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giovedì 19 maggio 2016

Visitare i malati


Riprendo l'approfondimento delle Opere di Misericordia attraverso le riflessioni di Enzo Bianchi, Priore di Bose, pubblicate su Vita Pastorale, cercando di "recuperare l'elementare grammatica dell'amore misericordioso di Dio".

Le opere di misericordia/6
Visitare i malati


Visitare, curare e assistere i malati è un'azione che prima o poi tocca a ognuno di noi.

Visitare i malati, oltre ad essere una decisione che esige responsabilità, richiede anche di vincere la paura, di accettare la propria impotenza, di rinunciare ad essere protagonisti, per stare accanto all'altro senza pretese e senza imbarazzi.



Tra tutte le azioni di misericordia corporale, quella di visitare i malati appare la più attestata nella storia del cristianesimo, anche perché tutte le altre azioni solitamente sono rivolte a corpi di uomini e donne che non fanno parte della propria famiglia, mentre visitare, curare e assistere i malati è un'azione che prima o poi tocca a ognuno di noi, almeno nei confronti di quelli legati a noi da parentela o con i quali viviamo. Tuttavia visitare i malati resta un'azione difficile, faticosa, sovente oggi tralasciata per molte ragioni che sembrano esonerarci dalla concreta azione, corpo a corpo, nei loro confronti.

Il malato sottratto ai "suoi"
Il processo di una crescente medicalizzazione, l'organizzazione settoriale della medicina e lo sviluppo scientifico hanno progressivamente sottratto il malato ai "suoi", così che, di fatto, tutti noi siamo obbligati ad affidarne ad altri la cura. […]
Ma chiediamoci: perché visitare gli infermi? Perché noi umani prima o poi siamo tutti segnati dall'infermità, dalla malattia, a volte passeggera, a volte un cammino verso la morte. Quando diventiamo malati, in qualche modo diventiamo poveri anche se eravamo ricchi, diventiamo deboli anche se eravamo forti, diventiamo bisognosi anche se eravamo autonomi. Dopo la solidarietà nel peccato, la seconda solidarietà universale che sperimentiamo e viviamo è quella dell'infermità. La malattia è parte integrante della nostra vita, la sofferenza non può essere rimossa, e comunque, per andarcene da questo mondo, quasi sempre dobbiamo passare attraverso una diminutio della forza, delle facoltà, della salute. […]
Il Signore però ci chiede non solo compassione ma anche misericordia, che è un impegno volontario, scelto e assunto per l'altro, per la sua salute e la sua vita. Un impegno che non si limita ai consanguinei, a quelli che amiamo, ma che deve dilatarsi e raggiungere anche chi è lontano da me, dalla mia fede, dalla mia cultura, dalla mia simpatia. Perché la misericordia non è un'emozione o un tratto del carattere, ma è un'assunzione di responsabilità fino a un concreto impegno verso gli altri, fossero anche lontani, estranei o nemici: quando accade la prossimità, l'incontro, nessuno può sottrarsi all'azione di misericordia, nel nostro caso all'assistere il malato.
[…]
Il malato non sia uno scarto
Al cristiano, ma più in generale ad ogni persona, si impone di compiere l'azione del visitare il malato, di andarlo a trovare, di non lasciarlo solo ma di dargli dei segni che mostrano come egli non sia abbandonato, non sia uno scarto perché non più munito delle forze e della salute. Quasi sempre - dobbiamo confessarlo - la fatica e la sofferenza della malattia sono aumentate proprio dalla solitudine, dall'isolamento, dalla scomparsa delle relazioni quotidiane con chi si ama. Il malato non misura solo la sua progressiva diminutio fisica e la sua accresciuta fragilità psichica, ma anche la distanza che la malattia ha creato tra sé e la vita di relazione, tra sé e gli altri.
Certo, visitare i malati, oltre ad essere una decisione consapevole che esige responsabilità, richiede anche di vincere la paura, di accettare la propria impotenza, di rinunciare ad essere protagonisti di buone azioni, per stare accanto all'altro senza pretese e senza imbarazzi. L'incontro con un malato, se avviene in verità, ci disarma e mette a confronto due impotenze, umanizzando così entrambi. L'incontro con il malato esige sempre disciplina: occorre saper tacere e saper parlare con discernimento, non imporre la propria visione e i propri desideri al malato, non finire per fare del malato un'occasione di protagonismo caritativo. […]
[…]
L'esperienza della sofferenza
E infine una raccomandazione: non si distingua tra i malati e si sradichi quella sciocca vulgata del dolore o della malattia innocente dei bambini piccoli. Non c'è dolore innocente o tutto il dolore è innocente, perché nessuno soffre una malattia per il peccato commesso. Quasi sempre è sproporzionato il dolore arrecato dalle sofferenze che si patiscono nella malattia. Il dolore e la sofferenza appartengono alla nostra condizione umana e colpiscono vecchi e bambini, uomini e donne, tutti. Per ora, finché viviamo, dobbiamo combattere le malattie con i mezzi che abbiamo: le medicine, certo, ma soprattutto i rapporti umani di cura, affetto, comunicazione, rispetto. Il malato, come il povero, ha una cattedra, un insegnamento per ciascuno di noi, perché ci fa conoscere la nostra debolezza e fragilità, la nostra capacità di resistenza, la necessaria sottomissione alla morte quando la resistenza non è più efficace.
[…]
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(Immagine: Visitare infirmos, Pitinghi 2008, San Miniato PI)

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