessiamo non sempre ci appare in tutte le sue conseguenze: ripetiamo che Dio si è fatto uomo, ma poi non approfondiamo, non osiamo dare alla carne di Gesù il peso che merita, la realtà che essa è in un corpo umano.
Innanzitutto, dire che Dio si è incarnato significa dire che non si è fatto uomo in generale, non ha semplicemente unito la natura umana alla sua qualità di Figlio di Dio, ma che è diventato un uomo "singolare", preciso. E questo è avvenuto nascendo da Maria di Nazareth – "nato da donna", scrive san Paolo (Gal 4,4) – ma cresciuto nel mondo a poco a poco, costruendosi in una persona plasmata dalla famiglia natale, dalle esperienze vissute, dalle contraddizioni affrontate, dal bene e dal male che ha dovuto riconoscere nel mondo e tra gli esseri umani. Dovremmo dire non solo che Dio si è incarnato, ma Dio si è umanizzato! Non facciamo letture cariche di supposizioni o di ipotesi psicologiche – tanto praticate oggi, ma svianti e sovente insensate – atteniamoci invece ai vangeli.
La venuta del Figlio di Dio che rinunciava al privilegio della sua condizione di Dio, spogliandosi degli attributi divini, non poteva avvenire se non in una famiglia credente e povera tra quelli che erano gli anawim, i "curvati", i poveri che aspettavano la salvezza solo da Dio. E sua madre, Maria, e suo padre secondo la legge, Giuseppe, accolgono Gesù e lo mettono al mondo dandogli quell'amore e quella fiducia indispensabili a un bambino per crescere.
Anche nel rapporto filiale con Maria e Giuseppe, Gesù ha vissuto fatiche, difficoltà, contraddizioni… Certo, Maria era una donna che viveva dell'obbedienza alla parola di Dio, e Giuseppe è detto "uomo giusto", dunque erano dei buoni genitori, ma questo non risparmia a Gesù le difficoltà quotidiane che si incontrano crescendo in una famiglia umana. In questo modo Gesù si umanizza come ogni essere umano e la sua personalità viene plasmata dalle relazioni con quei precisi parenti ("fratelli e sorelle di Gesù"), in quel preciso villaggio di Nazareth, con quanti frequentavano la sua famiglia e l'officina del carpentiere Giuseppe. Così è cresciuto umanizzandosi, imparando a "diventare un uomo", a plasmare la sua personalità con il bagaglio ricevuto (la natura) e la storia in cui era immesso (la cultura). Dio, suo Padre, ha saputo rispettare la crescita autonoma di Gesù, senza mai fargli mancare l'ispirazione, la grazia, la fedeltà. La Lettera agli Ebrei lo dice con chiarezza: "Gesù imparò attraverso le sofferenze patite l'obbedienza filiale" (Eb 5,8).
Purtroppo in molti cristiani questa immagine di Gesù veramente umano, umanissimo, è assente perché la sua qualità di Dio pare potersi affermare solo a scapito della sua qualità umana. L'umanizzazione di Dio ci scandalizza, e d'altronde questa è una verità solo cristiana, aborrita dai monoteismi, sia quello giudaico che quello dell'islam. Resta la verità dei vangeli: Gesù non è stato uomo per finta, non era solo simile a noi, era "della nostra stessa pasta", come dicevano i primi padri della chiesa. E se i vangeli non ci parlano di Gesù nella crescita e nella giovinezza è perché non c'era nulla da dire, essendo la sua vita così ordinaria e quotidiana. Tuttavia non si finisca per pensare che questa umanissima condizione di Gesù gli impedisse di ascoltare Dio in un modo personalissimo, unico, come unica era la sua venuta nel mondo: unica ma sempre umanissima. "Cresceva in sapienza, in taglia e in grazia presso Dio e presso gli uomini" (Lc 2,52) e quindi sapeva afferrare nella sua esistenza umana ciò che Dio Padre voleva da lui, anche quando Giuseppe e Maria non lo capivano.

sabato 2 gennaio 2016

La profondità ultima del Natale: Dio nell'uomo


2a domenica dopo Natale (C)
Siràcide 24,1-4.12-16 • Salmo 147 • Efesini 1,3-6.15-18 • Giovanni 1, 1-18
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

E il Verbo si è fatto carne
La liturgia propone lo stesso Vangelo del giorno di Natale, perché Natale si conquista lentamente. Lo stesso Vangelo, ma con una differenza: mentre a Natale l'attenzione, e l'emozione, erano rivolte alla discesa di Dio nella carne, nel tempo, nella notte, le letture oggi ci suggeriscono il movimento inverso. Si apre per noi come uno sfondamento del tempo verso l'eterno. Ora è la carne che è assunta dalla Parola, il sangue sale verso il cielo, l'uomo verso Dio. E il Verbo si è fatto carne: Dio ricomincia da Betlemme. Colui che aveva plasmato Adamo con la polvere del suolo, diventa lui stesso argilla di piccolo vaso. Da allora c'è un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo; santità e luce in ogni vita. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. Nessuno potrà dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme.

A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio
Cristo nasce perché io nasca, perché nasca nuovo e diverso. La sua nascita vuole la mia nascita. Gesù non è venuto a portare un elenco di verità, ma vita da vivere; non ci ha comunicato una teoria religiosa, ma una forza di vita. Ha dato il potere, afferma Giovanni, non la semplice opportunità o l'occasione di diventare figli di Dio, ma il potere, la forza, l'energia, la vitalità per spalancare le porte, per varcare le soglie. Il Verbo come forza in noi. In questa carne Cristo è, in questi dubbi, in questi abbandoni, in questa fatica di credere, in questa gioia di credere. È in noi per dirci: amo la tua solitudine, il tuo cercare, amo le tue lacrime, anche la tua debolezza. Non c'è nulla della tua vita che mi lasci indifferente. Tu mi interessi, con la storia del tuo cuore, con la storia della tua casa. Voglio essere in te come luce e come sole, come strada e come pane, come roccia e come nido.
A quanti l'hanno accolto: Dio non si merita, si accoglie. L'uomo diventa ciò che accoglie in sé, ciò che lo abita. Vita vera è essere abitati da Dio. Ecco la profondità ultima del Natale: Dio nell'uomo.


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il Figlio unigenito: è Lui che ha rivelato Dio (cf Gv 1,18)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa f/r per A5)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
Figli come Gesù e in Gesù (2/01/2015)
Figli della Luce, generati dalla Parola (3/01/2014)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Gianni Cavagnoli (VP 2013)
  di Marinella Perroni (VP 2010)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Claudio Arletti (VP 2008)

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)


venerdì 1 gennaio 2016

Vinci l'indifferenza e conquista la pace


1° gennaio 2016 - 49a Giornata mondiale della pace

Papa Francesco, nel messaggio per questa Giornata, invita tutti a convertire il cuore dall'indifferenza alla misericordia. Chiede agli Stati del mondo attenzione verso i detenuti, i migranti, i poveri e i malati, e soprattutto un fermo no alla guerra, apertura alla cancellazione del debito e al rispetto della vita dei nascituri.
Nonostante guerre, persecuzioni, terrorismo, l'invito del Papa è volto ad evidenziare segnali di speranza per «superare il male e non abbandonarsi alla rassegnazione e all'indifferenza». «Nello spirito del Giubileo della Misericordia, ciascuno è chiamato a riconoscere come l'indifferenza si manifesta nella propria vita e ad adottare un impegno concreto per contribuire a migliorare la realtà in cui vive, a partire dalla propria famiglia, dal vicinato o dall'ambiente di lavoro».

Alcuni stralci del messaggio:
«Dio non è indifferente! A Dio importa dell'umanità, Dio non l'abbandona! All'inizio del nuovo anno, vorrei accompagnare con questo mio profondo convincimento gli auguri di abbondanti benedizioni e di pace, nel segno della speranza, per il futuro di ogni uomo e ogni donna, di ogni famiglia, popolo e nazione del mondo, come pure dei Capi di Stato e di Governo e dei Responsabili delle religioni. Non perdiamo, infatti, la speranza che il 2016 ci veda tutti fermamente e fiduciosamente impegnati, a diversi livelli, a realizzare la giustizia e operare per la pace. Sì, quest'ultima è dono di Dio e opera degli uomini. La pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo.
Le guerre e le azioni terroristiche, con le loro tragiche conseguenze, i sequestri di persona, le persecuzioni per motivi etnici o religiosi, le prevaricazioni, hanno segnato dall'inizio alla fine lo scorso anno moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni del mondo, tanto da assumere le fattezze di quella che si potrebbe chiamare una "terza guerra mondiale a pezzi". Ma alcuni avvenimenti degli anni passati e dell'anno appena trascorso mi invitano, nella prospettiva del nuovo anno, a rinnovare l'esortazione a non perdere la speranza nella capacità dell'uomo, con la grazia di Dio, di superare il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all'indifferenza. Gli avvenimenti a cui mi riferisco rappresentano la capacità dell'umanità di operare nella solidarietà, al di là degli interessi individualistici, dell'apatia e dell'indifferenza rispetto alle situazioni critiche».
«Voglio invitare la Chiesa a pregare e lavorare perché ogni cristiano possa maturare un cuore umile e compassionevole, capace di annunciare e testimoniare la misericordia, di "perdonare e di donare", di aprirsi "a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica", senza cadere "nell'indifferenza che umilia, nell'abitudinarietà che anestetizza l'animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge"».

Alcune forme di indifferenza:
«La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l'indifferenza verso il prossimo e verso il creato».
«L'indifferenza verso Dio supera la sfera intima e spirituale della singola persona ed investe la sfera pubblica e sociale. Tale atteggiamento di indifferenza può anche giungere a giustificare alcune politiche economiche deplorevoli, foriere di ingiustizie, divisioni e violenze, in vista del conseguimento del proprio benessere o di quello della nazione».
«A livello individuale e comunitario l'indifferenza verso il prossimo, figlia di quella verso Dio, assume l'aspetto dell'inerzia e del disimpegno, che alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e grave squilibrio sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti o, in ogni caso, generare un clima di insoddisfazione che rischia di sfociare, presto o tardi, in violenze e insicurezza».

Dall'indifferenza alla misericordia: la conversione del cuore.
«Gesù ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre (cfr Lc 6,36). Nella parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,29-37) denuncia l'omissione di aiuto dinanzi all'urgente necessità dei propri simili: "lo vide e passò oltre" (cfr Lc 10,31.32). Nello stesso tempo, mediante questo esempio, Egli invita i suoi uditori, e in particolare i suoi discepoli, ad imparare a fermarsi davanti alle sofferenze di questo mondo per alleviarle, alle ferite degli altri per curarle, con i mezzi di cui si dispone, a partire dal proprio tempo, malgrado le tante occupazioni. L'indifferenza, infatti, cerca spesso pretesti: nell'osservanza dei precetti rituali, nella quantità di cose che bisogna fare, negli antagonismi che ci tengono lontani gli uni dagli altri, nei pregiudizi di ogni genere che ci impediscono di farci prossimo.
La misericordia è il cuore di Dio. Perciò dev'essere anche il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri dell'unica grande famiglia dei suoi figli».

La pace, infatti, è frutto di una cultura di solidarietà, misericordia e compassione.