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sabato 16 aprile 2016

Il Papa a Lesbo ci ricorda
 "L'avete fatto a me…" del Vangelo


L'amico e teologo Giovanni Chifari mi ha segnalato un suo articolo apparso nel sito Vatican Insider - La Stampa:
«Il Papa a Lesbo per essere "contemporaneo" del Vangelo, ma non espressione di un'ecclesiologia di tipo funzionale, sbilanciata sul fare.
Di fronte all'enfasi di possibili letture, una Chiesa discepola e sposa del suo Signore, saprà riscoprire le sorgenti del suo servizio, della sua diaconia verso i poveri e gli ultimi, in quella costante osmosi tra PAROLA ed EUCARESTIA…
Mi sembra sia altresì tempo per la nostra Chiesa, più sensibile al servizio, di riscoprire ulteriormente, la dimensione del diaconato, paradigma sacramentale di un servizio centrato su Cristo.
Questo spunto intende lavorare, secondo i parametri di un testo agile e veloce, con brevi input e "pillole teologiche", tipico dell'odierna comunicazione giornalistica (ma anche dei lettori di quest'odierna stagione ecclesiale) per questa consapevolezza».

Questo l'articolo:

Il Papa a Lesbo ci ricorda "L'avete fatto a me…" del Vangelo
Le riflessioni del teologo Chifari con il confronto tra diverse concezioni della Chiesa. "Per non cadere nell'attivismo di una ecclesiologia sbilanciata sul fare si dovrà con umiltà riscoprire il primato della Parola di Dio e la centralità dell'Eucarestia. Da queste sorgenti nasce il servizio".

"In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,41). Il Vangelo lascia sempre risuonare lo scandalo della croce di Cristo e ci aiuta a leggere il piano di Dio sulla storia. Quale il senso di questa lunghissima crisi? Quale discernimento spirituale di questo tempo? Necessario un surplus di Spirito, come suggeriva a suo tempo già il Vescovo Ireneo di Lione: "L'uomo è spirituale non se elimina la carne ma grazie alla partecipazione dello Spirito" (Adv. Haer., V,6,1). L'insistenza allora non è sul fare ma sul riconoscere il volto di Cristo nell'altro. Ciò significa, in altri termini, vedere le cose, il mondo, la storia, così come le vede Dio, mediante il dono della Sapienza, e anche poter capire le stesse cose come le capisce Dio, ed ecco il dono dell'intelletto.

Molti ricorderanno che Papa Francesco ha presentato queste tematiche nelle Udienze del 9 e 30 aprile del 2014. La partecipazione dello Spirito annulla le distanze, crea ponti, unendo popoli e nazioni. Lo Spirito aiuta a riconoscere nell'altro il volto di Cristo, un volto misericordioso verso gli ultimi e gli oppressi ma che sa farsi severo verso quanti dichiarano di volerlo servire ma poi non lo seguono (cf. Gv 12,26). Profilo di chi potrà magari vantarsi di aver profetato, scacciato demoni, compiuto prodigi nel nome di Gesù ma poi potrà sentirsi dire: "Non vi ho mai conosciuti" (Mt 7,23). Ammonimento per quanti rischiano di subire l'incanto del fare, e assaporano il fascino di una chiesa in uscita e di periferia, ma non stanno seguendo il Signore. In verità Papa Francesco ha stigmatizzato fin da subito questa possibilità, quando nel primo incontro con i cardinali ha detto che la Chiesa non è una ONG. E allora per non cadere nell'attivismo di una ecclesiologia di tipo funzionale, sbilanciata sul fare, si dovrà con umiltà riscoprire il primato della Parola di Dio e la centralità dell'Eucarestia, e cioè un'ecclesiologia di tipo ontologico. Da queste sorgenti nasce il servizio. In questa luce, uno dei frutti del pontificato di Papa Francesco è quello di aver offerto una diagnosi corretta delle patologie spirituali che affliggono l'odierna umanità e aver suggerito di conseguenza un modello ecclesiologico di una Chiesa ospedale da campo, che cura e fascia le ferite, si fa compagna di strada, non indica soltanto la meta ma si mette in cammino, caricando sul suo carro, si pensi al Buon Samaritano, i feriti che incontra lungo la strada. Ma lo fa non per una vision ma perché si è fatta discepola del suo Signore nell'ascolto della Parola e nella fractio panis.

Si tratta di rendere giustizia a quanto suggerito da quell'evento di grazia che è stato il Concilio Vaticano II, dove il modello di una Chiesa povera per i poveri, caro al Cardinal Lercaro e a Giuseppe Dossetti, si doveva realizzare a partire dal docile ascolto della Parola di Dio che sempre conduce a riconoscere il Cristo nell'Eucarestia e poi a servirlo nei fratelli. Non è un caso che proprio il Concilio Vaticano II, forte di questa esperienza spirituale, abbia deciso di ripristinare il diaconato, il primo grado dell'unico sacramento dell'Ordine sacro. Quando la Chiesa scopre infatti l'Eucarestia come propria fons et culmen allora scopre anche i poveri e gli ultimi. E il diaconato è paradigma e cifra di un servizio che è anche mediazione, diaconia che annuncia il kerigma, vive nell'inevidenza della quotidianità la propria tensione profetica e si pone a servizio dell'accompagnamento alla fede del popolo di Dio. Ma ad oggi, quanti ne hanno compreso il reale valore?

La presenza del Papa a Lesbo è allora da leggere come un invito alla conversione. Il Vangelo è chiarissimo nell'offrirci un criterio di interpretazione: "Dai loro frutti li riconoscerete" (Mt 7,20). E diversi germogli iniziano a fiorire, dal dialogo ecumenico e fra le Nazioni fino ad una tematica forse un po' trascurata come il riavvicinamento di diversi giovani alla fede. Un Papa che testimonia coerentemente una fede credibile è strumento di pace e di riconciliazione.

Ma sarebbe un errore fermarsi a colui che media e testimonia la Sapienza e la Misericordia divina, si dovrà invece aprirsi alla gioia, per quanto il Signore opera attraverso i suoi servi e poi lasciarsi attrarre da una Sapienza misericordiosa che nasce dal cuore stesso di Dio.

(fonte: www.lastampa.it, 15/04/2016)

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