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lunedì 10 febbraio 2014

Perché e per chi lo facciamo?


Nella parrocchia dove presto il mio servizio diaconale, il parroco ha consegnato a tutti i fedeli una sua lettera pastorale nella quale vuole fare partecipi tutti di una realtà che gli sta particolarmente a cuore, un invito a «fermarsi a riflettere su un aspetto - così inizia la lettera - che da tempo mi interroga anche perché suggerito dal confronto con tanti di voi»: il senso del nostro servizio.
Vorrei riportare alcuni passi significativi della lettera che esprime il senso genuino del nostro vivere in seno alla comunità cristiana e del nostro servizio, soprattutto verso chi è nel bisogno, stretto dalla precarietà.
«Sempre più spesso mi domando: "Per chi lo facciamo? Per loro o per noi?". Questa è una domanda che ci dovremmo sempre fare quando operiamo qualunque tipo di servizio alle persone. Perché e per chi lo faccio? E la prima risposta, catechisticamente corretta, che viene da dare è: "per il Signore!". Ma proviamo ad andare oltre, un po' più a fondo, proprio per ridare vigore e verità a questa già giusta risposta. Lo facciamo per i bambini e gli anziani della nostra parrocchia, due facce di una medaglia che ha come nome "piccoli". Lo facciamo per i tanti che bussano alle porte del Centro di ascolto Caritas e che sono i nostri "poveri". È tutto vero! Ma io sono sempre più persuaso che, in primis, questo tipo di attività serva a ciascuno di noi perché abbiamo bisogno di tradurre in pratica tanti concetti e parole che altrimenti rimarrebbero distanti dalla realtà.
Lo facciamo ''più per noi che per loro" quando abbiamo bisogno di ritrovarci tutti insieme a vivere un'avventura comune, una realtà condivisa da tutte le fasce d'età e dai vari gruppi di provenienza. E poi sappiamo che il servizio ha la sua ricompensa nel servizio stesso, nel ritorno di un sorriso di chi è solo e trova un po' di calore in una serata passata in compagnia o di chi ci offre un "grazie" per un dono inatteso...
Tuttavia, come famiglia parrocchiale, siamo chiamati a crescere nella custodia del fratello e questo possiamo farlo solo compiendo lo sforzo di "abbassarci" verso lui esattamente come fa Dio con ciascuno di noi. Dio ha scelto di farsi uomo, piccolo, per farsi nostro prossimo... E così noi diventiamo "grandi", nella vita, quando siamo capaci di "farci piccoli" per gli altri chinandoci verso loro. Penso sia importante quindi in tutte queste circostanze (e non solo in queste!) privilegiare all'efficientismo l'ascolto e la chiacchierata, la carezza e la domanda, provare ad entrare davvero in relazione con gli altri perché questo è il servizio più prezioso che possiamo fare. L'esperienza di tanti nostri amici del Centro di ascolto Caritas ce lo insegna chiaramente. L'ascolto dell'altro ci rinvigorisce e fa bene perché ascoltando l'altro impariamo a conoscere (anche) noi stessi e le nostre capacità. Impariamo a confrontarci con le nostre abilità e i nostri limiti. Impariamo a misurarci con il vero senso del dono di sé, provando a svuotarci di noi stessi per lasciare spazio all'altro. A volte è difficile ma è una sfida che vale la pena affrontare. Per accogliere veramente l'altro dobbiamo essere disposti a mettere da parte qualcosa di noi (fosse anche il nostro pregiudizio!), diversamente non ci sarà mai uno spazio adeguato in noi per gli altri.
Ed anche questo richiede impegno... Per riuscire ad ascoltare l'altro dobbiamo imparare a tacere. Per favorire l'incontro dobbiamo imparare ad accettare l'altro esattamente così com'è e non come lo vorremmo noi. […]
Ogni forma di servizio (in parrocchia e fuori!) per noi cristiani diventa scintilla di Dio e scopriamo che - cito papa Francesco - "Ogni essere umano è oggetto dell'infinita tenerezza del Signore, ed Egli stesso abita nella sua vita. […] Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio". (Evangelii Gaudium, 274).
Possiamo allora davvero fare Eucarestia e "dare noi stessi da mangiare" perché per primi siamo stati sfamati dal Signore e così, con la sua Grazia, possiamo diventare pane per gli altri. […]».

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