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venerdì 28 marzo 2014

L'incontro che "illumina" l'esistenza


4a domenica di Quaresima (A)

Appunti per l'omelia
La liturgia di questa domenica è dominata dal tema della luce. In particolare, tutta la trama del racconto evangelico (cf Gv 9,1-41) si comprende a partire dall'affermazione di Gesù: «Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Ecco chi è Gesù per l'uomo: la luce che rischiara la sua esistenza e la riempie di significato. È colui che dona la luce della fede. Il cieco, infatti, rappresenta l'uomo che non crede. E Gesù lo guarisce non solo fisicamente ma anche e soprattutto spiritualmente.
Alla luce piena della fede il "cieco nato" arriva attraverso un itinerario lento e laborioso. Gesù passa, vede un cieco, un pover'uomo che da anni sta seduto in quel posto a chiedere l'elemosina. Si ferma, non va oltre. Lo ama. Gli si avvicina e lo tocca con tenerezza. Poi gli comanda: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe, che significa Inviato». «Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva». La guarigione non è frutto di qualche magia. È una cosa molto più semplice: è la conseguenza dell'obbedire alla parola di Gesù.
Questa è l'esperienza possibile anche per noi: lasciarsi toccare il cuore dal Vangelo, accogliendo le parole di Gesù: metterle in pratica e immergerci nella "piscina di Sìloe", che significa "Inviato", cioè Cristo stesso, l'Inviato del Padre. Saremo così guariti dalla cecità e potremo accorgerci di chi ci sta attorno. Saremo capaci di stendere a nostra volta le mani per toccare con affetto chi è solo, chi è bisognoso, chi chiede amicizia. O meglio, permetteremo a Gesù di agire Lui stesso attraverso di noi.
L'evangelista descrive l'itinerario della fede cristiana nel suo progressivo chiarificarsi: per il cieco Gesù è dapprima «l'uomo che si chiama Gesù» e che lo ha guarito; un uomo che si è interessato di lui e gli ha voluto bene concretamente. In un secondo momento lo riconosce come «un profeta», uno che viene da Dio, un suo inviato. Infine, in un incontro personale Gesù gli si rivela come il «Figlio dell'uomo», colui che viene dal cielo per radunare gli uomini e renderli partecipi della vita di Dio. Allora, prostrato a terra, il cieco guarito professa la sua fede piena: «Credo, Signore!».
È il racconto, quello del cieco nato, di una fede cresciuta in un contesto di ostilità. Secondo l'evangelista, nel corso della storia si svolge un grande processo dove l'imputato è Gesù e ogni uomo è chiamato a prendere posizione, a scegliere se stare con Gesù oppure contro di Lui. Non è possibile rimanere neutrali. Il cieco guarito si schiera dalla parte di Gesù e per questo si espone alla persecuzione. Ma nelle difficoltà la sua fede matura e la sua testimonianza si fa più decisa.
La fede può esigere una rottura violenta col mondo e con la sua logica. Può comportare l'esclusione dalla comunità, può persino comportare il rifiuto dei genitori. È una fede senza complessi, coraggiosa, dove il cieco si trova praticamente solo e contro tutti nel difendere Gesù, nel testimoniare in suo favore. Una fede che espone alla solitudine, ma questa solitudine è riempita dall'incontro permanente con Cristo.
Mentre il cieco vede sempre più, dall'altra parte gli avversari diventano sempre più ciechi. Veramente l'uomo, come ha la possibilità di aprirsi alla fede, porta anche in sé il terribile potere di accecarsi, di fabbricarsi cioè delle buone ragioni per non vedere, di crearsi delle false evidenze, di rifiutarsi di aprire gli occhi dicendo che "vede": tragica tentazione in continuo agguato nella nostra vita. In ogni azione che compiamo noi decidiamo sempre di sbarrare porte e finestre oppure di aprirle all'invasione della luce.
Ecco allora l'invio di san Paolo: «Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce…» (cf Ef 5,8-14).



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Io sono la luce del mondo (Gv 9,5)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


martedì 25 marzo 2014

Si è fatto povero… [8]


Concludo questa mia riflessione sul messaggio di papa Francesco per questa Quaresima: «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cf 2Cor 8,9).

Portare a tutti la luminosa speranza che Dio, che è Padre, accoglie e perdona chiunque si affida a Lui con cuore sincero, qualsiasi sia la nostra colpa. L'ostacolo non è la possibilità del perdono di Dio, ma la nostra, la mia, incapacità a credere che Dio è più grande del mio peccato, a credere che Lui mi ama così come sono, mi accoglie nella mia situazione concreta, non per lasciarmi nella mia condizione di precarietà spirituale, ma per rifarmi a nuovo, per ridarmi la vita, che è Lui stesso.
Per questo "il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza".
"È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti a dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio".
"Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno di amore".
Allora, in questa Quaresima, siamo tutti sollecitati a "testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico che si riassume nell'annuncio dell'amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona".
Lo potrò fare, lo potremo fare "nella misura in cui saremo conformati a Cristo, che si è fatto povero e ci ha arricchiti con la sua povertà".
"Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana".


lunedì 24 marzo 2014

Si è fatto povero… [7]


Sempre sul messaggio di papa Francesco per questa Quaresima: «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cf 2Cor 8,9).

La miseria morale, "che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore".
La nostra miope autosufficienza, l'esaltazione oltre ogni misura del nostro io ci portano all'inaridimento del cuore, lontano da Dio. "Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento". Perdiamo l'unica occasione di dare alla nostra vita un senso vero, che ci appaghi veramente, di riconoscere che il dono della vita, con tutto ciò che ne consegue, viene da Dio. "Dio è l'unico che veramente sana e salva"!
Poter annunciare a tutti con gioia e convinzione che il "vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale"; è la buona notizia che tutti attendono, ma che non tutti sono pronti ad accogliere. Abbiamo bisogno che qualcuno, insieme, ci faccia camminare con lui.
Ogni discepolo di Gesù "è chiamato a portare in ogni ambiente l'annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna".
Questo è l'invito rivolto a me, perché, dopo aver fatto l'esperienza della misericordia di Dio, possa stare accanto ai miei fratelli perché anch'essi faccia la medesima esperienza.


domenica 23 marzo 2014

Non clericalizzare!


Ieri, Papa Francesco, incontrando l'Associazione "Corallo" che riunisce le emittenti radio-televisive cattoliche italiane, ha parlato, nel suo discorso, del lavoro dei "comunicatori", che dovrebbero sempre "cercare la verità, la bontà e la bellezza". Ha ribadito poi che il Corpo di Cristo "è questa armonia della diversità, e quello che fa l'armonia è lo Spirito Santo". Riferendosi poi all'Esortazione apostolica Evangelii Gaudium si è soffermato sulla tentazione del clericalismo: "Ė uno dei mali, è uno dei mali della Chiesa. Ma è un male "complice", perché ai preti piace la tentazione di clericalizzare i laici, ma tanti laici, in ginocchio, chiedono di essere clericalizzati, perché è più comodo, è più comodo! E questo è un peccato a due mani! Dobbiamo vincere questa tentazione. Il laico dev'essere laico, battezzato, ha la forza che viene dal suo Battesimo. Servitore, ma con la sua vocazione laicale, e questo non si vende, non si negozia, non si è complice con l'altro No. Io sono così! Perché ne va dell'identità, lì. Tante volte ho sentito questo, nella mia terra: "Io nella mia parrocchia, sa? ho un laico bravissimo: quest'uomo sa organizzare… Eminenza, perché non lo facciamo diacono?". Ė la proposta del prete, subito: clericalizzare. Questo laico facciamolo… E perché? Perché è più importante il diacono, il prete, del laico? No! Ė questo lo sbaglio! Ė un buon laico? Che continui così e che cresca così. Perché ne va dell'identità dell'appartenenza cristiana, lì. Per me, il clericalismo impedisce la crescita del laico. Ma tenete presente quello che ho detto: è una tentazione "complice" fra i due. Perché non ci sarebbe il clericalismo se non ci fossero laici che vogliono essere clericalizzati. Ė chiaro, questo? Per questo ringrazio per quello che fate. Armonia: anche questa è un'altra armonia, perché la funzione del laico non può farla il prete, e lo Spirito Santo è libero: alcune volte ispira il prete a fare una cosa, altre volte ispira il laico…".
Quanto detto dal Papa ha suscitato in me un impegno più consapevole nel servizio della comunità affidatami, nel rispetto del "progetto" di Dio su ciascuno, nell'armonia di tutto il Corpo ecclesiale, come peraltro è detto nel Direttorio per la formazione dei diaconi, chiamati ad essere "uomini di comunione": vivendo "nel vincolo della fraternità e della preghiera", "riconoscano e promuovano la missione dei fedeli laici".

sabato 22 marzo 2014

Si è fatto povero… [6]


Continuo la mia riflessione sul messaggio di papa Francesco per questa Quaresima: «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cf 2Cor 8,9).

Alla povertà materiale, frutto di una ingiusta distribuzione dei beni, che non sa condividere chiudendo il cuore ai fratelli e intristendo il nostro, si accompagna la "miseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato". Ogni peccato, si sa, è frutto di un ripiegamento idolatrico su se stessi, nella ricerca del proprio tornaconto, del proprio piacere, nella soddisfazione egoistica e sregolata dei propri desideri. "Quante famiglie sono nell'angoscia perché qualcuno dei membri è soggiogato dall'alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia!". "Quante persone hanno smarrito il senso della vita, sono prive di prospettive sul futuro e hanno perso la speranza!".
Guardare a queste povertà con la coscienza che spesso le persone "sono costrette a questa miseria da condizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che priva della dignità…".
Quante famiglie hanno figli che non trovano lavoro o che i loro stessi componenti lo hanno perso?
Portiamo sulla nostra pelle queste situazioni, dolorose e insidiose. Il cuore spesso sanguina per queste ferite e fa fatica a mantenere la serenità!
Quanto è importante avere accanto qualcuno che ti possa sostenere, un antidoto all'inerzia spirituale, e ti aiuti a camminare con le tue gambe.
Posso dare fiducia e speranza solo se questa fiducia e speranza sono nel mio cuore quale balsamo che dà calore e colore alla mia diaconia.




venerdì 21 marzo 2014

Il dono di Dio, acqua viva che zampilla per la Vita


3a domenica di Quaresima (A)

Appunti per l'omelia

Il cammino quaresimale, che abbiamo intrapreso, è caratterizzato dalla lotta vittoriosa contro la tentazione e il peccato, dalla "trasfigurazione" graduale della nostra esistenza, dal dono della "vita nuova" che si riceve nei Sacramenti pasquali, Battesimo-Riconciliazione-Eucaristia. In questa domenica la liturgia interpreta l'acqua viva e lo Spirito, di cui parla Gesù nel Vangelo (cf Gv 4,5-42), in riferimento al Battesimo. L'intento più profondo, però, dell'evangelista e della Chiesa è provocare l'interesse per Gesù, la scoperta della sua persona e l'adesione di fede in Lui.
Il brano da una parte presenta Gesù che progressivamente si rivela e dall'altra il lento itinerario alla fede di una donna samaritana.
Gesù, chiedendo dell'acqua alla donna («Dammi da bere»), la conduce passo passo a chiedere a lui: «Signore, dammi quest'acqua…».
L'uomo stanco e assetato, seduto presso il pozzo, è il nostro Dio che in Gesù si è identificato con tutti gli stanchi e assetati. Mentre domanda da bere per placare la sua sete, Gesù dichiara alla donna di avere qualcosa di infinitamente migliore da dare: «il dono di Dio», che poi è Lui stesso. Egli ha da offrire un'acqua più pura e dissetante. Ed il suo "dono" Gesù lo chiama «acqua viva», «sorgente che zampilla», che può estinguere la sete per sempre e dare la vita eterna. Un'«acqua viva» che è la rivelazione di Gesù, la sua parola, che, accolta e interiorizzata mediante lo Spirito Santo, trasforma l'intimo dell'uomo e lo rigenera, comunicandogli la vita divina.
Il miracolo dell'acqua, che Dio aveva fatto scaturire dalla roccia per il suo popolo assetato (cf Es 17,3-7), si realizza ora in modo pieno e imprevedibile: la "roccia" che dona l'acqua inesauribile per la sete di ogni uomo è Gesù.
«Signore, dammi quest'acqua». La donna non comprende ancora e riduce il dono di Dio a qualcosa di utilitaristico. Si risparmierà così la fatica di venire ad attingere. Si accontenta di poco, mentre ciò che Gesù offre è immenso.
Così, Gesù imprime un nuovo corso al colloquio e la donna, riconoscerlo come «profeta», gli sottopone il vecchio problema del luogo legittimo per adorare Dio. Ma Gesù, nella sua risposta, dichiara che d'ora in poi Dio non è più interessato al luogo dell'adorazione, ma al modo: non in un luogo, ma in un rapporto personale con Lui. Dio cerca adoratori che lo adorino come «Padre in Spirito e Verità». È il culto indirizzato al Padre da coloro che lo Spirito ha rigenerati e resi figli di Dio. È il culto di coloro che, animati dallo Spirito Santo, hanno accolto e vivono la Verità, che è la rivelazione su Dio Padre, offerta da Gesù e che si identifica con Lui stesso. Si tratta, appunto, di adorare il "Padre" in un culto, in una preghiera essenzialmente filiale rivolta a Dio. È il Dio rivelato da Gesù come Padre e riconosciuto come tale grazie allo Spirito Santo. È lo Spirito infatti a farci penetrare la rivelazione di Gesù ed a comunicarci l'esperienza filiale di Gesù stesso. Per noi è decisivo il giusto rapporto con Dio ed è Gesù che ce lo indica e ce lo dona. È questa, in definitiva, la "fonte che zampilla" e non si esaurisce, l'"acqua viva". Ed il tempio vero, il luogo cioè dove Dio si rende presente, e incontra gli uomini e si fa incontrare da loro, è Gesù stesso.
L'esperienza della Samaritana ci dice che nel cuore delle persone apparentemente più lontane o più disperate c'è un desiderio di salvezza, un germe di speranza.
Gesù ha fiducia in ogni persona e, amandola, la apre alla ricerca esplicita di Dio e all'incontro con Lui.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Egli ti avrebbe dato acqua viva (Gv 4,10)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi



giovedì 20 marzo 2014

Si è fatto povero… [5]


Continuo la mia riflessione sul messaggio di papa Francesco per questa Quaresima: «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cf 2Cor 8,9).

Di fronte alla miseria materiale dei nostri fratelli, il Signore ci invita ad "andare incontro ai bisogni e guardare queste piaghe che deturpano il volto dell'umanità": è il servizio che la Chiesa offre, con la "sua diakonia", perché "nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo".
Per fare questo con animo retto e sincero occorre estirpare dal cuore i nostri "idoli", piccoli o grandi che siano, che sono "il potere, il lusso e il denaro", che soppiantano l' "esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze".
C'è tutto un lavoro da fare, un serio lavoro, affinché "le coscienze si convertano alla giustizia, alla sobrietà e alla condivisione".
Il nostro servizio da offrire esige che il nostro cuore sia "puro" e poter così prendere coscienza veramente di servire il Signore Gesù nei nostri fratelli.
Le nostre comunità parrocchiali, le comunità dei discepoli di Gesù, sono chiamate ad essere il luogo ed il segno di questo incontro concreto della nostra povera umanità con il Signore che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà.


mercoledì 19 marzo 2014

Giuseppe, "custode" del mistero del Figlio


Oggi, 19 marzo, san Giuseppe. Mi sono preparato a questa giornata, meditando sul commento che Enzo Bianchi ha fatto per questa solennità.
Giuseppe, «figlio di David», «uomo giusto».
«La giustizia di Giuseppe - scrive Enzo Bianchi - è quella dell'uomo dalla fede obbediente, disposto cioè a compiere la volontà di Dio anche quando essa sembra paradossale, enigmatica: come definire altrimenti la condizione in cui egli si trova quando, prima di andare a vivere insieme alla sua promessa sposa, scopre che essa è già incinta? Ma anche in questo frangente Giuseppe rimane saldo nella fede, capace di leggere la storia alla luce della parola di Dio, fino a che l'enigma si trasforma per lui in mistero: "Giuseppe, figlio di David, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito santo"…
Mai una parola sulla bocca di Giuseppe: egli mostra l'eloquenza della sua fede attraverso il silenzio, il silenzio della contemplazione del mistero, …"il silenzio stesso di Dio, riempito dalla forza dell'amore". […]
Giuseppe sa che Gesù è il Figlio di Dio, eppure assume la paternità di chi non è carnalmente suo figlio: egli è padre di Gesù secondo la Legge… L'educazione e la crescita umana di Gesù sono descritte nei vangeli con grande discrezione, una discrezione che va da noi rispettata e accolta nella fede. Nello stesso tempo però, se si vuole prendere sul serio la realtà dell'incarnazione, va riconosciuto che Gesù deve essere giunto alla personalità adulta di uomo e di credente anche grazie a Maria e Giuseppe. In particolare, per quanto riguarda quest'ultimo, Gesù è passato progressivamente dal chiamare "padre" Giuseppe al chiamare Dio "Abbà", "Papà caro, Papà amato". Di più, da Giuseppe padre umano a Dio suo Padre Gesù è passato anche grazie all'amore vissuto nella sua umanissima relazione filiale. Sì, Gesù ha avuto un padre non prima, ma dopo la nascita, un padre di cui ha avuto bisogno come tutti i bambini, un padre che gli ha insegnato l'obbedienza a Dio e la forza dell'amore.
Verrà però il giorno in cui Giuseppe si sentirà dire da Gesù dodicenne, perso per tre giorni e poi ritrovato nel tempio intento a dialogare con i maestri di Israele: "Non sapevate che io devo stare presso il Padre mio?". Parole ancora una volta enigmatiche; parole che Giuseppe e Maria non comprendono fino in fondo. Ma anche in questo caso Giuseppe fa obbedienza e riporta Gesù a Nazaret, dove egli sarà sottomesso ai suoi genitori e crescerà in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini, fino al giorno in cui deciderà di lasciare la casa per iniziare una vita comune itinerante con alcuni discepoli.
Dall'ora di questo ritorno a Nazaret, Giuseppe "scompare" e di lui non sappiamo più nulla: non sappiamo né come né quando sia morto, ma l'unica morte che conta è quella che Giuseppe ha fatto a se stesso, accogliendo con piena obbedienza la parola del Signore, accogliendo Maria incinta, accogliendo Gesù, il Figlio che solo Dio ci poteva dare. Quel Figlio che resterà per sempre, nella storia degli uomini, anche "il figlio di Giuseppe"».

San Giuseppe, rendici capaci di custodire, nella nostra diaconia, la fiamma della presenza di Gesù nella comunità che siamo chiamati a servire.

martedì 18 marzo 2014

Si è fatto povero… [4]


Dal messaggio di papa Francesco per questa Quaresima: «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cf 2Cor 8,9).

Come cristiani, come seguaci di Gesù, sul suo esempio "siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle". La carità di Cristo che mi ha chiamato a seguirlo nei miei fratelli (che sono suoi fratelli nei quali Lui stesso si identifica) mi spinge ad uscire da me, a farmi carico delle miserie delle persone che mi sono accanto, che Dio mette sulla mia strada, che mi sono affidate.
Fare, allora, un serio esame di coscienza e rettificare ogni mia intenzione.
Amarle con la stessa carità di Gesù, vivere la mia diaconia con gli stessi sentimenti di Cristo.
Guardare alla miseria - "che non coincide con la povertà", perché "la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza" – è guardare a questi miei fratelli e a queste mie sorelle come li guarda Gesù, senza giudizio preconcetto, ma con sincerità di cuore.
Guardare alle miserie dei fratelli è saper guardare alle situazioni concrete in cui essi si trovano, a saper distinguere le varie "miserie", quella "materiale", quella "morale" e quella "spirituale".
Sapendo cogliere la reale condizione di chi soffre, posso più efficacemente essere di aiuto e tendere una che non venga rifiutata.


lunedì 17 marzo 2014

Si è fatto povero… [3]


Riprendo la mia riflessione sul messaggio di papa Francesco per questa Quaresima: «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cf 2Cor 8,9).

Gesù ci dà l'esempio, perché anche noi ci possiamo accostarci ai nostri fratelli con gli stessi suoi sentimenti, nella sua lunghezza d'onda.
Volenti o nolenti, siamo molto spesso tentati di guardare a Gesù come a colui che abbiamo, nel nostro cuore, deciso di seguire, ma "potremmo pensare che questa via della povertà sia stata quella di Gesù, mentre noi, che veniamo dopo di Lui, possiamo salvare il mondo con adeguati mezzi umani. Non è così". Terribile tentazione, sempre in agguato, che ha fatto (ed è sotto i nostri occhi) perdere di vista la genuinità della sequela di Cristo. "Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella Chiesa, che è un popolo di poveri".
Quante volte (anche nella nostra azione pastorale) abbiamo creduto più alle nostre capacità umane e non ci siamo fidati di Dio. Mi risuona ancora negli orecchi (e sono passati quasi 50 anni!) una frase che ascoltai da un alto prelato della Chiesa, caduto in un dissesto finanziario: Homo sine pecunia imago mortis! (l'uomo senza il denaro è immagine della morte).
Ma rimane la verità: "la ricchezza di Dio non si può possedere attraverso la nostra ricchezza, ma sempre e soltanto attraverso la nostra povertà, personale e comunitaria, animata dallo Spirito di Cristo".




venerdì 14 marzo 2014

La Parola che ci trasfigura


2a domenica di Quaresima (A)

Appunti per l'omelia

I passi della conversione quaresimale che siamo invitati a percorrere in questo periodo speciale sono i passi della fede. Una fede che ha bisogno di essere continuamente rafforzata. Sull'esempio di Abramo (cf Gen 12,1-4), anche noi siamo chiamati ad abbandonare la nostra terra e fidarci della parola di Dio: «Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore».
Il racconto della Trasfigurazione, che il vangelo di questa seconda domenica di Quaresima ci propone (cf Mt 17,1-9), è l'evento della manifestazione della gloria del Signore, la gloria segreta di Gesù. I discepoli rimangono estasiati da tanta luminosa bellezza, anticipazione della luce del Signore risorto.
In questo cammino quaresimale, siamo impegnati a seguire il Maestro con fedeltà, anche se sofferta, sull'invito dell'apostolo Paolo a «soffrire con lui per il Vangelo» (cf 2Tm 1,8-10), perché il nostro cammino quotidiano è quello sorretto da una fede che procede spesso nella fedeltà di una vita ordinaria, in compagnia di Gesù che ci incanta con il suo fascino. È il Figlio che il Padre ci invita ad ascoltare, ad accogliere cioè la sua parola, a fare quello che ci dice, anche nella sofferenza.
È la Parola di Gesù, accolta e vissuta, fatta nostra, che ci trasforma e ci trasfigura. È l'esperienza che facciamo del Signore risorto che trasfigura e dà senso alla nostra vita. Non di rado, infatti, possiamo incontrare fratelli che, bloccati dalla malattia, ci accolgono con il sorriso e accettano con serenità la loro sofferenza. O quando incontriamo giovani e ragazzi che sanno andare controcorrente e si mantengono puri in un ambiente inquinato e inquinante; o quando persone di ogni età sono capaci di perdonare; o persone che hanno deciso di giocare la loro vita su Dio soltanto, non lasciandosi ingannare dagli idoli del denaro, del successo, del potere, del sesso…
È la testimonianza di una "trasfigurazione" in atto! È il frutto della Parola che non ritorna a Dio senza aver prodotto gli effetti per cui è stata mandata.
È l'invito a "trasfigurare" ogni nostro gesto, a trasformarlo in un gesto di attenzione agli altri, in un capolavoro d'amore.
È il rapporto con la Parola di Gesù che, come preghiera, ci "trasfigura" interiormente, rendendoci sempre più simili a Lui.
È l'invito di Gesù a custodire nel cuore, lungo tutta la giornata, anche una sola delle sue parole, magari propostaci nella celebrazione domenicale. Queste Parola custodite nel nostro cuore "trasfigurano" a poco a poco il nostro modo di pensare e di agire e rendono il nostro volto più luminoso: una trasparenza del volto di Gesù.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Signore, è bello per noi essere qui! (Mt 17,4)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi

mercoledì 12 marzo 2014

Si è fatto povero… [2]


Riprendo, in questo cammino quaresimale, il messaggio di papa Francesco: «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cf 2Cor 8,9).

"Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa", ma perché "diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà".
Non la povertà per se stessa, ma la povertà come espressione dell'amore, di quella carità che ci fa incontrare, che è unità.
È la "sintesi della logica di Dio, la logica dell'amore".
Questo nulla d'amore di Dio in Gesù è il dono della nostra salvezza; un dono "non fatto cadere su di noi dall'alto, come l'elemosina di chi dà parte del proprio superfluo con pietismo filantropico".
Non è un dono distaccato, ma è l'accoglienza nel cuore di Dio della nostra umanità. Non un dono del superfluo di Dio, ma il dono totale di Dio. Dio non può dare che tutto; da Dio, appunto! Esempio e termine di riferimento per ogni discepolo di Gesù. Egli "scese nelle acque del Giordano", nelle nostre acque, nella nostra situazione da dove venir purificati; non per essere lui stesso purificato, ma per purificare noi con la sua discesa nella nostra condizione umana, bisognosa di riscatto e di salvezza.
È la via che Dio, in Gesù, "ha scelto per consolarci", "per mettersi in mezzo alla gente", per "caricarsi del peso dei nostri peccati".

lunedì 10 marzo 2014

Si è fatto povero… [1]


Sto meditando, in questa Quaresima, il messaggio che papa Francesco ci ha offerto per questo speciale periodo. Vorrei che potesse veramente "servire al cammino personale e comunitario di conversione". Un cammino che illumini il mio farmi prossimo, nella diaconia a cui sono chiamato al seguito del Maestro.
Fa da sfondo per questo messaggio, lo sappiamo, l'espressione di san Paolo: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9).
Si è fatto povero, per arricchirci…
È lo "stile di Dio", scrive il papa: rivelarsi nella "debolezza" e nella "povertà", "non con i mezzi della potenza o della ricchezza del mondo".
Lo stile di Dio: "farsi povero", farsi "vicino ad ognuno di noi"; "si è spogliato, svuotato, per rendersi in tutto simile a noi".
Solo l'amore è capace di svuotarsi, farsi nulla per accogliere l'altro. È dell'amore uscire da sé, donarsi totalmente, perché l'altro, accolto nel nostro essere nulla, ritrovi se stesso. È un ritrovarsi nel cuore di Dio.
Così deve essere la nostra carità; così, il mio essere per gli altri, così può diventare feconda la mia diaconia.
"Il Figlio di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero…", per il suo immenso "desiderio di prossimità", per "condividere in tutto la sorte dell'amato". Questa è la carità, l'amore che Dio ha per noi. È un amore che "rende simili", che "crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze". È entrare nel cuore di Dio!

venerdì 7 marzo 2014

Il riscatto dalla nostra fragilità


1a domenica di Quaresima (A)

Appunti per l'omelia

Il tempo di Quaresima, che nel suo duplice carattere battesimale e penitenziale è tutto proteso e polarizzato verso la Pasqua, ripropone al popolo cristiano un cammino impegnativo di conversione. Siamo chiamati a ritornare al Signore, concentrando la nostra attenzione su di Lui e scoprendo che Egli ci attende e ci guarda con infinita misericordia. Ma lo sguardo di Dio su di me desidera incontrare il mio sguardo su di Lui. Se Dio mi guarda, io non posso guardare altrove! È questa, precisamente, la tentazione che subiamo di continuo: voltare le spalle a Lui per lasciarci catturare da ciò che non è Dio e non può assicurarci felicità e salvezza.
È la tragica esperienza, fatta dall'umanità alle sue origini, che si prolunga nel corso della storia e nell'esistenza quotidiana degli uomini, secondo il racconto della Genesi proposto nella prima lettura (cf Gen 2,7-9; 3,1-7).
L'autore sacro, narrando col linguaggio delle immagini il peccato delle origini, descrive in definitiva la dinamica di ogni tentazione e la sostanza di ogni peccato che gli uomini compiono e moltiplicano nella storia. La conseguenza è un disastro senza proporzioni: «conobbero di essere nudi», spogliati di ogni dono di Dio, privati del rapporto di amicizia e di comunione con Lui, unica vera fonte di vita e di felicità.
Al racconto della Genesi si riferisce San Paolo nel brano della lettera ai Romani (cf Rm 5,12-19), che mette in contrasto parallelo sia il comportamento di Adamo e quello di Cristo, sia i risultati tanto diversi del loro operato. La ribellione e la disobbedienza del primo hanno causato la separazione da Dio e la morte di tutti gli uomini, provocando il moltiplicarsi dei peccati. L'obbedienza perfetta di Cristo, invece, ha ottenuto a tutti la pienezza della grazia e della vita. L'opera di Cristo, la nostra redenzione, non ha semplicemente "riparato" il danno prodotto da Adamo, ma ha scatenato la comunicazione "sovrabbondante" e senza misura dell'amore e della vita di Dio. Nella presentazione dell'Apostolo, il peccato con le sue tragiche conseguenze diventa come lo sfondo su cui risaltano con maggiore evidenza la vittoria di Cristo e il trionfo dell'amore gratuito di Dio. Consapevoli di un dono così grande, riceviamo anche la forza per percorrere l'itinerario quaresimale di conversione, imitando l'obbedienza di Cristo, che lo ha portato ad accettare la passione e la morte. Obbedienza a Dio di cui ha dato prova concreta nella lotta contro la tentazione.
Il brano evangelico, come ogni prima domenica di Quaresima, riporta l'episodio delle tentazioni di Gesù. Il Figlio di Dio, tentato proprio sul suo rapporto personale col Padre, non soccombe, ma ne esce vittorioso, indicando anche a noi la strada da percorrere, prendendo su di sé tutto il nostro peccato e debellandolo. Scrive sant'Agostino: «Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la vita… da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria. Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore».
Il nostro cammino quaresimale diventa così una occasione unica per rimettere Dio al primo posto nella nostra vita sulle orme di Gesù e sperimentare che la nostra fragilità e il nostro peccato possono diventare esperienza viva della misericordia di Dio.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non di solo pane vivrà l'uomo (Mt 4,4)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 5 marzo 2014

Abbiamo bisogno di Dio


«Ecco ora il momento favorevole!» (2Cor 6,2). All'inizio di questa Quaresima, l'invito che Paolo ha rivolto ai Corinzi è anche l'invito rivolto al nostro cuore: «Oggi è il giorno della salvezza!», non rimandare a domani…
Prendo per me queste parole, non di circostanza, perché sento l'urgenza di non lasciare che il tempo mi sfugga invano, col rischio di sperperare la grazia che mi viene offerta.
Papa Francesco, oggi ci invita a cambiare vita, ad amare il prossimo con gratuità, senza abituarci «alle situazioni di degrado e di miseria» che incontriamo quotidianamente nelle nostra vita, nei nostri ambienti.
«Da qui parte la nostra conversione - dice Francesco -: essa è la risposta riconoscente al mistero stupendo dell'amore di Dio. Quando noi vediamo questo amore che Dio ha per noi, sentiamo la voglia di avvicinarci a Lui: questa è la conversione».
«C'è il rischio di accettare passivamente certi comportamenti e di non stupirci di fronte alle tristi realtà che ci circondano. Ci abituiamo alla violenza, come se fosse una notizia quotidiana scontata; ci abituiamo a fratelli e sorelle che dormono per strada, che non hanno un tetto per ripararsi. Ci abituiamo ai profughi in cerca di libertà e dignità, che non vengono accolti come si dovrebbe». «Ci abituiamo a vivere in una società che pretende di fare a meno di Dio».
«La Quaresima giunge a noi come tempo provvidenziale per cambiare rotta, per recuperare la capacità di reagire di fronte alla realtà del male che sempre ci sfida».