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sabato 31 gennaio 2015

Solidali per la Vita


Domenica 1° febbraio 2015 – 37a Giornata per la Vita

Ecco il Messaggio dell'Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia della Conferenza Episcopale Italiana.

SOLIDALI PER LA VITA

«I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l'esperienza e la saggezza della loro vita». Queste parole ricordate da Papa Francesco1 sollecitano un rinnovato riconoscimento della persona umana e una cura più adeguata della vita, dal concepimento al suo naturale termine. È l'invito a farci servitori di ciò che "è seminato nella debolezza" (1Cor 15,43), dei piccoli e degli anziani, e di ogni uomo e ogni donna, per i quali va riconosciuto e tutelato il diritto primordiale alla vita2.
Quando una famiglia si apre ad accogliere una nuova creatura, sperimenta nella carne del proprio figlio "la forza rivoluzionaria della tenerezza"3 e in quella casa risplende un bagliore nuovo non solo per la famiglia, ma per l'intera società.
Il preoccupante declino demografico che stiamo vivendo è segno che soffriamo l'eclissi di questa luce. Infatti, la denatalità avrà effetti devastanti sul futuro: i bambini che nascono oggi, sempre meno, si ritroveranno ad essere come la punta di una piramide sociale rovesciata, portando su di loro il peso schiacciante delle generazioni precedenti. Incalzante, dunque, diventa la domanda: che mondo lasceremo ai figli, ma anche a quali figli lasceremo il mondo?
Il triste fenomeno dell'aborto è una delle cause di questa situazione, impedendo ogni anno a oltre centomila4 esseri umani di vedere la luce e di portare un prezioso contributo all'Italia. Non va, inoltre, dimenticato che la stessa prassi della fecondazione artificiale, mentre persegue il diritto del figlio ad ogni costo, comporta nella sua metodica una notevole dispersione di ovuli fecondati, cioè di esseri umani, che non nasceranno mai.
Il desiderio di avere un figlio è nobile e grande; è come un lievito che fa fermentare la nostra società, segnata dalla "cultura del benessere che ci anestetizza"5 e dalla crisi economica che pare non finire. Il nostro paese non può lasciarsi rubare la fecondità.
È un investimento necessario per il futuro assecondare questo desiderio che è vivo in tanti uomini e donne. Affinché questo desiderio non si trasformi in pretesa occorre aprire il cuore anche ai bambini già nati e in stato di abbandono. Si tratta di facilitare i percorsi di adozione e di affido che sono ancora oggi eccessivamente carichi di difficoltà per i costi, la burocrazia e, talvolta, non privi di amara solitudine. Spesso sono coniugi che soffrono la sterilità biologica e che si preparano a divenire la famiglia di chi non ha famiglia, sperimentando "quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita" (Mt 7,14).
La solidarietà verso la vita – accanto a queste strade e alla lodevole opera di tante associazioni – può aprirsi anche a forme nuove e creative di generosità, come una famiglia che adotta una famiglia. Possono nascere percorsi di prossimità nei quali una mamma che aspetta un bambino può trovare una famiglia, o un gruppo di famiglie, che si fanno carico di lei e del nascituro, evitando così il rischio dell'aborto al quale, anche suo malgrado, è orientata.
Una scelta di solidarietà per la vita che, anche dinanzi ai nuovi flussi migratori, costituisce una risposta efficace al grido che risuona sin dalla genesi dell'umanità: "dov'è tuo fratello?"(cfr. Gen 4,9). Grido troppo spesso soffocato, in quanto, come ammonisce Papa Francesco "in questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!"6.
La fantasia dell'amore può farci uscire da questo vicolo cieco inaugurando un nuovo umanesimo: «vivere fino in fondo ciò che è umano (…) migliora il cristiano e feconda la città»7. La costruzione di questo nuovo umanesimo è la vera sfida che ci attende e parte dal sì alla vita.

Roma, 7 ottobre 2014
Memoria della Beata Vergine del Rosario

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1. PAPA FRANCESCO, Viaggio Apostolico a Rio de Janeiro in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della gioventù. Angelus, Venerdì 26 luglio 2013.
2. Cfr. PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti all'incontro promosso dalla Federazione Internazionale delle Associazioni dei medici cattolici, Venerdì 20 settembre 2013.
3. PAPA FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 288.
4. Cfr. relazione del Ministro della Salute al Parlamento Italiano del 13 settembre 2013.
5. PAPA FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 54.
6. PAPA FRANCESCO, Visita a Lampedusa. Omelia presso il campo sportivo "Arena" in Località Salina, 8 luglio 2013.
7. PAPA FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 75.



venerdì 30 gennaio 2015

Il "modo" di Gesù


4a domenica del Tempo ordinario (B)
Deuteronomio 18,15-20 • Sal 94 • 1 Corinzi 7,32-35 • Marco 1,21-28
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il cristianesimo è prima di tutto un "incontro" (v. domeniche precedenti): l'incontro con la persona di Gesù. In definitiva l'essere cristiani nasce da un innamoramento.
Ma anche quando incontro una persona che mi colpisce particolarmente, magari fino al punto di farmi innamorare di lei, mi nasce la domanda: «Chi sei tu? che cos'hai di così particolare da farmi affascinare di te?».
Il Vangelo di Marco vuole rispondere alla domanda "Chi è Gesù?", narrandoci la sua storia, in una successione cronologica di fatti apparentemente non legati da un filo conduttore.
Ma c'è una logica interiore, che è racchiusa in quello stupore delle persone di fronte a quello che Gesù dice e fa: «Che cosa è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità e comanda persino agli spiriti immondi che gli obbediscono». Prima ancora di raccontare quello che Gesù insegna, viene in risalto il "modo" con cui lo fa: «Erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mc 1,22).
L'insegnamento degli scribi (i biblisti, i teologi, i giuristi di allora) derivava la propria autorità dalla Scrittura e dalla tradizione degli antichi, non risiedeva nell'insegnamento stesso.
La parola di Gesù, invece, ha in se stessa la sua forza, perché è legata alla sua persona: d'altronde, l'abbiamo meditato nei giorni di Natale, lui è il Verbo, la Parola del Padre; ciò che Gesù dice è espressione di ciò che Lui è. La parola di Gesù non rimanda ad altro, se non a Gesù stesso.
Non è questione di prove o non prove: è questione di accogliere Gesù, di arrendersi a Lui. Le prove, anche quando vengono offerte possono benissimo essere messe in discussione.
La prova fondamentale che ci fa accettare la parola di Gesù e ce la fa assaporare come parola determinante per la nostra vita è, in definitiva, la prova dell'amore: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola...» (cf Gv 14,23). E Gesù aggiunge: «E a chi mi ama io mi manifesterò, mi farò conoscere» (cf Gv 14,21).
Una persona, d'altronde, la si conosce non prima di tutto perché la si studia, ma perché la si ama: ed è proprio perché la si ama che la si vuole conoscere sempre di più. La conoscenza rinnovata porterà poi ad un amore sempre più vero e sempre più consapevole, non puramente sentimentale.

Ed è per questo che il Vangelo, pur non essendo una dottrina, assume anche i caratteri di una dottrina "nuova", rivoluzionaria. È esperienza di tanti che di fronte al Vangelo si rimane stupiti come di fronte a qualcosa che supera le dottrine filosofiche anche più affascinanti, proprio perché si coglie che lì c'è la sintesi tra l'insegnamento e la persona che lo annuncia.
Non per nulla si sente spesso dire che si accetta Gesù, ma non si riesce ad accettare la Chiesa, cosa che pure ha un'anima di verità, perché non sempre negli uomini di Chiesa, in coloro che si proclamano credenti si riesce a cogliere quel rapporto tra vita e annuncio, che dà senso all'annuncio stesso. Anche se poi occorre precisare che la Chiesa assume il proprio essere ed il proprio senso non dagli uomini che la compongono, ma da Gesù stesso: è proprio in nome suo che si coglie la verità della Chiesa e si opera perché essa corrisponda alla verità della sua origine ("Credo la Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica").
Il Papa Paolo VI affermava che «oggi l'umanità accetta più i testimoni che i maestri e, se accetta i maestri, li accetta perché sono testimoni». I cristiani sono chiamati a riscoprire e a presentare in modo nuovo ciò che costituisce la novità dell'annuncio di Gesù: la sintesi tra la sua persona e il suo insegnamento.
Allora, anche le norme etiche non appariranno più come leggi imposte dall'esterno da un'autorità che alla fin fine sento estranea al mio pensiero e al mio modo di vivere, ma un'esigenza del mio essere stesso, del mio essere discepolo di uno che ha fatto della sua vita un puro "servizio" al Padre e all'umanità. Giovanni ha un modo semplicissimo e stupendo di esprimere questa realtà di vita: «Chi afferma di dimorare in Lui (che è molto più che "credere" in Lui) deve comportarsi come Lui si è comportato» (1Gv 2,6).
L'appello del Padre, che ci giunge attraverso Gesù, ci appare ogni volta sorprendentemente nuovo, qualcosa che rigenera, rinnova e ringiovanisce dall'interno, perché è ciò che in fondo aspettiamo, magari senza saperlo.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Insegnava loro come uno che ha autorità (Mc 1,22)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (29/01/2012)
Un insegnamento nuovo, dato con autorità (Mc 1,27)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Gli effetti della Parola (27/01/2012)

Commenti alla Parola:
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Enzo Bianchi



mercoledì 28 gennaio 2015

Aperta la Causa di beatificazione di Chiara Lubich


Ieri pomeriggio, nella Cattedrale di Frascati, si è aperta la Prima Sessio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Chiara Lubich. Evento di particolare portata ecclesiale.
Legato profondamente al Carisma che Chiara ha ricevuto da Dio e che ha donato alla Chiesa, ho gioito pieno di gratitudine. È un dono grande e prezioso, del quale non finirò mai di ringraziare lo Spirito Santo.

Riporto di seguito il Comunicato stampa dei Focolari



Una cattedrale gremita e una diretta internet seguita da oltre 18.000 punti di ascolto nei cinque continenti. Questi i contorni con cui si è aperta la "Causa di beatificazione e canonizzazione" di Chiara Lubich, presieduta dal vescovo di Frascati Raffaello Martinelli. La notizia ha rimbalzato nei media, quasi a confermare un concetto caro e centrale nel pensiero e nella mistica della fondatrice dei Focolari: «Ecco la grande attrattiva del tempo moderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo».
Papa Francesco ha voluto farsi presente tramite un messaggio a firma del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, letto dal cardinale Tarcisio Bertone [cardinale titolare della diocesi tusconana, nota mia], presente alla cerimonia. In esso il Santo Padre ricorda «il luminoso esempio di vita della fondatrice del Movimento dei Focolari» a quanti «ne conservano la preziosa eredità spirituale». Inoltre «invoca abbondanti doni su quanti sono impegnati nella postulazione ed esorta a far conoscere al popolo di Dio la vita e le opere di colei che, accogliendo l'invito del Signore, ha acceso per la Chiesa una nuova luce sul cammino verso l'unità».
Tra i partecipanti erano presenti diversi Cardinali, Arcivescovi e Vescovi. Numerosi gli esponenti di Movimenti e Associazioni, cattolici e ortodossi. Presenti anche fedeli musulmani e buddisti. Da Trento, città natale della Lubich, una rappresentanza delle istituzioni civili, così come da Frascati, Rocca di Papa e dai comuni limitrofi che l'hanno avuta concittadina. La cerimonia, iniziata alle ore 16 con la recita dei Vespri, è proseguita con la Sessione di Apertura dell'Inchiesta Diocesana.
Ascolto e attesa per le parole pronunciate dal vescovo Raffaello Martinelli, che ha caratterizzato l'atto in cattedrale come un «rendere gloria e lode a Dio nostro Padre, perché attraverso i suoi figli e figlie fa risplendere la sua gloria. È un servizio che vogliamo rendere alla Chiesa in modo da offrire, anche alla Chiesa, una testimonianza di fede, di speranza, di carità attraverso la vita di una delle sue figlie». Rilevando quanto il compito non sia facile e debba essere svolto con criteri di serenità e di obbiettività, mons. Martinelli ha concluso augurandosi che, con il percorso ora iniziato, «possa splendere sempre di più la gloria del Signore, di cui Lui ha voluto rendere partecipe questa sua, nostra Serva di Dio».
A conclusione della celebrazione la parola è andata alla presidente dei Focolari Maria Voce. Nel suo saluto ha tratteggiato il dono che Chiara Lubich è stata per tanti: «Accogliendo il carisma che Dio le dava, Chiara si è profusa perché questa via di vita evangelica fosse percorsa da molti, in una determinazione sempre rinnovata ad aiutare quanti incontrava a mettere Dio al primo posto e a "farsi santi insieme". Il suo sguardo e il suo cuore erano mossi da un amore universale, capace di abbracciare tutti gli uomini al di là di ogni differenza, sempre proteso a realizzare il testamento di Gesù: "Ut omnes unum sint"». Ha voluto ricordare anche il gruppo delle prime e dei primi compagni della Lubich «che hanno permesso fin dal primo momento di testimoniare la bellezza e la possibilità di percorrere insieme, in unità, il cammino verso l'unica meta», concludendo: «Attenderemo con umiltà il sapiente giudizio del Santo Padre e chiediamo a Dio, solo per la sua gloria e per il bene di molti, che, con l'eventuale riconoscimento dell'esemplarità di Chiara, l'umanità e la storia possano conoscere nuovi sviluppi di pace, di unità e di fraternità universale».
Molti gli echi e i commenti suscitati dall'apertura della Causa riguardante la figura di Chiara Lubich. Significativo quanto dichiarato dal vescovo di Vasai, India, Felix Machado, in qualità di presidente dell'Ufficio per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche (Fabc): «L'Asia gioisce per l'apertura della causa di beatificazione di Chiara Lubich. È un passo che darà grande spinta al dialogo interreligioso».
Con l'inizio dell'Inchiesta diocesana la Chiesa attribuisce a Chiara Lubich il titolo di serva di Dio, e prosegue con la raccolta dei suoi scritti inediti e l'ascolto dei testimoni. Il Tribunale nominato dal vescovo Martinelli è composto da mons. Angelo Amati, in qualità di delegato episcopale, d. Emanuele Fawed-Kazah, promotore di giustizia, e dall'avv. Patrizia Sabatini, notaio. Da parte sua, la postulazione nominata dalla presidente dei Focolari è formata dal postulatore d. Silvestre Marques e da due vicepostulatori: Lucia Abignente e Waldery Hilgeman. Il Tribunale ha stabilito già la sessione seguente per ascoltare la testimonianza di Maria Voce, fissandola per il giorno 12 febbraio 2015.
L'iter per l'avvio della Causa era iniziato il 7 dicembre 2013, cinque anni dopo dalla morte della Lubich, nel settantesimo della fondazione dei Focolari e con la presentazione della richiesta formale al vescovo di Frascati Raffaello Martinelli da parte della presidente Maria Voce. Una domanda espressa in più occasioni da quanti si auguravano con questo atto una crescita di impegno spirituale e morale per il bene dell'umanità in molti. Paradigmatica la dichiarazione di Piero Taiti, esponente del dialogo con persone di culture non religiose promosso dai Focolari: «La stessa possibilità del dialogo è stata resa possibile a Chiara non al di là, ma proprio dentro la sua osservanza radicale della Parola, in cui molti di noi si sono ritrovati anche senza la stessa fede. Abbiamo partecipato in qualche maniera, senza sciocchi sincretismi, ad una ecclesia più vasta, potenzialmente contenente l'intera umanità senza confini di geografie e di culture diverse».
(S.I.F. – Servizio Informazione Focolare)

sabato 24 gennaio 2015

Il fascino dell'incontro


3a domenica del Tempo ordinario (B)
Giona 3,1-5.10 • Sal 24 • 1 Corinzi 7,29-31 • Marco 1,14-20
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

In queste Domeniche i brani di Vangelo ci presentano degli "incontri": gli incontri dei primi discepoli con Gesù.
Domenica scorsa il Vangelo di Giovanni ci parlava dell'incontro di Andrea e di Giovanni stesso con Gesù: un incontro talmente incisivo che dopo decine d'anni Giovanni ne ricorda il momento preciso: «erano circa le quattro del pomeriggio»; un incontro talmente entusiasmante che Andrea non riesce a tenerlo per sé, ma deve comunicarlo subito a suo fratello Simone. «Sai, abbiamo incontrato il Messia», non una persona particolarmente affascinante, ma quello che da sempre noi, come popolo, abbiamo aspettato.
È un incontro talmente sconvolgente quello con Gesù da indurre i discepoli - come ci racconta il brano di oggi - a "lasciare le reti", lasciare addirittura il padre per "seguire" Gesù.
Ma perché questo?
È proprio il termine "seguire" che ci può dare la chiave di lettura.
Prima di Gesù, i discepoli cercavano i rabbì, i maestri di dottrina, per il loro insegnamento, la loro dottrina: una volta appresa la legge, divenuti a propria volta maestri, si distaccavano dal loro rabbì per costruirsi una propria scuola.
Con Gesù ciò che viene in evidenza non è prima di tutto la dottrina - ne accenneremo ancora domenica prossima - ma la sua persona e il progetto di esistenza legato a lui.
Il cristianesimo non è prima di tutto un insieme di dottrine, per quanto alte siano, non è un codice di norme etiche, per quanto profonde siano, ma è la persona di Gesù: l'altezza delle dottrine, la profondità delle norme discende proprio da questo, di essere espressione di ciò che è Gesù stesso.
È per questo che, da parte nostra, il diventare credenti si qualifica come un "incontro" o, se vogliamo, come un innamoramento.
Giovanni, nel suo Vangelo, mette sulla bocca di Gesù le parole «Se uno mi ama, osserverà le mie parole ...». Il mettere in pratica il Vangelo è una questione di amore, non di dimostrazione logica. Anche se, poi, si arriva a scoprire che solo quell'incontro è capace di capovolgere la vita e la stessa logica di pensiero.
È quello che Marco mette in evidenza con la parole: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini».
Quando ci si innamora di una persona, quando si instaura un rapporto di amicizia profondo, la vita cambia significato: o meglio, siamo sempre quelli di prima, ma facciamo le cose con un altro senso, un altro slancio, un altro stile, addirittura diventiamo pronti, se necessario, a rivoluzionare la nostra esistenza.
Incontrando Gesù, è tutta la vita che assume un'altra direzione, un altro stile, un altro modo di vedere e di giudicare Dio, le persone, la storia ... è il suo stile che diventa il nostro, perché si comprende che non c'è altro modo di vivere che dia così pienezza di vita e al tempo stesso senso di libertà al nostro cammino.
È questo il significato della parola "convertitevi" che risuona all'inizio del brano di oggi: convertirsi non è soltanto fare qualche sforzo in più di bene, ma trovare la direzione della propria vita con Gesù: «A un corridore che corra nella direzione sbagliata - scrive il teologo protestante Schweizer - non giova nulla fare il massimo sforzo, fintanto che qualcuno non lo induca a fare un conversione per andare nella direzione opposta».
Credere in Gesù significa riscoprire anzitutto il volto di Dio: non un Dio magico, costruito per risolvere i nostri conflitti e le nostre ansie, ma un Dio che si è messo sulla nostra strada per richiamarci sulla sua. Anche i farisei erano credenti in Dio, ma hanno ugualmente rifiutato la strada di Gesù.
Credere in Gesù significa credere alla logica della croce, ma vedendo in essa il volto di Dio: ogni sconfitta, ogni insuccesso, ogni sofferenza non sono da accettare passivamente, ma da vivere con la certezza che esiste una svolta di significato: non ci si può rassegnare al male, non lo si può credere ineluttabile, esiste una "forza" più grande del male che ci circonda e che ci interpella a volte drammaticamente.
Per questo la parola "conversione" è abbinata al "credere al Vangelo", a quella "buona notizia" che in definitiva è Gesù stesso.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Convertitevi e credete nel Vangelo (Mc 1,15)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Seguire Gesù! (20/01/2012)

Commenti alla Parola:
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Enzo Bianchi



mercoledì 21 gennaio 2015

«Si deve partire dalla condivisione»


La recente dichiarazione di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, (riportata nel post precedente del 19 gennaio u.s.: "Si può vivere senza dialogo in un mondo ormai globalizzato?") ha suscitato interesse e ha creato l'occasione per alcuni approfondimenti da parte della stampa in Italia. Tra questi voglio segnalare l'intervista, di Paolo Viana, pubblicata sul quotidiano Avvenire, che riporto qui di seguito.



Maria Voce: «Si deve partire dalla condivisione»

PAOLO VIANA
20 gennaio 2015
Avvenire


Charlie Hebdo e il Belgio – ma anche la Siria e la Nigeria – non sono fronti di una guerra tra l'Europa e l'islam, con il quale, anzi, «abbiamo bisogno di un'alleanza, di un dialogo... ». Sottoscrive l'analisi della Mogherini?
Senza dubbio risponde Maria Voce, presidente del movimento dei focolari - e anch'io ricordo che i musulmani sono feriti quanto noi da questi attentati.

Si dice dialogare con l'islam ma alla fine si riesce a dialogare solo con una parte. Non c'è un equivoco?
È evidente che non c'è volontà di dialogo nei fondamentalisti dell'islam, ma anche l'occidente ha i propri fondamentalisti. Per questo noi focolarini puntiamo a quel dialogo che poggia sulla condivisione dell'esistenza quotidiana, non inizia tanto da un immediato confronto tra le idee, perché è indispensabile partire dalla conoscenza dell'altro e non, ad esempio, dalla religione dell'altro - per poter scoprire il vincolo di fraternità che lega tutti gli esseri umani. Solo su questa base si può innestare la comprensione della fede dell'interlocutore e si può rispettarlo fino in fondo, in modo che il dialogo risulti realmente costruttivo e non si limiti ad una convivenza non belligerante, che impedisce di costruire assieme il comune futuro. Solo in questo dialogo si scopre che ognuno ha qualcosa da donare all'altro e si constata che la diversità non è necessariamente motivo di opposizione, ma può essere motivo di arricchimento reciproco.

Questo tipo di dialogo funziona anche in una 'terza guerra mondiale a pezzi'?
Questo tipo di dialogo ha funzionato in quella città africana che ha accolto senza paura i profughi della fazione avversa e poi è stata difesa proprio da loro; funziona in Algeria, dove il nostro movimento è quasi completamente costituito da musulmani; funziona in Terra Santa, dove persone delle tre religioni pregano insieme per la pace e costruiscono ponti fra le loro comunità; funziona in Italia dove musulmani e cristiani lavorano insieme sui valori della famiglia; funziona in Austria, dove, grazie alla rete di rapporti costruiti, abbiamo evitato scontri e tensioni sociali; funziona in Macedonia dove la Facoltà di Pedagogia di Skopje ha aperto un asilo interetnico ed interlinguistico... Decisivo è lo spirito con cui si affrontano le problematiche. Se lo spirito è rafforzato da una spiritualità porta non solo a valorizzare tutto quello che di bene c'è nell'altro, a scoprire i doni di Dio presenti in ogni tradizione religiosa, a metterli in luce, ma anche a farli progredire.

Poi però succede quel che è avvenuto in Nigeria e in Camerun...
Anche chi crede nel dialogo prova dubbi e sconforto e anche chi crede nel dialogo chiede che si intervenga per fermare gli eccidi; ma non con la violenza, bensì formando i popoli alla pace; a Jos, proprio in Nigeria, in settembre abbiamo organizzato un seminario per un dialogo della pace che ha portato a una feconda esperienza di focolare.

Questo dialogo può appassionare un giovane, ma anche esporlo a grossi rischi. Cosa direbbe se incontrasse Greta e Vanessa?
Bentornate! Ringrazierei con loro Dio per la felice conclusione. I giovani sono portati ad appassionarsi ed anche a rischiare. Dirò di più: persino i ragazzi che combattono nell'Is originariamente possono avere avuto delle motivazioni in certo modo ideali, poi strumentalizzate. Non si deve mettere a repentaglio la propria vita, un'esperienza di solidarietà internazionale deve poggiare su preparazione e prudenza, ma per grandi valori si può rischiare e sovente si rischia. Come i medici che combattono Ebola in Africa.

Torniamo all'Europa in fiamme: in che rapporto stanno dialogo e libertà di opinione?
Gli omicidi di Parigi sono stati una pagina orribile ma la libertà ha un limite, e questo limite è il bene comune, il bene dell'umanità. L'ha detto il Papa, il quale non perde occasione per sottolineare anche l'accoglienza, l'empatia, l'ascolto pieno delle ragioni dell'altro, l'esercizio di un amore più grande, e ci esorta anche a non fare sconti sulla nostra identità di cristiani, in modo da prepararci a questo dialogo. Possiamo dialogare solamente se siamo autenticamente cristiani. Il nostro dialogo deve partire dalla consapevolezza che ogni incontro può essere una occasione per poter donare all'altro i valori del nostro essere cristiani. Senza imporli, ma con delicatezza e rispetto: sono un tesoro di cui anche gli altri hanno diritto di partecipare.

Fonte: www.avvenire.it


lunedì 19 gennaio 2015

Si può vivere senza il dialogo in un mondo ormai globalizzato?


A proposito delle recenti stragi avvenute a Parigi, in Nigeria e in Pakistan, riporto la dichiarazione di Maria Voce, Presidente del Movimento dei Focolari.
Una ulteriore voce per una maggiore presa di coscienza della necessità del dialogo a tutti i livelli, per una vera fraternità tra le persone e i popoli.


Ci si domanda oggi, dopo gli omicidi di Parigi e le stragi in Nigeria e in Pakistan, se sia necessario il dialogo tra persone di religioni e culture diverse. Io mi permetto di ribaltare il quesito: si può vivere senza il dialogo in un mondo ormai globalizzato? In un pianeta dove, ai crescenti flussi migratori volontari per ragioni di lavoro o altro, si aggiungono intere popolazioni costrette a fuggire per le persecuzioni in atto in vari punti del mondo. Sradicate dal loro mondo e dal loro futuro, vengono forzatamente a trovarsi a convivere con persone di etnie, culture, opinioni e fedi diverse.
Pressante è la domanda nei nostri Paesi occidentali: come si vive con queste persone? La risposta è chiara: o si dialoga o ci si combatte gli uni gli altri. Ma combattersi porta alla distruzione, tanto dei residenti come degli immigrati. Mentre l'apertura e il dialogo creano vita e portano alla vita, perché il dialogo tra persone di credi diversi conduce sempre a costruire insieme qualcosa di valido per il bene della società in cui vivono e dell'intera umanità, perché ogni azione si fonda sul fatto di essersi riconosciuti fratelli. L'ho potuto costatare nei viaggi compiuti nei drammatici contesti del Medio Oriente, del'Africa e dell'Asia. Il coraggioso impegno per il dialogo è vissuto da bambini nelle scuole, da famiglie con i loro vicini, da tante persone negli ambienti di lavoro.
Il dialogo più efficace è quello che poggia sulla vita, sulla condivisione dell'esistenza quotidiana; non inizia tanto da un immediato confronto tra le idee, perché è indispensabile partire dalla conoscenza dell'altro – e non dalla religione dell'altro – per poter scoprire il vincolo di fraternità che lega tutti gli esseri umani. Su questa base si può innestare la comprensione della fede dell'altro per poterla rispettare fino in fondo, in modo che il dialogo risulti realmente costruttivo e non si limiti ad una convivenza non belligerante che impedisce di costruire assieme il comune futuro.
Solo in questo dialogo si scopre che ognuno ha qualcosa da donare all'altro e si costata che la diversità non è necessariamente motivo di opposizione, ma può essere motivo di arricchimento reciproco. E veramente ci si arricchisce, perché Dio è generoso e sparge i suoi doni in tutti gli uomini, a qualsiasi fede appartengano. Scoprirlo ci rende tutti più ricchi e anche più liberi nel rapporto reciproco.
In questo processo è di particolare luce quello che Papa Francesco manifesta con la parola e con i suoi atteggiamenti, sottolineando l'accoglienza, l'empatia, l'ascolto pieno delle ragioni dell'altro. Il Papa parla tanto di amicizia, invita a rapportarsi con gli altri da fratelli e da amici, da persone che sanno capirsi e sanno valorizzare i beni che trovano gli uni negli altri.
Altrettanto preziosa l'indicazione del Papa a non fare sconti sulla nostra identità di cristiani, in modo da prepararci a questo dialogo, perché resta vero che possiamo dialogare solamente se siamo profondamente e autenticamente cristiani. Il nostro dialogo deve partire dalla consapevolezza che ogni incontro può essere una occasione per poter donare all'altro i valori del nostro essere cristiani, senza imporli, ma con delicatezza, certi che è un tesoro di cui anche gli altri hanno diritto di partecipare.
Ho costatato tante volte che, quando si dialoga, si individuano i temi comuni su cui trovare soluzioni e avviare iniziative condivise. Decisivo è lo spirito con cui si affrontano le problematiche. Se lo spirito è rafforzato da una spiritualità – cioè da una concezione della vita che promana da una spiritualità – porta non solo a valorizzare tutto quello che di bene c'è nell'altro, a scoprire i doni di Dio presenti in ogni tradizione religiosa, a metterli in luce, ma anche a farli progredire. Quindi un cristiano o un musulmano sono migliori camminando sulla strada del dialogo e scoprono che si progredisce insieme e che questo progresso porta ad opere comuni, ad incominciare dalla pace, che vanno a beneficio di tutta l'umanità.

Maria Voce, Roma 17 gennaio 2015

Fonte: www.focolare.org

domenica 18 gennaio 2015

La pace che nasce dall'amore


Nel contesto degli ultimi avvenimenti che hanno sconvolto la Francia e il mondo, guardando alla speranza di una pace che non sia solo assenza di conflitti o frutto di calcoli politici, mi sono soffermato su quanto il Concilio Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ha detto.

«La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita «opera della giustizia» (Is 32,7). È il frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. […]
Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l'assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell'amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia.
La pace terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l'unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne (cf Ef 2,16; Col 1,20-22) l'odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini.
Pertanto tutti i cristiani sono chiamati con insistenza a praticare la verità nell'amore (Ef 4,15) e ad unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per attuarla. […]» (GS 78).

Sì, tutti siamo chiamati ad essere costruttori di fraternità in un servizio reciproco, sull'esempio della diaconia di Cristo; di Lui che ci ha dato l'esempio con l'offerta della propria vita.

Rimando anche al commento su questo documento del Concilio, fatto sulla base del Catechismo della Chiesa Cattolica e del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, che riporto nel mio sito di testi e documenti. (Vai ai testi).

venerdì 16 gennaio 2015

Il dono di poter "incontrare" Gesù


2a domenica del Tempo ordinario (B)
1 Samuele 3,3-10.19 • Sal 39 • 1 Corinzi 6,13-15.17-20 • Giovanni 1,35-42
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Ecco l'agnello di Dio…
È un titolo notissimo, quasi logorato dall'uso. Il termine "agnello" rimanda all' "agnello pasquale" che, sacrificato nel tempio, veniva poi consumato nella cena pasquale celebrata in famiglia. Evoca, quindi, la liberazione di Israele dalla schiavitù d'Egitto e la redenzione messianica, di cui quella dell'Esodo era una figura.
È evidente il messaggio dell'evangelista: Gesù è l'Agnello pasquale, che col suo sacrificio opera la liberazione definitiva dell'umanità.
L'opera di questo "agnello" è poderosa: "toglie il peccato del mondo". La forza del male, che è rifiuto egoistico di Dio e del prossimo, appare a volte come un fiume in piena che si ingrossa sempre più e che nulla sembra poter arginare. L' "agnello di Dio", che Dio stesso dona all'umanità, fa scomparire questo "peccato del mondo"; lo fa scomparire con la sua parola rivelatrice, con la forza del suo Vangelo e, soprattutto, col sacrificio della sua vita. Il verbo "togliere" significa pure "caricarsi, prendere su di sé".
Non esiste nessuna situazione di così tragica lontananza da Dio che Gesù non possa far sua e trasformare: è la rivelazione della misericordia del Padre, più forte di ogni peccato, che rigenera l'uomo col perdono.

Venite e vedrete… videro dove abitava
Il battesimo, che abbiamo ricordato domenica, ci fa "uomini nuovi", simili a Gesù. Ma solo se proviamo a restare con lui, a vivere come lui, allora ci sentiamo cambiati e capaci di amare, ci sentiamo davvero figli di Dio.
Non basta un incontro furtivo con Gesù per scoprire la sua identità. È necessario rimanere con lui. "Venite e vedrete": la fede non è soltanto questione di "sapere" tanto o poco su Gesù, ma di "vedere", di realizzare un incontro personale e comunitario con lui (in fondo Giovanni e Andrea vanno in due da Gesù, ed è il Battista ad indicarlo loro). L'incontro è talmente affascinante che Giovanni, a distanza di anni (si può pensare più di cinquant'anni) ricorda l'ora di quel momento: erano le quattro del pomeriggio.
Occorre sempre chiedersi che cosa si attende Gesù da noi per non correre il rischio di seguire illusioni e alimentare vane speranze. Ed è proprio importante chiederci quanto tempo stiamo con Gesù, quanto cerchiamo di vivere il suo vangelo

Incontrò per primo suo fratello Simone
Gli ultimi versetti del vangelo di oggi dicono l'ampliarsi del gruppo dei discepoli. I due che sono andati da Gesù, che hanno visto e sono rimasti con lui, sono rimasti "affascinati" e sono giunti a una comprensione più profonda di "chi" è Gesù. Ora non possono più tenere per sé la scoperta che hanno fatto; sentono il bisogno di comunicarla ad altri.
Chi incontra veramente Gesù sente la gioia di comunicarlo agli altri. Se siamo affascinati da Gesù e felici di averlo incontrato, siamo occasione per altri a diventare discepoli.
Allora, ecco la domanda che ci poniamo: In famiglia, a scuola, al lavoro, per strada riusciamo a far "vedere" che amiamo Gesù… a far scoprire il vangelo come "bella notizia"?



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Videro dove dimorava… e rimasero con lui (Gv 1,39)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
L'incontro! (13/01/2012)

Commenti alla Parola:
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Enzo Bianchi

(Immagine: Il Battista indica il Cristo, di Domenico Zamperi detto il Domenichino, 1623, Basilica di S. Andrea della Valle, Roma)


lunedì 12 gennaio 2015

Uomini di frontiera…


Nel Numero 11 (Novembre 2014) della Rivista L'Amico del Clero, nella rubrica diaconato, curata dal diacono Michele Bennardo, sono riportati due interventi che don Tonino Bello, già vescovo di Molfetta, preparati in occasione dell'ordinazione dei primi diaconi permanenti della sua diocesi.
Il primo è una lettera indirizzata a Sergio Loiacono, ripresa da un mio articolo che ho pubblicato su questo blog. Il secondo è l'omelia pronunciata in occasione dell'ordinazione degli altri due diaconi, Felice Marinelli e Mario D'Elia, ordinati successivamente, prima della prematura morte di don Tonino.
(Ho riportato i due interventi nel mio sito di testi e documenti).

Della prima lettera riporto il commento, sempre dell'articolista Michele Bennardo:
«C'è in queste parole [della lettera] una tale bellezza, una tale profondità, una tale umanità, una tale sintonia con il Vangelo e con l'esempio di Gesù Cristo che, in quanto diaconi, non possiamo non condividerle e, soprattutto, cercare di metterle in pratica.
Bella, soprattutto, la visione del "diaconato" non come gradino inferiore ma come "soglia più alta" che avvicina a Cristo. Con questa affermazione, Don Tonino ci ricorda quanto è scritto nel Vangelo di Matteo là dove, prendendo spunto dalla richiesta della madre dei figli di Zebedeo che domandava per loro i primi posti nel Regno dei cieli, Gesù dice: "I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,25-28).
La mania di grandezza è sicuramente una delle tentazioni dell'uomo e coloro che hanno ricevuto l'ordine sacro non ne sono immuni. Ad essa bisogna resistere contando prima di tutto sulla grazia del Signore, che viene a noi attraverso i sacramenti della Chiesa, poi sull'aiuto della preghiera, della famiglia, dei confratelli e della comunità cristiana.
Don Tonino con tutta la sua vita ha insegnato che "il credente è l'uomo dalle mani aperte, perché non trattiene mai nulla e nessuno; è l'uomo dalle mani protese, perché fa sempre il primo passo; è l'uomo dalle mani giunte, nella preghiera. Ci ha insegnato l'accoglienza: davanti a una persona non si discute, la si accoglie" (L. Scalettari, «Don Tonino Bello, fratello vescovo», articolo del 19/04/2013 pubblicato in http://www.famigliacristiana.it/articololfratello-vescovo-don-tonino-bello.aspx)».

Riporto di seguito il testo dell'omelia che don Tonino pronunciò all'ordinazione, il 5 gennaio 1993, di Felice Marinelli e Mario D'Elia.

«Il conferimento del diaconato a Mario e Felice s'incornicia nella festa della Epifania, la festa della luce, la festa dell'universalità, dell'apertura. L'augurio che vorrei fare ai nuovi diaconi è che siano testimoni di questa cattolicità della Chiesa. Cattolicità significa universalità: che la possano presentare con le loro parole e con la loro vita; possano presentare la Chiesa non come un'istituzione fredda, che segna lo spartiacque dove andare, dove uno deve incunearsi. No, la presentino, più che come una struttura rigida, come una madre che va incontro alla gente, che va incontro ai figli e tutti sono figli della Chiesa, non soltanto i cattolici, non soltanto quelli che frequentano la messa tutte le domeniche: sono figli della Chiesa tutti gli uomini.
E allora, vorrei tanto che Felice e Mario fossero davvero com'erano i primi cristiani: uomini di frontiera, uomini di cerniera, che stanno sullo spartiacque che divide l'area dei credenti, di coloro che vogliono bene a Gesù Cristo, che si affidano a Lui dall'area di coloro invece che non avvertono questa struggente nostalgia di Gesù Cristo. Ecco, proprio su questo crinale, loro si devono collocare: uomini di frontiera, uomini dello spartiacque, uomini tolleranti, perché qualche volta nella Chiesa soffriamo di intolleranza: se uno non fa così è condannato; se uno non segue pedissequamente alcune annotazioni, è scomunicato, fuori della comunione...
Possano essere uomini di frontiera, ho detto, e uomini tolleranti, capaci di capire il diverso, l'altro, e capaci anche di accogliere la diversità, l'alterità, che non si imprigionino cioè nei loro schemi. Hanno studiato teologia per quattro anni; è molto facile, però, che lo studio della teologia diventi una cintura di sicurezza in cui ognuno si trincera e va avanti così, con gli schemi soliti, senza sussulti, senza brividi. Il mondo ha bisogno di brividi, oggi, ha bisogno di sussulti. Quante volte sento la gente che dice: "Ma perché in Chiesa siete così ripetitivi, così stanchi, dite sempre le stesse cose, fate gli stessi gesti?". Non c'è cambio, non c'è invenzione. Forse è vero: abbiamo privilegiato troppo il diritto e abbiamo mortificato un tantino la fantasia, l'estro; la capacità di lodare il Signore con novità di vita.
Dico questo perché mi dispiacerebbe tanto che i nuovi diaconi diventassero i titolari della routine, dello schema prefabbricato; che diventassero, soltanto, come dire, i propositori di servizi al parroco presso cui vengono affidati. Se la loro missione si dovesse restringere ad accompagnare i morti al cimitero o a fare i battesimi quando il parroco è occupato, oppure a celebrare determinate funzioni quando il parroco non c'è - se dovesse essere questo - sarebbe sbagliato: meglio non ordinarli. I diaconi devono essere portatori di novità, di freschezza, ma di freschezza dolce, non arrogante. Guardatevi dall'arroganza, dal proporvi ai vostri parroci come maestri o come coloro che la sanno più lunga, o come coloro che sono più freschi di teologia e quindi possono dottrineggiare su tante cose.
Tutt'uno con il parroco, quasi una simbiosi, in modo tale che non solo il parroco riceva l'aiuto in tutte queste mansioni che ho ricordato, ma possa ricevere soprattutto un alimento culturale, confrontandosi con voi con franchezza, ma con modestia, senza arroganza, senza presunzione. Vedete: allora la Chiesa crescerà; crescerà soprattutto perché coloro che noi chiamiamo "i lontani", scorgono una simpatia nuova all'interno delle nostre comunità. Possono dire: "Guarda, non è una comunità chiusa, non è una comunità che si arrocca nelle sue cerimonie per quanto belle, per quanto sante, ma è una comunità aperta, che s'inventa giorno per giorno; una comunità che vive l'immediatezza della presenza di Dio in termini nuovi". Oggi non è più come ieri.
Agli altri, di questo dovete essere propositori, come fu propositore di questa istanza santo Stefano. Lo mandarono a morte perché si era sbilanciato un po' troppo. Aveva parlato di Gesù Cristo in termini che urtavano la sensibilità dei farisei che l'avevano mandato a morte, per cui non lo potevano tollerare pur sapendo che aveva ragione; non lo potevano tollerare, e allora l'hanno mandato a morte. Però questo ci dice che santo Stefano era pieno di Spirito Santo. Essere pieno di Spirito Santo significa essere pieno di novità di vita, essere pieno di solidarietà con la gente.
La festa dell'Epifania ci ricorda, in fondo, questa realtà dei Magi, degli studiosi, degli scienziati che venivano da nazioni diverse per ritrovarsi nel cercare insieme Gesù di Nazareth, le cui coordinate avevano intravisto nei loro studi. E sono andati avanti così, e si sono prostrati davanti a Lui; pur non essendo credenti, lo hanno adorato. È la festa dell'universalità, è la festa della cattolicità, è la festa anche dell'audacia, perché questi Magi furono audaci. Dopo aver attraversato tanti pericoli della corte di Erode, hanno continuato per i fatti loro, hanno ritrovato la stella e hanno ritrovato anche Gesù di Nazareth. Ecco che questa ordinazione si colloca in un clima di universalità, di tolleranza, di accoglienza. Date questa immagine, vi prego, vorrei dirlo anche a tutti i sacerdoti.
La gente tante volte ti ferma e dice: "Ti voglio bene perché non sei prepotente, non imponi la verità, ma la proponi soltanto, con molta discrezione e con molta fatica e con molti dubbi, anche perché credere è faticoso, comporta dei dubbi". Questa immagine dolcissima di Chiesa dovete presentare. La gente ha bisogno di questo, oggi. Non ha bisogno delle nostre certezze assolute per cui condanniamo o assolviamo sulla base dei nostri codici che non sempre coincidono con i codici di Dio. Pretendiamo che gli altri entrino nei canali organizzati da noi, siano pure canali di grazia; invece lo Spirito Santo, sapete, soffia dappertutto, e fa delle cose anche che sembrano irrazionali, per cui tu metti il seme in una pianta e il fiore cresce in un altro vaso. Così fa il Signore: non è afferrabile. Ci afferra, ma non è afferrabile.
Allora non siate arroganti quando presentate Dio. Non rimandate a bocca asciutta i testardi, che non vogliono capire la dolcezza della sequela di Cristo. Rincorrete la gente, andate a trovarla nei loro domicili, nelle loro case, dove probabilmente vive momenti di solitudine, di tristezza, di dolore, e accanto non c'è nessuno che dia loro una mano d'aiuto. Intuite, prima che gli altri ve lo dicano, i bisogni, della gente. Andate incontro alle necessità dei poveri. Scoprite il Signore che vi ha dato occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei poveri, perché se noi ci lasciamo valutare dalle nostre comunità, possiamo sentirci anche gratificati, in quanto c'è tanta gente che ci vuole bene, e siamo nel nostro gruppo, ci sentiamo anche realizzati, sì, ma non è questo il vostro compito.
Io ancora non vi do una destinazione particolare; lo farò in questi giorni dopo che insieme con don Tommaso, il vicario generale, avrò riflettuto su quale missione specifica dirottare i vostri impegni. Però, mi auguro che la gente, quando viene a trovarmi in episcopio possa dire: "Grazie, Vescovo, perché ci hai mandato Mario; grazie, Vescovo, perché ci hai mandato Felice. Siamo così contenti perché è uno di noi, ci capisce, ci comprende al volo e ci sa parlare di Gesù Cristo con una grande forza interiore, con grande slancio, e noi Gesù lo sentiamo più vicino proprio perché ci sono loro".
Capite che tutto questo comporta, comunque, una grande vigilanza sulla vostra vita: la fuga continua, la lotta continua al peccato, l'impegno per seguire generosamente Gesù Cristo in tutte le norme del vangelo senza piegarle a interpretazioni di comodo. Tanti auguri perché anche le vostre signore, le vostre consorti, vi diano una mano in questo compito. Siano generose quando, dovendo trascorrere un po' di tempo in casa, rinunceranno perché voi dovrete andare a prestare il vostro servizio alla comunità. Questo sacrificio che voi fate al Signore, sarà benedetto da Dio e non abbiate paura, perché il Signore non toglie mai senza aggiungere il doppio di quello che ha sottratto. Santo Stefano, san Lorenzo, san Vincenzo questi diaconi celebri della prima comunità cristiana, vi siano accanto e vi assistano con la loro implorazione.
+ don Tonino Bello, vescovo».
(In testo è reperibile nel volume pubblicato per il ventennale della sua ordinazione diaconale da Mario D'Elia, Diaconi. L'uomo, la vita, il ministero nella Scrittura, Ed. Insieme, Terlizzi 2012,103-109. Il diacono D'Elia è anche autore del volume: Diaconi, dono di Dio all'umanità. Genesi, decadimento, ripristino, Ed. Insieme, Terlizzi 2014).

venerdì 9 gennaio 2015

Lo "sprofondare" del Figlio di Dio… per farci figli


Battesimo del Signore (B)
• Isaia 55,1-11 • Sal: Is 12,2.4-6 • 1 Giovanni • Marco 1,7-11
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Oggi celebriamo altri aspetti dell'Epifania, cioè della manifestazione di Dio in Gesù.
Chi riceveva il battesimo da Giovanni, con questo gesto si riconosceva peccatore, bisognoso di essere perdonato e purificato da Dio, e manifestava pubblicamente la volontà di percorrere un cammino di conversione alla scuola e sotto la guida del Battista, per prepararsi ad accogliere il Messia. Non poteva non suscitare stupore e scandalo nei primi cristiani il fatto che anche Gesù - l'innocente, il Figlio di Dio - si sia mescolato con i perduti, in coda anche Lui aspettando il proprio turno per essere battezzato.
L'Incarnazione non è soltanto il farsi uomo del Figlio di Dio, ma il farsi fratello dei peccatori, prendendo su di sé la loro realtà di peccato e accettandone tutte le conseguenze. La Croce sarà l'ultimo traguardo di questo "sprofondare", per amore, del Figlio di Dio nell'esperienza umana di lontananza e separazione da Dio. Il battesimo quindi manifesta la scelta fatta da Gesù di essere uno di noi, uno con noi.
Colui, però, che per amore si è identificato con i suoi fratelli peccatori, Dio, il Padre, lo riconosce e lo manifesta come il proprio Figlio e gli dona lo Spirito Santo.
La scena è estremamente suggestiva e ricca di significato (cf Mc 1,7-11).
Marco descrive il fatto come un'esperienza vissuta da Gesù. È Lui che "vide aprirsi i cieli". La comunicazione tra Dio e gli uomini, che era stata interrotta dal peccato, ora riprende. Il dialogo si fa nuovo e intenso. È la risposta divina al grido implorante di Israele e dell'umanità: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!" (Is 63,19).
La via è libera perché lo Spirito di Dio, cioè la sua infinita vitalità e potenza, il suo amore traboccante, venga riversato sulla terra. Il primo destinatario è Gesù: "e lo Spirito discendere su di lui come una colomba".
Qualunque sia il senso preciso dell'immagine della colomba, tuttavia si vuol dire che l'intera realtà di Dio si raccoglie e si concentra in Gesù. Egli si sente sotto la presa di Dio e, invaso dal suo Spirito d'amore, sperimenta su di sé tutta la sua tenerezza paterna. E ascolta, rivolta a Lui, una dichiarazione inaudita: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto".
È l'unica volta che nei primi tre Vangeli si ode la voce di Dio (qui e nella Trasfigurazione di Gesù). Se Dio parla è per rivelare anzitutto a Gesù, e pure a noi, chi Egli è. È il Messia, ma nel nostro testo evangelico Dio dice "Figlio mio", non intendendo soltanto il Messia, ma il suo Figlio unico, oggetto di tutto il suo amore. In tal modo Dio rivela l'identità di Gesù quale figlio amatissimo. E rivela se stesso come il Padre suo. È tutta la famiglia della Trinità che è coinvolta e si manifesta in questo evento.
Il battesimo rappresenta per Gesù una svolta decisiva: ricevendo la forza dello Spirito e ascoltando la voce del Padre, dà inizio alla sua missione.
Ma il suo battesimo diventa in qualche modo simbolo e anticipo di quello cristiano. L'esperienza che Gesù fa', la partecipa ai credenti, a coloro che attraverso il battesimo sono introdotti nella comunità cristiana e lo incontrano: il dono dello Spirito e la condizione filiale rispetto a Dio.
La scena del Giordano, quindi, si è rinnovata nel momento del mio battesimo. Attraverso questo rito di ingresso nella comunità cristiana sono stato accolto nella Chiesa. Qui ho incontrato Gesù, che è il cuore pulsante di questa famiglia, e Gesù mi ha legato a sé per sempre. E anche su di me è sceso lo Spirito Santo invadendomi col suo amore. E anche su di me il Padre, abbracciandomi con infinita tenerezza, ha incominciato a dichiarare: "Tu sei mio figlio. Sei tutta la mia gioia". E non si è ancora stancato di ripeterlo. È cominciata per me la più grande avventura, la più bella storia d'amore che mai sia stata vissuta, la storia d'amore tra il Padre e ognuno dei suoi figli. Col battesimo, infatti, siamo entrati nella famiglia di Dio per pura grazia, perché Lui ci ha scelti. In questa famiglia non si vale per le opere che si fanno, per quello che si produce. Si vale solo perché Dio ci ama. E l'amore di Dio per noi è eterno. Il battesimo non può essere ripetuto, perché è una parola d'amore eterno di Dio su di noi. Un amore che ci fa figli suoi e mai nulla, neppure il nostro tradimento, potrà cancellare il fatto che siamo suoi figli.


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Tu sei il Figlio mio, l'amato (Mt 1,11)
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Commenti alla Parola:
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Enzo Bianchi


lunedì 5 gennaio 2015

Nel "Nulla d'amore" di Dio


Epifania del Signore
• Isaia 60,1-6 • Sal 71 • Efesini 3,2-3a.5-6 • Matteo 2,1-12
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Nel giorno dell'Epifania, solennità della manifestazione di Dio a tutte le genti, il cuore e la mente si concentrano sul divino originario disegno di Dio di una famiglia umana dove la fraternità è la condizione stabile di vita. La famiglia umana, disgregatasi per la disobbedienza, trova la sua unità nel riconoscere in quel Bambino, che è nato per noi, la luce per vedere la strada da percorrere e ritornare all'originaria integrità. Ma occorre l'umiltà dei Magi che, prostatisi, adorano l'inerte Bambino.
Il "Nulla d'amore" di Dio, rivelatosi in Gesù, può essere accolto, con la mente e il cuore, soltanto da un nostro "nulla d'amore".
È in questo atteggiamento di adorazione che possiamo ridare a Colui che è il Dono i nostri doni, la nostra umanità, che Lui stesso ha preso su di sé per riscattarla e redimerla.
È in questo nostro farsi prossimo ad ogni uomo e ad ogni donna, in un servizio che è dono reciproco, che trova reale possibilità di attuazione quella fraternità universale che è il disegno di Dio sull'umanità.
È in questo nostro uscire, con gli stessi sentimenti del cuore di Dio, verso ogni periferia che possiamo dar vita a quella evangelizzazione che porta in sé la speranza di un mondo nuovo rinnovato dall'amore.
«Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te» (Is 60,1).
«Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (Mt 2,10).


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Siamo venuti ad adorarlo (Mt 2,2)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
Essere "epifania" di Dio (4/1/2014)
L'incontro con Gesù, nella "casa", con Maria (4/1/2013)
Guardare oltre, con nel cuore il mondo (5/1/2012)

Vedi anche i post:
La Stella, il dono che porta (6/1/2011)
Lo scambio dei doni (5/1/2010)

Commenti alla Parola:
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Marinella Perroni (VP 2010)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Gianni Cavagnoli (VP 2013)
  di Enzo Bianchi (A)
  di Enzo Bianchi (B)
  di Enzo Bianchi (C)


venerdì 2 gennaio 2015

Figli come Gesù e in Gesù


2a domenica dopo Natale
• Siracide 24,1-4.8-12 • Sal 147 • Efesini 1,3-6.15-18 • Giovanni 1,1-18
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini
È come una sintesi anticipata dell'intero Vangelo di Giovanni: tutta l'attenzione è concentrata su Gesù e sul dono della salvezza che Egli offre. Il Verbo, il Cristo, il Figlio Unigenito, la Luce, la Vita: ogni titolo dato a Gesù ha un contenuto abissale.
In particolare Gesù è il Verbo, la Parola, è la rivelazione palpabile di Dio Amore. È la Parola ultima e definitiva con cui Dio si manifesta. Giovanni ci confida la scoperta che egli ha fatto, vivendo con Gesù, esponendola in tre ondate successive, in tre cicli paralleli (vv. 1-5; 6-14; 15-18). In ciascuno descrive la stessa realtà, riprendendola, variandola, approfondendola: la presenza del Verbo incarnato nel mondo e il dono che ci offre.
In principio era il Verbo: la Parola esisteva prima del tempo; non da sola, ma in compagnia: la Parola era presso Dio, accanto a Lui e distinta da Lui; propriamente: "rivolta verso Dio", in una relazione d'amore. E, come vertice di una spirale, il Verbo era Dio, distinto da Dio, ma sullo stesso piano, di uguale natura.
In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini, una pienezza traboccante di vita e di luce, che è per tutti gli uomini e non è rimasta nascosta, ma si è rivelata e si è comunicata: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno vinta. Si profila il dramma degli uomini che si ostinano a rifiutare la Luce. Ma è prima di tutto la vittoria di Gesù sul male e sulla morte. Non si può soffocare la Luce, che è Lui, né impedire che molti si aprano a tale Luce.
A quanti l'hanno accolto ... ha dato il potere di diventare figli di Dio
Nel secondo ciclo il linguaggio si fa più concreto: il momento essenziale dalla storia della salvezza è la venuta del Verbo nel mondo. Veniva nel mondo la Luce vera: Gesù è come il sole che sorge per ogni uomo della terra, illuminandolo e salvandolo, se egli lo accetta. Pur di fronte al paradosso scandaloso di chi lo rifiuta, c'è chi lo accoglie: A quanti l'hanno accolto ... ha dato il potere di diventare (forse meglio: di manifestarsi, rivelarsi) figli di Dio. Gesù ci rende figli come Lui, ci comunica la sua realtà di generato da Dio. Si realizza così il disegno eterno del Padre che "ci ha predestinati ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo" (Ef 1,5).
E il Verbo si fece carne
È l'affermazione centrale che precisa il fatto e il modo con cui il Verbo è venuto. Da una parte il Verbo, dall'altra la carne, l'uomo debole, fragile e mortale: solo l'amore li ha congiunti.
E venne ad abitare in mezzo a noi: "piantò la sua tenda", si fece uno dei miliardi di uomini, ma soprattutto la sua umanità - come la "tenda" nel deserto - è il luogo della dimora di Dio tra gli uomini. Ormai Dio si rende incontrabile in quest'uomo, che è Dio stesso divenuto uomo. In Lui i credenti possono riconoscere la gloria, la sua realtà di Figlio di Dio, pieno del "dono della verità", la rivelazione del Dio Amore. Per questo dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto.
Nel Vangelo abbiamo la fortuna di ricevere tale rivelazione, dimostrando sempre più la nostra realtà di figli come Gesù e in Gesù. Poterla interiorizzare, avendone una comprensione sapienziale sempre più profonda, è il dono immenso che imploriamo dal Padre per noi e per gli altri.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto (Gv 1,16)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Commenti alla Parola:
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi (A)
  di Enzo Bianchi (B)
  di Enzo Bianchi (C)