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lunedì 2 maggio 2016

Diacono: ministro… senza portafoglio


Nel numero 1/2016 del trimestrale Unità nella carità, della Pia Società San Gaetano di Vicenza, Istituto religioso formato da preti e diaconi, riporto questo articolo di don Luca Garbinetto, sul ruolo "essenziale" del diacono.


Diacono: ministro… senza portafoglio

La sola presenza del diacono è richiamo costante alla gestione del potere ecclesiale in totale spogliazione dai propri egoismi

Quando si vuol insinuare che una persona riveste un ruolo, ma non ha gli strumenti per svolgere adeguatamente il compito che gli è richiesto, ci si rifà a questa espressione, presa in prestito dal mondo della politica: un ministro di un governo non può infatti fare gran che se non dispone di risorse economiche!
In che modo questo modo di dire può essere attribuito al diacono, per aiutarci a comprenderne l'identità?
Nei primi secoli del cristianesimo, ai diaconi era spesso affidato il compito di amministrare i beni della Chiesa: in questo modo essi potevano coordinare numerosi interventi caritativi a favore dei poveri. Rimane emblematico l'esempio del diacono Lorenzo a Roma. Oggi tale esercizio amministrativo non è più tanto frequente tra gli uffici affidati ai diaconi, forse perché nel corso della storia esso è stato uno dei motivi di conflitto con i presbiteri, che ha contribuito a portare alla scomparsa per più di un millennio del diaconato permanente.
Più opportunamente, mi sembra di dover fare riferimento al diacono in quanto ministro ordinato, e dunque rivestito della grazia sacramentale in un ministero che lo abilita alla cura pastorale della comunità cristiana, ma senza riconoscergli specifici "poteri", a lui solo attribuiti. Si tratta dell'annosa questione che fa del diacono un membro del clero, ma senza che questa vocazione lo differenzi dai laici in particolari compiti o facoltà che non possano esercitare anche loro, a parte qualche compito di supplenza del presbitero, che però in questi casi è appunto proprio di un ruolo subordinato a quello sacerdotale.
Insomma, il diacono riceve la potenza della grazia sacramentale nel ministero dell'ordine, ma senza... particolari poteri! Per qualcuno, questa considerazione è stata sufficiente per mettere in discussione la natura sacramentale dell'ordinazione diaconale. A noi, invece, certi dell'azione dello Spirito e stimolati a lasciarci provocare dalla presenza ormai ineludibile del diaconato nella Chiesa, viene un dubbio: non sarà che invece lo specifico del diacono sia proprio quello di essere un ministro che esercita il potere... senza potere? Il tema del potere e della sua gestione è molto serio nella Chiesa, come nel mondo in generale. Il diaconato, come manifestazione di Cristo Servo, è senza dubbio una presenza profetica che il Concilio Vaticano II ha voluto per restituire vigore evangelico alla sua missione pastorale. Ma il fatto di essere configurato a Cristo Servo potrebbe rischiare di rimanere soltanto una pia esortazione, se nel dono di grazia non vi fosse qualcosa di particolare che fa del diacono segno e strumento a prescindere dalle proprie attitudini personali. Proprio come avviene per il sacerdote che presiede l'Eucaristia e consacra, oppure che assolve, per il quale l'atto di consacrare e di assolvere è valido ed efficace anche se egli è incoerente con il suo stile di vita. Così pure, il diacono probabilmente è segno efficace di una ministerialità vissuta come servizio e di una autorità assunta con la logica della lavanda dei piedi soltanto se... il potere non si fonda su prerogative e punti di forza che possono tentarlo di sentirsi "un gradino più in alto degli altri".
L'autorevolezza del diacono non si poggia su prerogative sacrali, né su etichette e ruoli di comando inderogabili. È la sua debolezza costitutiva, il suo bisogno di affiancarsi al vescovo e al suo presbiterio, la sua inutilità se non vi è una comunità da servire e con cui interagire ciò che rende il diaconato efficace per il solo fatto di esistere. La grazia sacramentale, ricca della sua povertà, agisce proprio in questa dinamica esistenziale, che è di costante espropriazione nel dono gratuito di sé. Si comprende da questi cenni quanto la vocazione al diaconato sia una spina conficcata nella carne della Chiesa, Corpo di Cristo, perché la sua sola presenza è richiamo costante alla gestione del potere in totale spogliazione dai propri egoismi. Ma si percepisce pure come il diacono sia chiamato a una costante crescita umana e spirituale che rende il suo ruolo assai più essenziale e meno funzionale di quanto si voglia a volte relegare.

(Le sottolineature in grassetto sono mie)

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