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venerdì 14 novembre 2014

Entrare nella gioia del Signore


33a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Nell'attesa dell'ultima venuta del loro Signore, i discepoli devono "non dormire, ma vigilare" (cf 1Ts 5,1-6). Una vigilanza operosa, come quella della "donna forte" di cui parla il libro dei Proverbi (cf Pro 31,10-31).
Questa vigilanza operosa è espressa dalla parabola evangelica (cf Mt 25,14-30), dove il padrone, che parte per un lungo viaggio e poi ritorna, rappresenta Gesù che alla fine verrà come giudice a cui rendere conto di noi stessi e del nostro operato. Il padrone, in procinto di partire, affida personalmente ai servi una somma notevole, in base alle rispettive capacità, riponendo in loro una grande fiducia. La risposta dei servi non è uguale. I primi due, durante l'assenza del padrone, trafficano il capitale ricevuto in consegna e lo raddoppiano. Sanno di non esserne i proprietari, ma gli amministratori, e svolgono questo compito con fedeltà e intraprendenza. Invece il terzo servo si preoccupa esclusivamente di custodire il deposito per restituirlo integro.
Tutto il racconto converge nella scena finale, in cui il padrone, ritornato, regola i conti con i servi. Nettissimo il contrasto fra i primi due e il terzo. Nelle parole, che quest'ultimo rivolge al padrone, si coglie la ragione profonda del suo comportamento: «So che sei un uomo duro… Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra». Non ha voluto correre rischi per paura del padrone, che considera troppo esigente e al quale contesta il diritto di reclamare più di quanto gli ha consegnato. Restituendogli il talento ricevuto, si sente sdebitato e a posto con lui.
Gesù ha di mira, senz'altro, i farisei che osservano meticolosamente la Legge e si sentono in regola con Dio, convinti di rendergli ciò che gli è dovuto. Ma non accolgono la sua volontà che si manifesta in Gesù. Non hanno capito che, in quanto servi del Signore, dipendono da Lui e devono servirlo, compiendo ciò che chiede, anche se tale richiesta è imprevista e non piacevole. Nessun alibi possono portare per giustificare il loro disimpegno. Il loro rapporto religioso con Dio è come ridotto a una semplice relazione commerciale di prestazione e di servizio, in un clima di diffidenza e di paura.
Alla negligenza di questo servo, che il padrone qualifica come «malvagio e pigro», si contrappone lo zelo attivo dei primi due. Essi, superando ogni forma di paura, si sono lasciati coinvolgere nel rapporto di fiducia amicale che il padrone offriva. Hanno capito che li stimava e contava su di loro, si fidava di loro. Ed essi si sono fidati di lui. Per questo, hanno rischiato… con creatività. Hanno "osato" nella libertà che è data dall'amore. E così non hanno deluso il padrone, che, contento e fiero di loro, ha elogiato ciascuno come «servo buono e fedele».
Con questa parabola Gesù voleva provocare il suo uditorio - e noi oggi - a riflettere per decidere.
I servi siamo noi. I talenti, che ci sono stati affidati, simboleggiano soprattutto il dono del Vangelo, il tesoro della Parola di Dio e quindi l'essere cristiani, l'appartenenza a Cristo nella Chiesa a partire dal Battesimo, il dinamismo delle virtù teologali della fede, della carità e della speranza. Il talento per eccellenza è Lui, Gesù, vivo e operante in molti modi e forme nella Chiesa. Tutti questi beni sono un capitale enorme e favoloso, che Dio ci affida con immenso amore e fiducia.
Coloro a cui è stato affidato il Vangelo non hanno il diritto di lasciarlo improduttivo. Questo capitale deve essere impiegato. In altre parole dobbiamo lasciare che la nostra intera esistenza venga trasformata dal Vangelo.
Il "servo malvagio" e disimpegnato, quindi "inutile", è "gettato fuori nelle tenebre", destinato alla rovina e disperazione eterna. Invece i servi operosi sono premiati al di là di ogni attesa. Il padrone affida loro compiti più grandi e più prestigiosi. E, ciò che vale immensamente di più, li invita: «prendi parte alla gioia del tuo padrone», "entra" nella gioia del tuo signore. È un "entrare" che ci rimanda ad altre "entrate" evangeliche, come "entrare nel regno dei Cieli" (cf Mt 5,20; 7,21, 18,3), "entrare nella vita" (cf Mt 18,8ss; 19,16). Ora, in maniera eguale, si parla di "entrare nella gioia". Non una gioia qualunque, ma la "gioia del Signore". Si tratta di condividere la gioia stessa di Dio, quasi immergendosi in questa gioia e nuotandovi dentro.
Il Regno è pienezza di vita e felicità senza fine!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Consegnò loro i suoi beni (Mt 25,14)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi

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