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venerdì 25 luglio 2014

L'unico nostro tesoro


17a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Nel discorso delle parabole, che da qualche domenica ci vengono proposte, oggi ascoltiamo le ultime tre (cf Mt 13,44-52).
Le parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa contengono sostanzialmente il medesimo messaggio, anche se con accentuazioni diverse.
Accadeva in Palestina di trovare tesori nascosti. I proprietari li sotterravano in tempo di guerre e di saccheggi, e talora morivano senza aver potuto rivelare il nascondiglio. Un contadino, un bracciante forse, lavorando in un campo non suo, scopre un tesoro di monete e di gioielli. Sorpreso per l'inattesa fortuna e fuori di sé dalla gioia, decide di vendere tutto ciò che gli appartiene per acquistare il campo e così diventare proprietario del tesoro.
Il messaggio è chiaro: il Regno di Dio è un valore supremo, di una preziosità unica e inestimabile. Vale la pena affrontare qualsiasi sacrificio e rinuncia per ottenerlo. La parabola sottolinea la saggezza di chi prende la decisione pronta e radicale di puntare tutto sul tesoro trovato, sacrificando ad esso tutto il resto. Ma l'accento non è posto sulla sofferenza che questa scelta può comportare, ma sulla gioia della scoperta: «va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi». Ma questo tesoro è nascosto. La realtà di Dio, che si fa presente in Gesù e nella sua attività, non è un dato evidente e scontato. Va scoperto. È aprire gli occhi e scoprire che il Regno è il tesoro infinitamente superiore a qualsiasi altro. Una tale scoperta è un dono superlativo. Il tesoro, però, non viene regalato, ma va conquistato con l'impiego di tutte le nostre forze.

La parabola della perla ripropone il medesimo messaggio. Ma alla preziosità del Regno se ne evidenzia la bellezza incomparabile, il fascino irresistibile. E si sottolinea la "ricerca". Qui è di scena, appunto, un mercante, un trafficante di perle preziose. Il Regno di Dio va "cercato" senza tregua. La scoperta, comunque, sarà sempre sorprendente e superiore a ogni attesa.
Però la dinamica del Reno non è: sacrìficati e troverai il tesoro; ma: hai trovato il tesoro - che è Dio manifestatosi in Gesù - e tale incontro con Lui è così totalizzante, ti colma di una tale gioia, che diventa possibile e "logico" perdere tutto il resto.
In altre parole, aderire a Gesù è l'investimento più intelligente, è l'affare più vertiginoso che possa accadere a una persona. È l'esperienza più bella e affascinante che una persona può avere la fortuna e la grazia di vivere.

L'impegno di mettere sempre al primo posto Dio e la sua volontà è l'ammonimento contenuto nella parabola della rete, che è l'ultima delle sette riportate nel discorso di Gesù. Corrisponde in un certo senso alla parabola della zizzania che cresce insieme al grano e si riferisce al giudizio finale, in cui i buoni saranno separati dai cattivi.
Nel lago di Genesaret, sulla cui riva Gesù racconta le parabole, i pesci vi nuotano senza distinzione, piccoli e grandi, "buoni e cattivi", cioè commestibili e non. Ma quando la rete è tirata a riva e i pescatori fanno la cernita, i pesci buoni vengono raccolti, i cattivi gettati via.
Qui sulla terra non fa differenza e non ha importanza, così pare, interessarsi di Dio oppure no; i buoni e i cattivi sembrano trovarsi bene o male allo stesso modo. Ma Gesù ci ammonisce a non farci ingannare. Non sarà sia sempre così. È certo che vi sarà una netta separazione. Ecco allora l'invito è a comportarci in modo tale che alla fine possiamo essere accolti da Dio.
Vivere cioè con responsabilità, mettendo al centro il legame con Dio, ci consente di guardare senza ansia al futuro finale, alla realizzazione del progetto originario di Dio che ci ha «predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo» (cf Rm 8,28-30): il traguardo ultimo sarà veramente la partecipazione definitiva alla gloria del Cristo risorto.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto (Mt 13,44)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


venerdì 18 luglio 2014

Non siamo una comunità di "perfetti"


16a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Il vangelo di questa domenica prosegue nell'esposizione delle parabole del Regno, quelle della zizzania e del grano buono, del granellino di senape e quella del lievito (cf Mt 13,24,43).
Ci soffermeremo sulla prima, di cui Gesù dà in seguito una spiegazione particolareggiata ai discepoli. È costruita su una serie di contrasti: il padrone semina nel suo campo il grano buono, ma il "nemico" vi semina la zizzania. I due semi germogliano e crescono insieme. Alla mietitura saranno separati.
Alcuni interrogativi angustiavano i discepoli di allora, e anche di oggi: come mai molti oppongono tanta resistenza alla parola di Gesù e non vivono secondo il vangelo? Come mai nella società e, anzi, all'interno della comunità cristiana convivono, vicini e mescolati insieme, buoni e cattivi, credenti e non credenti...? Pare sensata e ragionevole la proposta, che i servi fanno al padrone, di estirpare la gramigna. Gesù, invece, invita a entrare nelle ragioni del "padrone", il quale esorta alla pazienza escludendo per il momento ogni intervento radicale, ma rimandando al tempo della mietitura. In effetti, il grano e la zizzania nella fase di crescita sono esteriormente molto simili e non è facile distinguerli, come invece quando saranno maturi.
Il messaggio che possiamo cogliere è abbastanza chiaro e articolato. Se il vangelo di Gesù viene rifiutato, se i cristiani sperimentano spesso il fallimento nella loro azione evangelizzatrice, se il male in tante forme imperversa, tutto ciò è opera del "nemico". È il realismo evangelico che vieta ogni lettura ingenua della società e della storia.
In tutto il tempo che intercorre tra il primo annuncio del vangelo e il giorno del giudizio finale, nella società e nella stessa comunità cristiana coesistono e si intrecciano bene e male, credenti e non credenti senza una linea di netta separazione.
Questa situazione, che crea nei discepoli forte disagio, smania di epurare il male e i presunti cattivi, non sfugge al Dio e al suo controllo. Egli sa che la messe non sarà compromessa ed il male non avrà la meglio. In questo tempo occorre lottare contro la tentazione, sempre ricorrente in varie forme nella storia, di voler creare un popolo puro, una comunità di "perfetti". È in fondo la pretesa di anticipare il "giudizio" che è riservato alla fine della storia e che spetta all'unico Signore.
Questo, invece, è il tempo della crescita di ciò che è stato seminato, il tempo della missione che vede impegnati i discepoli nell'evangelizzare e testimoniare Cristo, ma in una situazione di "mescolanza" di buoni e di cattivi. Ciò richiede che essi esercitino la pazienza nel tollerare la "gramigna", anzi nel dialogare con tutti in un atteggiamento umile e benevolo, escludendo ogni condanna perentoria.
Capire e attuare il messaggio della parabola significa, perciò, rimanere sereni e fiduciosi nella situazione di "mescolanza"; sperare cioè nel futuro del seme buono; cercare di riconoscere la presenza del bene anche là dove sembra dominare soltanto il male; investire ostinatamente sulla potenza dell'amore che non si stanca di dialogare. Sicuri che questa strategia può trasformare l'umanità intera. Nessun fanatismo quindi, nessuna intolleranza, imparando da Dio che è indulgente e spia ogni mossa di possibile ripresa e di ravvedimento, e, «che, dopo i peccati, concede il pentimento» (cf Sap 12,13-19). E confidando nella forza della preghiera, o meglio nella potenza dello «Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza... e intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (cf Rm 8,26-27).
Una cosa è comunque certa: questa situazione non durerà sempre. Inesorabilmente arriverà il giorno del giudizio, quando i buoni e i cattivi saranno separati e avranno un destino completamente diverso. È quanto Gesù sottolinea nello spiegare la parabola ai discepoli: gli angeli «raccoglieranno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente... I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro». Queste parole contengono una promessa molto consolante, ma anche un appello a convertirsi seriamente finché si è in tempo.
La parabola della zizzania mette in guardia contro l'atteggiamento di una comunità che tende a considerarsi una comunità di "perfetti" e vorrebbe isolarsi, liberandosi dell' "erbaccia", non curandosi dei più deboli e non accorgendosi che questo atteggiamento scandalizza i "piccoli", quei cristiani fragili e ancora immaturi nella fede.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il regno dei cieli è simile al lievito (Mt 13,33)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


venerdì 11 luglio 2014

Il seminatore uscì a seminare… ovunque


15a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Nel capitolo 13 del vangelo secondo Matteo, che ci viene proposto in queste domeniche, sono raccolte sette parabole di Gesù. È il terzo grande discorso, dopo quello della montagna (Mt 5,7) e quello missionario (Mt 10). Gesù è il Maestro messianico che riunisce la sua comunità e la educa con la sua parola.
La prima parabola è quella del seminatore o del seme. Le parabole di Gesù non sono "storielle" che accarezzano gli orecchi dell'uditorio, ma intendono scuotere portando a riflettere e a prendere una decisione nei suoi confronti. Per questo è importante cogliere i motivi che spingono Gesù a usare il linguaggio delle parabole. Da tempo ormai sta annunciando che il Regno di Dio è vicino ed un gruppo di discepoli si è formato attorno a Lui. Essi, però, vivono un momento di crisi, di disorientamento. Si chiedono con inquietudine: dov'è il Regno, questo intervento decisivo di Dio che cambia tutto? È davvero efficace la parola di Gesù? E tanti che si erano avvicinati a Gesù si sono ritirati. Ed anche quelli che aderiscono a Lui sono poi veramente "cambiati"? Un sottile scetticismo si fa strada tra la folla e in particolare nel cuore dei discepoli, come può accadere anche a noi: vale ancora la pena seguire Gesù?
Ed il messaggio che Gesù vuole trasmettere con la parabola è appunto questo: nell'avventura del Regno di Dio, che Egli annuncia e rende presente, avviene come quando si semina.
In Palestina il campo non veniva arato prima della semina, ma dopo: la semente veniva sparsa in tutte le parti del campo, anche nei sentieri che lo attraversavano e nelle zone sassose o piene di rovi. Per questo molta semente andava perduta. Ma il risultato finale, la resa del seme caduto sulla terra buona, compensava tutte le perdite. Così il Regno di Dio, che è la presenza di Dio che si dona attraverso Gesù, si manifesterà pienamente e già si sta facendo realmente strada, nonostante gli ostacoli e i fallimenti che Gesù incontra, nonostante lo scacco supremo che Egli vede profilarsi, cioè la sua passione e morte. Gesù non condivide la concezione spettacolare e trionfalistica dei giudei (e oggi di molti cristiani!) i quali pretendono che, se Dio interviene, deve abbattere ogni resistenza; e si scandalizzano per la lentezza, la fatica con cui la sua opera avanza nella storia. Gesù, però, vede già la fioritura e la maturazione del seme, l'abbondanza del raccolto.
Questa fiducia sconfinata nella potenza di Dio e nella forza della Parola, che, scesa come la pioggia, non ritorna senza aver operato e compiuto ciò per cui è stata mandata (cf Is 55,10-11), Gesù vuole comunicarla ai suoi discepoli. Vuole infondere speranza nei cristiani di ogni tempo, tentati di cedere allo scoraggiamento e alla rassegnazione davanti agli insuccessi della missione.
Il seminatore Gesù sparge il seme dovunque, con "spreco" si direbbe, non scartando nessun terreno ma ritenendo ciascuno degno di fiducia e di attenzione. Così la Chiesa deve offrire la Parola a tutti senza risparmio di energie. È la vocazione di ogni cristiano! Tutti sono seminatori della Parola, anche se non tutti siamo seminatori allo stesso grado e con le stesse responsabilità. Tutti però siamo incaricati di portare la Parola al mondo, sapendo che è Parola la nostra vita prima ancora che la nostra voce.
Ogni mattina ogni cristiano è chiamato ad «uscire a seminare», senza scoraggiarsi se una parte del seme dovesse cadere su un terreno non buono.
La parabola mostra il contrasto fra l'inizio umile e modesto del Regno, nella parola e attività di Gesù, e il suo splendore futuro, mettendo così in luce la fecondità del seme ed invitando a riporre ogni fiducia nella potenza di Dio che porta avanti il suo Regno attraverso l'opera di Gesù e la missione evangelizzatrice della Chiesa, nonostante le apparenze infruttuose.
Gesù, alla fine, ci apre gli occhi su cosa è in gioco «ogni volta che uno ascolta la Parola». Se, come i discepoli, è disponibile e cerca di capire, chiedendo a Gesù un'ulteriore spiegazione, otterrà sempre più luce per penetrare nel cuore della Parola e aver chiaro il senso della propria esistenza: «A colui che ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza». Ma a chi, ascoltando Gesù, non è interessato a capire di più e a lasciarsi guidare da Lui, «sarà tolto anche quello che ha», perché, trascurando la Parola, rimarrà nel buio e vi sprofonderà sempre di più.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ecco, il seminatore uscì a seminare (Mt 13,3)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


lunedì 7 luglio 2014

Il Diaconato in Italia


Il Diaconato in Italia n° 184
(gennaio/febbraio 2014)

Misericordia luogo diaconale: forza e mitezza dell'amore





La misericordia del discepolo (Giuseppe Bellia)
Teologia dell'amore misericordioso (Paul Poupard)
La misericordia nella vita ministeriale (Crescenzio Sepe)
La diaconia della misericordia nella Evangelii Gaudium (Enzo Petrolino)
La misericordia divina, fondamento per i diaconi (Mauro Orsatti)
La diaconia della misericordia nel vangelo secondo Matteo (Luca Bassetti)
La diaconia quale risposta alla misericordia (Giovanni Chifari)
Forza e mitezza dell'amore (Vincenzo Testa)
La cura di Dio verso i poveri, i malati e i peccatori (Paola Castorina)
Testimonianze

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Il Diaconato in Italia n° 185
(marzo/aprile 2014)

Diaconi ministri della speranza nelle periferie del mondo





Ripensare dal basso il ruolo diaconale (Giuseppe Bellia)
Teresa di Lisieux santa dei suburbi urbani (Francois-Marie Lethel)
Portare il vangelo nelle periferie del mondo (Papa Francesco)
Omelia a Lampedusa (Papa Francesco)
Con il vangelo nelle periferie esistenziali (Francesco Soddu)
In ascolto delle lontananze (Giovanni Chifari)
Diaconi ministri della speranza oltre i confini (Andrea Spinelli)
Uscire dalle mura della parrocchia per andare verso i cortili delle città (Gaetano Marino)
È ora di andare (Vincenzo Testa)
Verso il V Convegno Ecclesiale Nazionale 9-13 novembre 2015 (Giovanni Chifari)
Testimonianze

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venerdì 4 luglio 2014

I "piccoli", la predilezione del Padre


14a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Il brano evangelico di questa domenica (cf Mt 11,25-30) si apre con una preghiera di giubilo, di lode che Gesù rivolge a Dio. «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra». Gli ebrei erano educati a "benedire Dio", a lodarlo e ringraziarlo. Anche Gesù "benedice" Dio. Ma qui, in questa sua semplice lode, si coglie subito una grande novità e originalità. Egli si rivolge a Dio chiamandolo Padre, "Abbà", cioè, "babbo", "papà". Così i figli, non soltanto bambini ma anche adulti, chiamavano il padre in famiglia. Per un ebreo era inaudito rivolgersi a Dio con questo appellativo. Ma se Gesù lo fa, ciò è segno della coscienza della relazione filiale che egli ha con Dio, unica ed esclusiva. Il creatore e padrone assoluto del mondo è suo padre, suo papà! E Gesù è felice di suo padre, di come si comporta, di quel che opera. È stupito, è incantato per quello che il Padre fa. E glielo dice. Ed il motivo della sua lode gioiosa e riconoscente è che il modo di agire di suo Padre non rispetta le regole e la logica in vigore presso gli uomini.
Infatti Dio, rivelandosi in Gesù, non ha fatto capire «queste cose», il misterioso rapporto fra il Padre e il Figlio, «ai sapienti e ai dotti», agli scribi e ai farisei, a chi detiene il potere; ma le ha rivelate ai «piccoli», a coloro che, poveri, donne, bambini, pubblicani e peccatori, persone che socialmente e religiosamente non contano, a coloro che hanno aderito a Gesù. I «piccoli», che letteralmente sono gli "infanti", i bambini che non sanno ancora parlare, hanno imparato una parola perché Gesù a loro l'ha insegnata: "Abbà", papà, nel rivolgersi a Dio. Questi "piccoli", in definitiva, sono i discepoli, con Maria, sono quelli che si riconoscono come bambini davanti a Dio, lo riconoscono come Padre, sono i "poveri in spirito" (cf Mt 5,3).
Dio ha offerto la sua rivelazione ai "piccoli" attraverso Gesù, le sue parole, le sue opere, la sua vita: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». Sono i "piccoli" ai quali Dio si rivela attraverso Gesù. L'uomo è così accolto nella comunione d'amore col Padre, nella misura in cui accetta di entrare in comunione con Gesù.
Gesù ci ha detto in che relazione egli sta con Dio e qual è il compito che svolge in favore degli uomini che lo accolgono: rivela loro Dio come Padre. A questo punto rivolge un invito, un appello pressante ad accogliere il suo annuncio, la sua rivelazione, ad accettare Lui come il proprio Maestro: «voi tutti, che siete stanchi e oppressi». Sono i "piccoli", scoraggiati dal peso eccessivo delle osservanze della Legge, ma sono anche tutti quelli che si sentono schiacciati dalle prove e dalle angustie della vita. A tutti, spesso tentati di non rimanere fedeli a Gesù, Egli rivolge tre imperativi: «Venite a me», credete in me, mettetevi in relazione con me, legatevi a me; «Prendete il mio giogo sopra di voi», quel "giogo" superato della Legge mosaica dall'insegnamento di Gesù, dal suo Vangelo; «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore»: lasciatevi istruire da me, ascoltate il mio messaggio, la mia parola, mettetevi alla mia scuola, diventate e rimanete miei discepoli. Perché «il mio giogo è dolce e il mio peso leggero». Anche se le esigenze di Gesù sono molto più radicali di quelle contenute nella Legge di Mosè, tuttavia Gesù l'ha semplificata e concentrata nel comandamento dell'amore, perché "chi ama ha adempiuto la Legge".
Il frutto e la conseguenza dell'ascolto del Maestro Gesù è questo: «Io vi darò ristoro... troverete ristoro per la vostra vita», troverete la suprema realizzazione di voi stessi.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Sono mite e umile di cuore (Mt 11,29)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi