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venerdì 29 agosto 2014

Andare dietro a Gesù


22a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Il brano evangelico della scorsa domenica riportava la confessione di fede di Pietro, portavoce dei Dodici: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!». E Gesù, in risposta, rivelava l'identità e la missione dell'Apostolo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». In questo dialogo si avverte un'aria di festa e di entusiasmo per la scoperta che i discepoli hanno fatto.
Gesù però, pur soddisfatto per il traguardo che essi hanno raggiunto nel loro cammino di fede, sa che molta strada resta da fare perché questa fede, ancora acerba, diventi più chiara e matura. Così, con il barano evangelico odierno (cf Mt 16,21-27), vuole imprime una svolta alla sua opera educativa: «Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
È il primo dei tre annunci della passione-morte-risurrezione che Gesù in diverse riprese fa ai discepoli durante il viaggio verso la città santa.
Un tragico destino lo attende. Egli ne parla senza esitazione e con lucida consapevolezza. Sa bene che le sue scelte in favore dei peccatori e dei "lontani", il suo stile di vita libero da ogni forma di legalismo, ma tutto incentrato nell'amore, provocano l'opposizione e la resistenza da parte dei responsabili di Israele. Sa di avere molti nemici, che cercano di eliminarlo e che presto o tardi ci riusciranno. Gesù intravede, quindi, il fallimento umano della sua missione, che sta tutto in quel «doveva ... soffrire e venire ucciso». Ma questa "necessità" non è legata a un destino cieco e crudele, e non è neppure soltanto la conseguenza "logica" del suo comportamento contro corrente. Il verbo "doveva", che ricorre spesso sulle labbra di Gesù, indica il disegno di Dio, misterioso e insindacabile, che deve compiersi nella storia. Un disegno d'amore che si attua attraverso vie e modi non conformi alla logica umana, ma in stridente contrasto con essa. Questo piano divino, però, non riguarda soltanto la sconfitta umiliante del Messia, ma anche la sua suprema glorificazione: «doveva ... risorgere il terzo giorno». Anche quest'ultima parte dell'annuncio rimane però oscura, tanto che i discepoli non la prendono in considerazione. Sono invece "shoccati" dall'annuncio della passione e della morte.
Riconoscendo in Gesù il Messia promesso, Pietro e i suoi compagni pensavano al liberatore politico e militare che con la forza di Dio avrebbe vinto tutti gli oppressori del suo popolo, instaurando una condizione di pace universale.
Gesù invece rivela un aspetto del Messia che li coglie impreparati e li "spiazza" radicalmente: il Salvatore inviato da Dio non sbaraglierà gli avversari con una vittoria totale, ma subirà la sconfitta. E questo perché, in umile obbedienza al disegno di suo Padre, percorrerà la via dell'amore che si fa servizio fino al dono della propria vita.
In tal modo rivelerà un volto inedito e insospettato di Dio: non il Dio che schiaccia con la sua potenza, ma un Dio debole e "perdente", che condivide fino all'estremo la condizione dell'uomo peccatore, così ricuperandolo.
L'incomprensione e il rifiuto di un Dio così si manifestano nella reazione di Pietro: «...questo non ti accadrà mai!». La contro-reazione di Gesù è però quanto mai forte: «Va' dietro a me, satana!».
Il contrasto con la scena precedente, in cui Gesù aveva proclamato "beato" l'Apostolo rivelandogli la sua missione nel piano di Dio, non può essere immaginato più netto e più crudo. Gesù lo chiama addirittura "satana": il Nemico, che nel deserto aveva cercato di persuaderlo a imboccare la via del potere e del successo, boicottando il disegno del Padre. Ora torna all'assalto con una forza di suggestione ancora maggiore, servendosi del discepolo stesso. Ma ecco la sua risposta dura e perentoria di Gesù: «Va' dietro a me, satana!». Gesù richiama Pietro a mettersi di nuovo nella sua posizione di discepolo che non pretende di precedere il Maestro insegnandogli la strada, ma lo segue accettando umilmente di condividere la sua sorte.

Non può darsi che anche noi ragioniamo come Pietro e gli altri discepoli? Anche noi, come loro, spesso siamo prigionieri di un'immagine di Dio che, se è potente e buono, non può permettere il dolore in tutte le sue forme e dovrebbe sopprimere quanti operano il male. Questo Dio però non è il Dio di Gesù. Il rimprovero rivolto a Pietro è quindi anche per noi!
Ci siamo lasciati educare finora da Gesù a riconoscere questo aspetto essenziale nella figura del Salvatore e nel vero volto di Dio? Accettiamo che il Messia ci salva attraverso il dolore vissuto nell'amore? Siamo consapevoli che la gloria e la suprema felicità rimangono il traguardo certo per Gesù e anche per noi, ma la via per raggiungerle è la "via della croce"?
Così Gesù non si limita a esigere dai discepoli che lo riconoscano come il Messia crocifisso-risorto. Egli li chiama ad abbracciare le sue stesse scelte e il suo stile di vita, spiegati soltanto dall'amore: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua». Parole di un radicalismo inaudito: il discepolo deve essere pronto a spostare ogni sua visione della vita, a dire di no a ogni suo progetto, che non collimino con quelli del suo Maestro.
La vita si trova perdendola, cioè donandola per amore! E questo può avvenire una sola volta con la morte fisica. Ma la vita può essere data anche goccia a goccia in ogni gesto quotidiano motivato dall'amore e compiuto con amore.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


domenica 24 agosto 2014

Una donna di Gaza: solo Dio può cambiare questa realtà di morte


Il 23 luglio scorso la Radio Vaticana ha mandato in onda un'intervista ad una donna che abita nella Striscia di Gaza. La sofferenza raccontata dal vivo.
Tra la gente di Gaza intanto prevale lo sconforto, unico aiuto sono le parole del Papa e il sostegno delle tante preghiere nel mondo, come racconta al microfono di Gabriella Ceraso una giovane donna del Movimento dei Focolari che vive a Gaza e che per ragioni di sicurezza mantiene l'anonimato.

Ecco la trascrizione dell'intervista:

R. – Non esiste tregua al conflitto, vediamo solo morte, distruzione e rifugiati per le strade. È una cosa che non si può concepire, non si può credere. Vicino a noi c’è una scuola del servizio Onu per i Rifugiati, ci sono una settantina di persone che vivono in 50 metri quadrati, rifugiati sotto gli alberi. Come si fa a trovare pace in questa situazione?

D. – Come è cambiata la vostra vita da quando è iniziato il conflitto?
R. – Sinceramente, siamo un popolo già morto. Prima e dopo questa guerra nulla è cambiato. Siamo senza elettricità, senz'acqua, senza lavoro. I giovani stanno morendo psicologicamente: parli con loro e sembra di parlare con una persona di 70 anni senza aspettative nella vita e speranze. L'unica ambizione è avere almeno l'elettricità per due ore durante il giorno e trovare un po' di carburante

D. – Sia Hamas che le autorità di Israele finora hanno detto che non ci si può fermare, bisogna finire quanto iniziato. Lo pensa anche lei?
R. – Noi non abbiamo nessuna aspettativa. Tutto quello che abbiamo è la preghiera. Rivolgerci a Dio e affidarci a Lui, perché non c'è nessun governo che ci possa aiutare né arabo né straniero, neanche l'Onu può fare niente.

D. – E come può cambiare questa situazione?
R. – Se le cose dovessero cambiare sarebbe solo perché chi ha responsabilità e potere si ferma al cospetto di Dio. Solo Dio può fare la differenza, può cambiare i cuori pieni di odio, può cambiare questa realtà di morte e sofferenza.

D. – Vi giunge notizia delle preghiere e degli appelli del Papa per voi? Servono a sostenervi?
R. – Abbiamo ricevuto tutti i messaggi e gli appelli del Papa. Sappiamo che lui ci è vicino e chiede a Dio la nostra protezione con l'intercessione di Maria. E poi tutte le comunità cristiane intorno a noi ci chiamano ogni giorno per non farci sentire soli e ci sostengono con la preghiera. Tutto questo ci aiuta.

D. – Lei appartiene al Movimento dei Focolari e quindi alla spiritualità dell'unità che si costruisce con l'amore scambievole, come dice il Vangelo. Come fa a metterla in pratica ora ?
R. – Cerco ogni giorno al mattino e alla sera di tenere i contatti con famigliari e amici, sapere come stanno. Molti non hanno più una casa perché distrutta dalle bombe e noi stiamo accogliendo due famiglie rifugiate. Proprio ieri, parlando con loro dicevo: non pensate alla casa, alle cose materiali, l'importante è che siamo vivi e che stiamo insieme. L'importante è che ci siamo l'uno per l'altro. Poi, ogni giorno rendo lode a Dio per la grazia di un nuovo giorno di vita. Questo è già tanto: ancora esistiamo e ancora possiamo darci da fare.

D. – Se potesse lanciare un appello cosa direbbe?
R. – Vorrei rivolgermi a tutto il mondo, a nome del mio popolo, affinché torni a Dio, e si ricordi che a Gaza cristiani e musulmani siamo una sola famiglia, un unico popolo e un'unica vita, e stiamo subendo tutti la stessa sofferenza. Grazie».


venerdì 22 agosto 2014

Il compito affidato a Pietro


21a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Nell'itinerario formativo che i discepoli percorrono alla scuola di Gesù, l'episodio riportato nel vangelo odierno (cf Mt 16,13-20) è di capitale importanza. Lo è per Gesù stesso. L'entusiasmo della folla si è piuttosto raffreddato e molti, anche aderenti, si stanno allontanando da Lui. Gesù desidera "sbloccare" la situazione, puntando sul gruppo dei "fedelissimi". Intende esaminare, verificare il grado di maturità nella fede, che hanno raggiunto vivendo con Lui e provocarli a una più decisa presa di posizione nei suoi confronti.
La prima domanda non è molto impegnativa. È una specie di "sondaggio" di opinione: la gente cosa pensa, cosa dice di Lui? E la gente - così risulta da una facile indagine -manifesta un'alta opinione su Gesù, nutre una grande stima per Lui; ma dimostra di non aver colto la sua posizione singolare, la sua novità e originalità, collocandolo tra i grandi personaggi della storia religiosa di Israele.
A questo punto Gesù imprime una svolta inattesa al dialogo, ponendo ai discepoli una seconda domanda, che è diretta, immediata, coinvolgente: «Ma voi, chi dite che io sia?». "Io chi sono per te, per la vostra comunità?". Non si può sfuggire al carattere personale di questa domanda e alla sua forza di provocazione. Ognuno di noi, infatti, è obbligato a interrogarsi nel suo cuore, non accontentandosi di qualche formula imparata a memoria e ripetuta meccanicamente, ma cercando di capirne il significato profondo.
La risposta che dà Pietro a nome dell'intero gruppo è una stupenda confessione di fede sull'identità di Gesù: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!». Pietro, e con lui i suoi compagni, riconosce che Gesù ha con Dio un rapporto unico e originalissimo che mai nessun uomo della storia ha avuto e avrà.
È "il Cristo", "il Messia", l'unico, ultimo e definitivo Re e Pastore del popolo di Israele, l'Inviato da Dio per dare a questo popolo e a tutta l'umanità la pienezza della vita. L'unico necessario, di cui tutti hanno bisogno: «Il Figlio del Dio vivente!».
Un gruppo sparuto di uomini è arrivato a scoprire nel proprio Maestro il Salvatore promesso e atteso da secoli. Una fede senza dubbio imperfetta e che avrà bisogno di fare ancora molti passi. Gesù, però, non nasconde la sua soddisfazione, la sua gioia, e proclama "beato" il suo discepolo. La fede infatti è segreto e sorgente di felicità!
In questa scoperta dell'identità del Maestro da parte dei discepoli, Gesù vede l'intervento gratuito del Padre, dove «né carne né sangue», né capacità o intelligenza umane, lo hanno rivelato, ma «il Padre mio che è nei cieli». Ogni progresso nella fede, ogni atto di fede in Gesù è dono del Padre che ci "attira" a Gesù e ci rende "beati".

In risposta alla confessione di Pietro, ora Gesù a sua volta rivolge a Pietro una parola che riguarda la sua persona e il compito che Dio gli assegna. Prima lo ha chiamato «Simone». Ma ora: «...io ti dico: tu sei Pietro». Gli dona un nome nuovo, indicandogli così la nuova realtà che lo riguarda, la sua vocazione nuova: essere «Kepha», cioè "Roccia". Così viene chiamato Simone di Giovanni: "Kephas" o "Pietro". Per i primi cristiani era importante non perdere di vista il significato dell'appellativo dato da Gesù a Simone. L'affermazione di Gesù, allora, doveva essere: "Tu sei roccia e su questa roccia edificherò la mia Chiesa", la comunità convocata e riunita davanti al Signore col Messia Gesù. È la famiglia di coloro che credono in Gesù come Pietro e insieme con Lui. Essa viene paragonata a un edificio che Gesù innalzerà su un fondamento, la persona di Pietro a cui Dio ha donato la vera confessione di fede.
Pietro con la sua presenza, con la sua attività evangelizzatrice e di governo, ma in primo luogo con la sua confessione di fede, col suo servizio di custodire e guidare la comunità nella vera fede in Gesù, assicurerà alla Chiesa l'unità e la durata. Ma Pietro non opererà per virtù propria. Egli rappresenta, cioè "rende presente", la vera "roccia" e "pietra angolare" che è Gesù.
E «le potenze degli inferi non prevarranno su di essa»… Le forze della morte e del "maligno", la potenza del male e della caducità, che travolge ogni realtà terrena, non demoliranno la Chiesa.
Ed infine, con una nuova immagine, Gesù esplicita il compito di Pietro: «A te darò le chiavi del regno dei cieli…». Gli è dato l'incarico, non di essere il portinaio del Paradiso, bensì il responsabile, l'amministratore e rappresentante del Padrone di casa (cf Is 22,22), cioè Gesù.
Con il compito poi di "legare e sciogliere", gli viene conferito il potere di "vietare e permettere", di "accogliere nella comunità ed escludere, condannare e assolvere". Pietro avrà l'incarico di interpretare in modo autorevole e autentico la rivelazione di Gesù. Questo insegnamento di Pietro è così vincolante che può escludere dalla comunità quelli che non lo seguono e può riammettere in essa quelli che si pentono. Gesù non abbandona la comunità dei credenti a se stessa, ma le dona una guida dotata di grande autorità. Noi cattolici riteniamo che il servizio affidato da Gesù a Pietro continua a essere esercitato dai Vescovi e in modo speciale dal successore di Pietro, il Papa, col quale i Vescovi sono legati in piena comunione.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


sabato 16 agosto 2014

L'appartenenza a Cristo si fonda unicamente sulla fede


20a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Il brano evangelico odierno (cf Mt 15,21-28) presenta Gesù che, durante la sua predicazione itinerante, esce dai confini della sua terra e si dirige «verso la zona di Tiro e di Sidone», città poste a nord della Palestina che simboleggiano spesso nella Bibbia i popoli pagani. Lo sconfinamento di Gesù in territorio pagano prefigura e quasi anticipa la missione universale che il Risorto affiderà ai discepoli (cf Mt 28,16-20). L'evangelista è interessato a narrare l'incontro, in zona pagana, di una «donna cananea» con Gesù. Indugia sulle diverse fasi di un dialogo prolungato attraverso il quale essa raggiunge una relazione così profonda con Gesù, al punto che egli non nasconde il proprio stupore, la propria emozione e fa quanto lei chiede. È una donna angustiata da un profondo disagio familiare, dal male che affligge la figlioletta.
La donna, che senz'altro ha sentito parlare di Gesù e ha capito che soltanto lui può risolvere il suo problema, considera questo incontro la grande occasione della sua vita. Non ricorre a qualche pratica della sua religione, ma cerca il rapporto personale con Gesù. Lo invoca a distanza, gridando: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide!».
La reazione di Gesù è sconcertante: «Ma egli non le rivolse neppure una parola». Questo atteggiamento di freddezza e di rifiuto viene ribadito e motivato dalla risposta che dà al tentativo di intercessione da parte dei discepoli: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele». La missione storica di Gesù ha come destinatario il popolo di Dio, Israele che, come un gregge disperso, cerca con tutte le forze di radunare e trasformare in una famiglia fedele al suo Dio. Anche ai discepoli Gesù aveva dato la stessa consegna: «Non andate tra i pagani... rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele» (Mt 10,5-6). Gesù è fedele a questa delimitazione della sua missione storica. Di conseguenza la donna pagana sembra rimanere esclusa dal raggio dell'attività salvifica di Gesù. Ma essa non si arrende: «Si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: Signore, aiutami!».
Ne segue un dialogo serrato, dove emerge la peculiarità del popolo d'Israele. E la donna pagana riconosce il privilegio di Israele. Sa però che la salvezza, offerta da Dio attraverso Gesù e presente in Gesù, è una mensa talmente ricca e sovrabbondante che ce n'è anche per i pagani. Sa che la misericordia di Dio, quale si manifesta in Gesù, è così traboccante e illimitata da non trascurare il bisogno di una povera pagana. Riconosce, in definitiva, che la salvezza, di cui tutti gli uomini hanno bisogno, si trova in Gesù soltanto ed egli la porta agli ebrei, ma anche ai pagani. Questa donna si rivela un tale capolavoro di umiltà e di fede da strappare l'ammirazione di Gesù, che le concede quanto desidera.
«Grande è la tua fede!». Una fede che nessun ostacolo ha potuto fermare o incrinare.
Gesù è profondamente sorpreso, come era rimasto stupito davanti alla fede di un altro pagano, il centurione romano che gli chiedeva la guarigione del suo servitore.
La fede vera, genuina, Gesù la trova non tra i "credenti" e praticanti del suo popolo. La trova invece in persone che non appartengono ufficialmente al suo popolo, ma sono capaci, per grazia di Dio, di realizzare un rapporto profondo e personale con lui.
Riconoscendo la fede della donna pagana e guarendo la sua figlia, Gesù l'accoglie già nella comunità messianica, dove l'appartenenza a Cristo, a Dio, non si fonda sull'identità razziale o culturale, ma unicamente sulla fede.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Donna, grande è la tua fede! (Mt 15,28)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


giovedì 14 agosto 2014

Le "grandi cose" compiute da Dio


Assunzione della B.V. Maria

Appunti per l'omelia

Tutte le solennità mariane ci portano a comprendere come l'Incarnazione e la Pasqua del Verbo di Dio manifestino tutta la loro forza nella persona umana. Maria, Immacolata Concezione e Madre di Dio, oggi vive la sua pasqua. L'assunzione al cielo della Vergine è il compimento di una salvezza totale che abbraccia anima e corpo.
Maria, nonostante tutto, è semplicemente una di noi. La sua vita è stata racchiusa nell'arco di una vita estremamente modesta cui sembra essere preclusa ogni esperienza, almeno quelle verso cui noi oggi tendiamo come se potessero riempirci e saziarci. Anche la sua conclusione, quella della celebrazione odierna, è comprensibile solo alla luce della fede. Di essa non c'è traccia nelle Scritture. Eppure è una conclusione assolutamente privilegiata, unica, anticipazione del destino dell'umanità tutta, perché essa ed essa sola è già nell'esperienza totale di Dio con il suo spirito e il suo corpo.
La giovane ragazza di Nazaret è unita intimamente al Figlio ed al suo destino. Essa genera nel proprio corpo la carne del Verbo, soffre nel proprio corpo lo strazio di quella stessa carne sulla croce, ma anche nell'istante della propria morte essa aderisce perfettamente alla morte del Figlio di Dio e alla sua resurrezione. Non solo, quindi, la sua anima, ma anche il suo corpo è trasferito in Dio. Tutto in Maria è unità e pienezza. Non c'è più divisione: tutto ciò che viene vissuto dal corpo è vissuto dallo spirito. Per questo, come recita il canto del Magnificat, tutte le generazioni diranno Maria «beata». Non è lei a essere attratta dalla vita e dall'esperienza delle future generazioni. Sarà l'uomo di ogni tempo ad avvertire una profonda consonanza con questa umile ed oscura abitante di Nazaret.
Grandi cose ha fatto in lei l'Onnipotente. Quali grandi cose potrebbe fare in nuove vite che già non siano racchiuse nella divina maternità della Vergine?

(passi e spunto da Il Tesoro e la Perla, di C.Arletti)

Vedi analoghi Post:
La meraviglia del Cielo (Assunzione di Maria 2012)
Gioia e gratitudine immensa (Assunzione di Maria 2013)


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49)
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  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


venerdì 8 agosto 2014

Nella "tempesta" la presenza rassicurante di Gesù


19a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Gesù ha sfamato una moltitudine moltiplicando cinque pani e due pesci. Questo miracolo straordinario ha suscitato un'ondata di entusiasmo "messianico" tra la folla, col pericolo di un movimento politico incontrollabile. Gesù, allora, «subito costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva».
Poi, «congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare». Nella solitudine riempita dalla presenza di suo Padre e vissuta nel colloquio con Lui, Gesù ritempra le forze e rigenera la propria adesione alla sua volontà.
Nel racconto evangelico odierno (cf Mt 14,22-33), due scene si corrispondono per contrasto. Nella prima, Gesù senza i discepoli, solo sul monte in compagnia di suo Padre e immerso in Lui. Nell'altra, i discepoli senza Gesù, soli con se stessi, sulla barca «agitata dalle onde, a causa del vento contrario». Non è difficile riconoscere qui un'immagine della Chiesa in rotta di navigazione verso l'altra riva nel mare tempestoso della storia. La Chiesa nel tempo della prova, quando si sente aggredita dai flutti della persecuzione, dell'ostilità, dell'indifferenza alla sua missione; quando nella comunità cristiana la "missione" sembra languire, perché si è affievolita la "comunione" con Cristo e tra fratelli; quando la Chiesa sembra abbandonata a se stessa, perché il suo Signore, ormai salito al cielo, si è reso invisibile e pare lontano, assente.
La barca in balia delle onde richiama anche simbolicamente l'esistenza di una persona, di una famiglia, di una comunità. Quante volte forse, sotto il peso di molteplici sofferenze fisiche e morali, scossi dal dubbio, dalla paura del futuro e anche dalla crisi di fede, stanchi di lottare nelle "tempeste" della vita, abbiamo avuto come l'impressione che la nostra "barca" stesse per colare a picco...
Ma «sul finire della notte Egli andò verso di loro camminando sul mare». Gesù non abbandona i suoi, anche se essi lo pensano. "Va da loro", come quando la sera di Pasqua, dopo la prova estrema e tremenda della sua morte, incontrerà di nuovo i suoi discepoli.
Non può stare senza di loro. Li raggiunge in un modo strano e imprevedibile, camminando sulle acque. Nella Bibbia l'acqua, soprattutto l'acqua agitata del mare, indica una forza negativa, ostile a Dio e agli uomini, una potenza di morte. Soltanto Dio ha il potere di padroneggiarla. Lui, il Creatore, il Signore e il Liberatore del suo popolo, "cammina sul mare" (cfr Is 43,16;51,10; Sal 77,20-21; Gb 9,8.11). In tal modo Gesù mostra di avere lo stesso potere di Dio.
È quanto riconosceranno i discepoli, proclamando: «Davvero tu sei il Figlio di Dio!». Ma per il momento i loro occhi sono impediti dall'incredulità e lo scambiano per un «fantasma», per qualcosa di non reale, di inesistente, e si mettono a «gridare dalla paura». Ma Gesù rivolge loro la sua parola: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Un appello alla fiducia, che si fonda su una assicurazione: «Sono io!».
A questo punto Pietro chiede un altro segno che convalidi il riconoscimento: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». E Gesù: «Vieni!». È semplicemente grandiosa e suggestiva la scena di Pietro che va verso Gesù, o meglio di Gesù e di Pietro che si vengono incontro camminando sulla cresta dell'onda tempestosa, dominandola. Finché regge, però, la fede dell'Apostolo. Finché la sua attenzione è concentrata interamente su Gesù. Quando però comincia a ripiegarsi su se stesso, quasi compiacendosi della propria capacità, e quando considera la forza del vento, perde di vista il Signore e viene meno la fiducia totale in Lui, allora comincia ad affondare. È in questo frangente drammatico e irreparabile che la fede di Pietro ha come un soprassalto e, raccogliendo tutte le sue energie, si esprime nell'invocazione accorata: «Signore, salvami!». «E subito Gesù tese la mano, lo afferrò».
È il gesto di Dio che salva. In Gesù Dio continua a liberare i suoi miseri che lo invocano. A Pietro Gesù non risparmia, però, un rimprovero: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Gesù "salva" Pietro e i discepoli "di poca fede". Così la comunità, superata la prova, "il vento contrario", raggiunge la fede sicura ed esplicita, che esprime in una confessione unanime e corale: «Davvero tu sei il Figlio di Dio!».
La Chiesa, raffigurata dalla barca che porta i discepoli con Pietro e Gesù in mezzo a loro, continua il suo cammino nella fede e nel continuo richiamo ad affidarsi al suo Signore.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14,31)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi

venerdì 1 agosto 2014

Il poco condiviso sfama una moltitudine


18a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Avuta la notizia che Giovanni Battista è stato ucciso da Erode, «Gesù parti di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte». Desidera cautelarsi, ma soprattutto riflettere nella calma per capire quanto la volontà del Padre esige da Lui in questa nuova situazione. Sente anche il bisogno di un po' di riposo nella quiete e nella compagnia dei suoi amici, i discepoli.
Nel'episodio evangelico odierno, però, il programma salta a causa della folla, di fronte alla quale e a contatto con essa Gesù si lascia "giocare" dalla "compassione" (cf Mt 14,13-21).
È una «grande folla», allora, come anche oggi. È una società non soltanto divisa, ma anche malata. Una umanità affamata, di una fame molteplice; fame di cibo, ma anche e soprattutto di valori, di affetto, di libertà, di felicità. Fame di Dio.
Nel suo sguardo attento Gesù non rimane neutrale, insensibile, "sente compassione", sente "fremere e sconvolgere le viscere". È una compassione non emotiva e superficiale, ma reale partecipazione e coinvolgimento. È un immedesimarsi nella situazione dell'altro, un "patire-sentire insieme con l'altro". Una "compassione" che è attiva, che spinge Gesù a guarire i malati e poi a saziare la folla affamata.
Stupisce l'insistenza con cui Matteo presenta Gesù come il medico che risana i malati. Sta in questa attività una delle caratteristiche inconfondibili del Messia. A Lui sta a cuore tutto l'uomo, l'integrità totale della persona. Egli sa che la malattia tende a isolare le persone dalla vita sociale. Guarendo i malati intende reintegrarli pienamente nella società.
Gesù vuole innescare negli interlocutori una reazione a catena. Vuole contagiarci il suo sguardo di "compassione" coinvolgendoci: «Voi stessi date loro da mangiare». Come i discepoli, anche noi faremmo notare la sproporzione tra l'insufficienza e la scarsità dei mezzi a nostra disposizione e le necessità smisurate a cui occorre fare fronte: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci», non possiamo farci nulla.
Il seguito del racconto mostra che Gesù non opera magicamente, non parte da zero. Ha bisogno che qualcuno metta a disposizione quel poco che ha. Ha bisogno che qualcuno quel giorno rischi di saltare il pranzo perché condivide. Il primo miracolo, appunto, sta proprio nel sapere condividere. È un gesto che dà il via libera a Gesù: quel "poco" condiviso gli consente di sfamare una moltitudine.
Gesù, però, compiendo questo miracolo non intende soltanto sfamare la folla, ma anche e soprattutto creare e consolidare la comunione. In effetti, Egli non vuole che la gente si disperda. Così proponevano i discepoli, nel loro tentativo di disimpegno: «congeda la folla». Ma vuole mantenerla unita, mostrando con questo di essere il pastore di questo gregge, il pastore vero che raccoglie nell'unità una folla dispersa. Le prepara un banchetto, la riunisce intorno a sé trasformandola in una grande comunità conviviale, dove tutti, senza discriminazioni e differenze sociali, godono la libertà di stare insieme, di far festa, di vivere nella comunione con Dio e tra di loro.
È il significato ecclesiale del miracolo. Un'immagine viva della Chiesa, che Gesù vuole raccolta insieme come una sola famiglia. La Chiesa dove i Dodici - e i loro successori - continuano a distribuire la Parola e l'Eucaristia.
La "compassione" di Gesù, riflesso della misericordia del Padre, non verrà mai meno. La speranza cristiana, che attende la salvezza definitiva, ha il suo fondamento solidissimo nell'amore di Dio che si è fatto visibile in Gesù: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo?... Nessuna creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (cf Rm 8,35-39).



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Voi stessi date loro da mangiare (Mt 14,16)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
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