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venerdì 30 agosto 2013

Umiltà e Gratuità


22a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

Gesù prende occasione da un banchetto, a cui partecipa, per suggerire due norme di condotta: l'umiltà e la gratuità.
Nella ricerca dei primi posti a tavola da parte dei commensali Gesù coglie e smaschera una tendenza radicata nel cuore degli uomini: stare il più avanti e il più in alto possibile ed essere superiore agli altri. È la sete di protagonismo che fa amare il primo posto. Gesù non intende dare una semplice regola di comportamento sociale e, nel caso specifico, di "galateo conviviale". Riprendendo l'invito sapienziale del Siracide (3,17-29, di alla prima lettura) alla modestia e umiltà, nella luce della novità evangelica, fa un'affermazione solenne: «Chiunque si esalta sarà umiliato (da Dio) e chi si umilia sarà esaltato (da Dio)».
È meglio lasciare al padrone di casa la distribuzione dei posti, lasciare cioè che sia Dio ad assegnare il posto deciso da Lui. Gesù ci mette in guardia da ogni forma di superbia che porta a considerare noi stessi più giusti e migliori degli altri. E propone uno stile di vita: la regola dell'umiltà, per cui veramente ricercare l'ultimo posto.
Gesù ha proclamato beati i "poveri in spirito", cioè gli umili. La prima tra essi è Maria: "Il Signore ha guardato l'umiltà della sua serva". Maria non ha nulla, ha ricevuto tutto, ha dato tutto.
L'umiltà è una dimensione intrinseca della carità. L'amore vero è umile. Chi segue Gesù, "mite e umile di cuore", trova logico mettersi all'ultimo posto. Gesù, poiché ama, si mette in ginocchio a lavare i piedi dei discepoli: l'amore si fa servizio all'ultimo posto e non perde occasione per servire.

Un'altra regola di comportamento che Gesù ci dà è la gratuità, indicando così un'altra dimensione della carità. È usanza diffusa quella di stabilire relazioni con persone del proprio livello, per esempio tra benestanti. Con loro c'è comunione e scambio, che si esprimono negli inviti reciproci a pranzo. Tra parenti e amici vige la legge della reciprocità fondata sui vincoli del sangue e della relazione affettiva. C'è anche la speranza del contraccambio. Da questa cerchia vengono esclusi i poveri e gli svantaggiati. Secondo la logica umana, la relazione con loro non porta nessun guadagno sul piano economico e sociale. Così, se ciò che motiva l'invito è la reciprocità fondata in definitiva sul calcolo e la ricompensa, viene meno quel carattere che rende simili a Dio: la gratuità.
Gesù non sconsiglia certamente i pranzi e le cene tra parenti e amici. Lui stesso mangiava abitualmente coi discepoli. Ma non approva l'esclusione sistematica di quanti sono indigenti ed emarginati. Introduce nella relazione tra le persone una novità inattesa: l'amore che non calcola e non si lascia soffocare dalla mentalità commercialistica ("do ut des"), ma l'amore che dà gratis e toglie la disuguaglianza e la discriminazione tra le persone.

Gesù non vuole proporre un'altra regola conviviale, estrosa e paradossale, ma una regola di vita che valga per tutti i rapporti umani, in cui siano privilegiati coloro che normalmente gli uomini mettono al margine, al bando. Dopo avere elencato i quattro gruppi ("amici, fratelli, parenti, ricchi"), che nella vita sociale si scambiano inviti a pranzo, menziona altri quattro gruppi, che potrebbero essere invitati, ma non sono in grado di invitare a loro volta: "poveri, storpi, zoppi, ciechi". Gli ultimi tre erano esclusi dal culto del tempio e quindi dalla comunità di Dio. Non a caso proprio con loro Gesù si trovava spesso in comunione di mensa. In fondo propone di imitare Lui che solidarizzava con gli emarginati mangiando con loro. Gesù ci invita a scegli la gratuità al posto del calcolo opportunistico; a cercare la compagnia conviviale della gente semplice che non conta, senza lasciarci influenzare nelle scelte dalla logica del potere.
In una società così gravemente malata di egoismo e di indifferenza Gesù rilancia la terapia dell'amore che serve all'ultimo posto, che dà gratuitamente, che offre un'attenzione preferenziale a chi non è amato o è meno amato.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi si umilia sarà esaltato (Lc 13,24)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 28 agosto 2013

Di ritorno dal Convegno di Napoli [2]


Dopo l'esperienza coinvolgente del Convegno dei diaconi, che si è svolto nei giorni scorsi a Napoli (21-24 agosto), ho chiesto a Chiara, mia moglie, di scrivere cosa sono stati per lei quei giorni.


Di ritorno da Napoli non può non starci a tutto tondo un grosso GRAZIE a Dio per avermi dato la possibilità ancora una volta di partecipare al convegno.
Attanagliata dal solito mal di testa pensavo di vanificare tutto l'incontro, ma so per esperienza che per le cose belle che Dio vuole donarmi mi chiede sempre un piccolo contributo.
È stato un convegno faticoso per i ritmi, ma carico di perle preziose versateci a piene mani.
La figura del diacono - oggi, all'apparenza dormiente – è risaltata come: colui che disturba i sogni degli addormentati, colui che arriva prima sulle strade del mondo che cerca, e una volta arrivato deve ascoltare, aiutare a comprendere per poi "spezzare" la Parola con l'altro, attraverso la fraternità, la vita della Chiesa. Chi apre le strade è sempre Gesù.

E nel cogliere questo "essere" del proprio marito, la moglie si sente elevare (o dovrebbe) interiormente per una vita così piena, vissuta. Sentivo di dover aumentare il respiro allo stesso ossigeno, senza il quale, l'uno potrebbe rendere sterile il suo ministero e l'altra non riuscire a cogliere nell'essenza il dono ricevuto; pena uno scomparire nelle innumerevoli attività di ciascuno dei due.
Mi è dispiaciuto sentire – durante il dialogo tra le mogli – che c'è ancora differenza tra le diocesi per quanto riguarda la partecipazione delle mogli nel cammino formativo al diaconato. Credo che molto incida, nella crescita individuale, l'aver fatto esperienza di fraternità diaconale all'interno della propria diocesi con la possibilità di scambio di esperienze e di aiuti reciproci. È un crescere assieme, un rafforzarsi nella fede e nel servizio. La ricchezza ricevuta nella propria comunità messa in comunione con quella delle altre potrebbe rendere il nostro ritrovarci un momento per nuovi proficui input sull'effettivo essere moglie di un diacono.
A proposito di ciò, al termine del convegno si è toccato il tasto dell'eventualità, in caso di vedovanza del marito, di diventare sacerdote. Quello che vorrei ribadire è la domanda provocatoria che è anche stata posta: "Se, invece, a rimanere vedova è la moglie?".
Mi è capitato di notare che spesso con la morte del marito la moglie scompare dalla vita di fraternità diaconale, pur rimanendo impegnata all'interno della comunità parrocchiale o al proprio Movimento di appartenenza. E allora mi chiedo che cosa significhi l'essere moglie di un diacono. L'interrogativo rimane aperto, oppure la comprensione della chiamata ad un legame così particolare con il ministero ordinato si perde con la morte del marito?

Con la loro carica emotiva due "Senior DOC" (p. Sorge e p. Zanotelli) sono riusciti a dar "picche" per la loro vivacità, entusiasmo, grinta, fedeltà e tenacia alla vita evangelica ai partecipanti più giovani e hanno sortito l'effetto di rinsaldare in me la coscienza di ciò che sono: moglie di un diacono.
La frase di papa Francesco, "Non fatevi rubare la speranza", mi riecheggiava negli orecchi e mi riconfermava nel "sì" ad andare avanti sulla strada che il Signore ha stabilito per Luigi e per me.

(nella foto: Chiara [a sinistra] con Montserrat Martínez Deschamps [a destra], di Barcellona, delegata delle mogli dei diaconi presso la Comunità Internazionale del Diaconato [CID])


domenica 25 agosto 2013

Di ritorno dal Convegno di Napoli







Siamo rientrati, mia moglie ed io, dal Convegno che la Comunità del Diaconato in Italia organizza ogni due anni (quest'anno ospitato della diocesi di Napoli, dal 21 al 24 agosto).
È sempre una esperienza coinvolgente, fatta non soltanto di interventi di approfondimento e di studio, ma anche di preghiera (magistrali le Lectio di padre Bruno Secondin) e di comunione fra tutti.
Circa 150 i partecipanti dalle varie diocesi d'Italia: oltre ai diaconi, una quarantina di mogli ed una decina di delegati vescovili. La presenza e la visita di alcuni vescovi, tra cui l'arcivescovo di Napoli card. Sepe che ha concluso l'incontro, l'ausiliare mons. Lucio Lemmo, il vescovo di Campobasso mons. Bregantini che ha voluto accompagnare alcuni della sua diocesi, hanno dato al Convegno uno spessore ecclesiale particolare.

Il Convegno, dal titolo Il Diaconato a 50 anni dal Concilio Vaticano II, ha voluto essere un contributo ed una riflessione, nell'ambito dell'Anno della Fede, alla celebrazione dei 50 anni del Vaticano II.

Ecco alcuni momenti salienti:
 L'introduzione di don Giuseppe Bellia, direttore della rivista Il Diaconato in Italia, ha posto l'accento sull'educazione alla diaconia dell'ascolto, quale identità diaconale. La diaconia, infatti, non è relegata solamente alla carità, ma è indirizzata innanzitutto al ministero della Parola. Educare quindi all'ascolto è accogliere con urgenza ciò che Dio dice e propone: il Dio della fede di Israele è un Dio che "ascolta il grido dei poveri"… Ma Dio non si accontenta di essere ascoltato, ma vuole entrare profondamente in rapporto con noi… Di conseguenza, non ci si può illudere di ascoltare senza obbedire…
 La relazione della prof.ssa Rosanna Virgili, docente di esegesi biblica, dal titolo La fede scaturisce dall'ascolto: la diaconia del Servo di Jahvè. Trattazione coinvolgente dell'episodio dell'incontro del diacono Filippo, come è descritto negli Atti, con l'eunuco etiope e la spiegazione del testo di Isaia sul servo di Jahvè, con una puntuale analisi dello stile diaconale di Filippo.
 La relazione della prof.ssa Giuliana Martirani, docente di geografia politica ed economica, sul tema Nord Sud: reimparare ad andare alla scuola dei poveri. Nel presentare i vari punti sulla illegalità della povertà e nel rapportarsi alla Caritas in veritate, si coglieva l'urgenza di accogliere il dono del povero, di lasciarsi rievangelizzare dai poveri, di andare alla scuola dei poveri.
 Hanno fatto eco la relazione di don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, sul tema Annunciare ed educare alla diaconia di Cristo servendo i poveri: il ministero diaconale per una Chiesa serva e povera; le varie esperienza al riguardo della Caritas di Napoli e dell'associazione Binario della Solidarietà sempre di Napoli, e la forte testimonianza di p. Alex Zanotelli, nel rione Sanità di Napoli.
 La relazione della prof.ssa Cettina Militello, docente di Ecclesiologia e Liturgia, su La diaconia edifica la Chiesa: i diaconi al servizio del popolo di Dio e del mistero pasquale, approfondendo il tema della diaconia quale struttura permanete della Chiesa, della natura stessa della Chiesa. Non si dà, infatti, Popolo di Dio, Corpo di Cristo, senza la dimensione del "servizio".
 Il coinvolgente intervento di padre Bartolomeo Sorge, che ha sviluppato il tema di una Chiesa libera, povera e serva, attingendo ampiamente all'opera ed al pensiero di due testimoni qualificati, don Tonino Bello, di cui si celebra i 30 anni della morte e del card. Carlo Maria Martini, ad un anno dalla sua scomparsa; con puntuali riferimenti a Papa Francesco.




Interessanti, infine i vari gruppi di studio nei quali si è potuto approfondire quanto esposto nelle relazioni e, soprattutto, comunicarci esperienze personali e delle proprie diocesi. Di particolare importanza è stato lo spazio riservato alle mogli dei diaconi in un loro specifico incontro di scambio di esperienze e di una maggior presa di coscienza della propria identità accanto ai mariti diaconi; del valore profondo del loro "consenso", quale personale e cosciente partecipazione alla chiamata del marito, che diventa di conseguenza risposta alla chiamata personale di Dio rivolta a loro.

Molto interessante la visita alle Catacombe di San Gennaro.



















venerdì 23 agosto 2013

La porta per la felicità


21a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

Il brano di Isaia (66,18-21), proposto per questa domenica, contiene una splendida promessa del Signore: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria». E con i figli di Israele, che saranno ricondotti dalla "dispersione", insieme gli offriranno il culto. Come non pensare alla realtà della Chiesa, dove la grande varietà dei popoli e delle culture è chiamata ad adorare il Signore, formando un'unica armonia nell'unità di una sola famiglia?
È una utopia credere che chi riteniamo troppo lontano e diverso per mentalità o per credo religioso, possa unirsi con noi nel lodare il Signore, nel celebrare il suo "amore forte e fedele"? Ma tale amore motiva il disegno, che Dio ha concepito da sempre, di salvare tutti gli uomini. Nel Vangelo di oggi Gesù affronta questo tema.
«Signore, sono pochi quelli che si salvano?», …che sono salvati da Dio? In realtà, la salvezza è l'unico problema serio dell'uomo. Ogni religione si presenta come una via per raggiungerla. In modo particolare, i cristiani professano la fede in «Dio nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,3-4) e in «Gesù Cristo, salvatore nostro» (Tt 3,6).
La domanda, nel modo in cui viene posta a Gesù, tradisce una vana curiosità e la convinzione di fondo che soltanto i membri del popolo eletto o le persone "per bene" di Israele otterranno la salvezza. Falsa sicurezza e scarsa disponibilità all'impegno! Ma tali atteggiamenti possono annidarsi anche nell'animo di un cristiano, che in quanto battezzato, sa di essere amato con predilezione da Dio.
Ma Gesù, alla domanda ("quale sarà il numero dei salvati, alla fine dei tempi?") non risponde direttamente, perché, per Lui, ciò che conta non è sapere quanti si salvano, ma piuttosto qual è l'itinerario sicuro per giungere alla salvezza. Non dice se saranno pochi o molti quelli che si salvano, ma lancia un appello alla decisione, con un'immagine molto espressiva: salvarsi è possibile a tutti, ma non è facile. Bisogna lottare con tenacia.
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta». È una lotta dura, una "agonia", in cui sono impegnate fino allo spasimo tutte le fibre e le energie di una persona, per riportare vittoria. Luca come modello supremo di "lottatore" presenterà Gesù, che nell'Orto degli Ulivi (Lc 22,44) resiste all'attacco del diavolo, supera la tentazione di cadere nell'infedeltà a Dio e accetta la passione.

Gesù presenta la salvezza attraverso l'immagine, frequente nei profeti, del banchetto che raffigura la pienezza della vita, della festa, della gioia, della comunione con Dio e tra fratelli.
C'è una porta che introduce nella sala del banchetto. È aperta a tutti, ma è stretta, scomoda, difficile da attraversare: «Molti cercheranno di entravi, ma non ci riusciranno». Non basta avere il desiderio di giungere alla festa. Bisogna sforzarsi, lottare per passare attraverso la porta, liberandosi dall'illusione che l'ingresso spetti di diritto. Il tempo che ci è concesso per entrare non è illimitato e noi non possiamo disporne a nostro piacimento. Nel momento della nostra morte la porta sarà chiusa definitivamente e non sappiamo quando avverrà. Non è da saggi, allora, gestire la vita secondo i nostri capricci e rimandare magari alla vecchiaia l'impegno per la salvezza. Chi non è entrato in tempo, a causa della sua inerzia e indifferenza, resterà fuori per sempre. Allora sarà troppo tardi. Invano gli esclusi busseranno e rivendicheranno il diritto di essere ammessi: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze»; ti abbiamo conosciuto, abbiamo preso parte all'Eucaristia...
Non basta essere battezzati. Occorre adempiere gli impegni del proprio battesimo. Occorrono le azioni giuste. Occorre attuare la volontà del Signore sempre.
«Verranno da oriente e da occidente... sederanno a mensa…». Nel Regno di Dio, nella perfetta comunione con Dio, si realizza anche la piena comunione fra tutti gli uomini, in una pienezza di gioia e di festa. Un altro duro colpo alla falsa sicurezza degli Ebrei e anche dei Cristiani: Dio chiamerà i salvati da tutte le nazioni. L'unica condizione per ottenere la salvezza è la conversione.
Nel cammino verso la salvezza non ci sono privilegi o corsie preferenziali. La salvezza è un dono che si riceve con gratitudine e con un'accoglienza libera e responsabile. Ciò significa il coraggio di lottare, di impegnarsi al massimo per «entrare attraverso la porta stretta». Significa andare controcorrente, alleggerirsi di tutto ciò che ingombra.
Lo sforzo è la via verso la gioia. Il lasciarsi andare, l'adagiarsi senza sforzo è la via verso il fallimento e la disperazione.
Ogni atto di amore che compio è morire a se stessi, perché amare costa fatica. Ma, lo sappiamo bene, "Il cristianesimo non è facile, ma felice!" (Paolo VI).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Sforzatevi di entrare per la porta stretta (Lc 13,24)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 21 agosto 2013

La diaconia edifica la Chiesa [4]


Ecco un altro articolo, pubblicato nel numero 179 della rivista Il diaconato in Italia (tema monografico: La diaconia edifica la Chiesa), del card. Carlo Caffarra.
Titolo: Servitori della Parola.
È tratto dal discorso fatto ai diaconi di Bologna nel gennaio del 2005. Intervento molto interessante, ricco e denso di spunti sia per la vita personale che per una illuminata azione pastorale, guidata dalla Parola.



Tre punti:
Il mistero della volontà di Dio
     In ascolto della Parola
     Il gesto dei spezzare e condividere come viene compreso?
     Dove conduce una spiritualità che non è fondata sulla Bibbia?
     La Parola e le parole

Il servizio della Parola
     Canale di grazia
     Nella Chiesa opera il Risorto per mezzo dello Spirito
     Un luogo vivo di incontro

Tre modalità di servizio alla Parola
     Presenza, atto e nutrimento
     Per una teologia radicata nella Parola di Dio
     La rivelazione è nella Parola e nelle opere
     Unità di parola e sacramento
     Il servizio diaconale
     In Cristo gli uomini diventano capaci di comunione

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Le pubblicazioni sono riportate nel mio sito di testi e documenti.



domenica 18 agosto 2013

La diaconia edifica la Chiesa [3]


Segnalo altri articoli pubblicati nel numero 179 della rivista Il diaconato in Italia (tema monografico: La diaconia edifica la Chiesa).
Le pubblicazioni sono riportate nel mio sito di testi e documenti.







Nella rubrica Riflessioni:

Una diaconia al vaglio dei poveri
di Giovanni Chifari

Sottotitoli:
Cosa purifica la diaconia?
La piccola Chiesa prolunga la presenza di Cristo nella storia
La Parola conduce verso l'Eucaristia
Diaconi per la koinonia
Il legame tra la Parola e l'Eucarestia

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La diaconia a servizio della Chiesa
di Maria Concetta Bottino

«Vivere il servizio e a servizio del popolo di Dio, per entrare in pieno nella communitas, implica, innanzitutto, a mio avviso, la capacità di sentire la propria vita, la propria presenza tra gli altri, non già come una vita di relazione tra persone unite da un possesso, dalla proprietà dell'appartenersi, quanto, al contrario, da un "debito", cioè da un "di meno", inteso come ciò che devo agli altri. Esso pertanto comporta una precisa volontà di donare se stessi, offrire la propria presenza, a chi il Signore ci permette di incontrare nel cammino, fino a consegnare la propria vita. Già, con-segnare, dunque, si dispiega nel segnare con gli altri, il mio cammino che diviene nostro.
[…]».
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Nella sezione Confronti, un breve scritto di Carlo Carretto dal titolo La Chiesa.
"…In questo florilegio, liberamente tratto dai suoi scritti, ecco la splendida immagine della Chiesa sancta et meretrix".
Scritto di estrema attualità, che ci fa fare un serio esame di coscienza...

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venerdì 16 agosto 2013

Fuoco che tutto trasforma


20a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

Nel testo evangelico odierno (Lc 12,49-53) Gesù, come nel caso di Geremia di cui alla prima lettura (Ger 38,4-6.8-10), è consapevole che l'esercizio della sua missione è legato intimamente alla sofferenza; ma la sua decisione di rimanere fedele fino in fondo è ferma e incrollabile.
Gesù descrive così la sua missione: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra». Egli si considera il portatore del fuoco di Dio nel mondo. La sua venuta, la sua presenza può essere paragonata ad un fuoco che si espande rapidamente in un campo secco e dilaga sempre di più.
Ma che cos'è questo fuoco? Nell'AT simboleggia la parola di Dio pronunciata dai profeti e il giudizio di Dio che - come il fuoco - distrugge, divide i buoni dai cattivi, purifica. Soprattutto in Luca si tratta del fuoco dello Spirito Santo che Gesù risorto comunicherà. Lo Spirito, infatti, scenderà sui discepoli sotto forma di lingue di fuoco (cf At 2,3). In realtà il giudizio di Dio sul mondo è il dono del suo Spirito.
Questa missione di Gesù nei confronti dell'umanità, però, sarà resa pienamente possibile da un evento tragico che riguarda Lui stesso: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato…». Il verbo "battezzare" significa propriamente "immergere, sommergere nell'acqua". Gesù è consapevole che dovrà passare attraverso le onde della sofferenza e della morte. Scendere, non nel fango della cisterna come Geremia, ma sprofondare realmente nella morte, per poter poi risorgere. La sua morte non è la necessità imposta da un destino cieco e crudele, ma è il disegno del Padre, per la salvezza degli uomini, che Gesù accetta in una resa totale e incondizionata. Un'esperienza tutt'altro che indolore («…e come sono angosciato!...»). Questa morte d'amore sarà, però, seguita dalla risurrezione che scatenerà l'invasione dello Spirito e accenderà così il fuoco dell'amore. Si attuerà l'annuncio profetico del Battista: «Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16).
Gesù attribuisce all'intero suo agire, all'intera sua presenza e persona il carattere del fuoco. Un fuoco che scuote dalla neutralità e dall'indifferenza, che vuole superare ogni freddezza e distanza. Dove Lui arriva, non lascia le cose come stanno. Tutto ciò che Egli fa e dice mira a provocare un incontro intenso e decisivo con Lui. Ma proprio da qui nascono divisioni e discordie, fino alla divisione all'interno di una stessa famiglia.
Ed a seconda della diversa presa di posizione personale nei confronti di Lui, i membri di una stessa famiglia, che per natura sono intimamente legati fra loro, si dividono.
Gesù non ha la missione di trasformare con un colpo di bacchetta magica il cuore degli uomini. Ma, nel rispetto della nostra libertà, ci invita alla conversione. Ci chiama a deciderci per Lui.
In che modo convertirci seriamente a Gesù? L'impegno sarà raccogliere il suo immenso desiderio: che cioè il fuoco da Lui portato - il fuoco dello Spirito, il fuoco dell'amore - divampi dovunque, nella nostra vita anzitutto.
"Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!", ha detto santa Caterina da Siena.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra (Lc 12,49)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 14 agosto 2013

Gioia e gratitudine immensa


Assunzione della Beata Vergine Maria

Appunti per l'omelia

La festa dell'Assunzione di Maria al Cielo ha uno speciale sapore di famiglia: una comunità di figli che si stringe affettuosamente attorno alla propria madre per celebrare il suo destino glorioso. La nostra esultanza condivide l'esultanza stessa di Maria. Il Magnificat - questo canto di lode riconoscente e di gioia esplosiva - non è uscito dalle labbra di Maria soltanto nell'incontro con la cugina Elisabetta, ma durante la sua esistenza terrena non si è mai spento nel suo cuore. Ed ora, in cielo, continua a risuonare con un'intensità senza pari.
Con Maria, trascinati nella sua lode gioiosa, cantano il Magnificat tutti gli abitanti del cielo e ad essi si uniscono i credenti, ancora in cammino verso la patria definitiva.
Tutte le generazioni mi chiameranno beata: in comunione profonda con tutte le generazioni cristiane del passato e con quelle che verranno, noi oggi - attuando il suo annuncio profetico - proclamiamo beata Maria e facciamo nostro il suo cantico di lode.

Le parole iniziali di questo Cantico riassumono in qualche modo l'intero canto dandogli una tonalità di celebrazione: «L'anima mia magnifica (esalta) il Signore»; e di esultanza: «Il mio spirito esulta in Dio mio salvatore».
Tutta la sua persona, tutto il suo essere esalta il Signore ed esulta, fa salti di gioia. Danza nel giubilo. Il motivo è Lui, il «mio Salvatore». La gioia di Maria è Qualcuno, è il Signore.

Ed il motivo della lode e del giubilo viene così esplicitato:
«Ha guardato l'umiltà della sua serva». Come spiega Giovanni Paolo II, "la sua gioia nasce dall'aver fatto l'esperienza personale dello sguardo benevolo di Dio su di lei, creatura povera e senza influsso nella storia";
«Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente». Le grandi opere di Dio si riassumono in una sola: Gesù, di cui Maria è stata scelta ad essere la madre. Gesù nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione.
Le "grandi cose", allora, sono tutti gli interventi di Dio su Maria: dall'Immacolata Concezione alla maternità divina... all'Assunzione che corona le opere di Dio in suo favore.

Recitare, cantare con Maria il Magnificat, in cui "traspare l'estasi del suo cuore", come ebbe a dire Giovanni Paolo II. Cantarlo con la vita.
Essere il Magnificat, per cantarlo eternamente con Maria. E intanto scoprirla come compagna di viaggio, lasciandoci prendere per mano, come il bambino fa con la sua mamma e qualche volta si fa prendere in braccio.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente (Lc 1,49)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi

martedì 13 agosto 2013

La diaconia edifica la Chiesa [2]


La rivista Il Diaconato in Italia dedica il n° 179 al tema della diaconia quale elemento costitutivo della Chiesa (La diaconia edifica la Chiesa).
Nel riportare i vari articoli nel mio sito di testi e documenti, segnalo questi altri due interventi, che ritengo molto interessanti per un puntuale riferimento sull'identità del diacono e la sua specifica presenza nella comunità cristiana.





La missione di servizio che edifica la Chiesa (Analisi)
di Enzo Petrolino

Se la realtà della Chiesa è ministero, non c'è nessuno dei suoi membri che non sia coinvolto nel ministero che essa, nel suo insieme, esercita. Questa realtà originaria è stata recuperata e riaffermala dal Concilio, che dopo aver sottolineato il carattere di mistero-sacramento, della Chiesa ha voluto introdurre, prima ancora di qualunque diversificazione interna, un concetto che comprendesse tutti i battezzati. Ha scelto perciò, a tal fine, la categoria di «popolo di Dio», recuperando la dimensione biblica di storia, alleanza, elezione, missione e di cammino escatologico.
La felice intuizione ha avuto il pregio di mettere in rilievo il mutuo rapporto tra il «sacerdozio ministeriale» e «quello comune», che si incentrano entrambi nell'unico «sacerdozio di Cristo» (LG 10). Questo «popolo messianico» è inviato al mondo intero, e tutti gli uomini, in qualche modo, sono ad esso chiamati (LG 9; 13).
La concezione del Vaticano II riguardo al «popolo di Dio» è pervasa dall'esigenza di partecipazione e comunione di tutti i battezzati al servizio «profetico, sacerdotale e regale» di Cristo (LG 10; 12), il che si traduce nell'inserimento attivo nei vari servizi ecclesiali dei carismi donati per l'utilità comune (LG 12). Comune dunque, all'intero popolo di Dio è la «ministerialità». La LG sottolinea che «deve essere... riconosciuta e promossa dentro e per il popolo di Dio la responsabilità di tutti e di ciascuno, quindi anche quella dei fedeli laici» (n. 25); ed ancora aggiunge che, nell'arricchente diversificazione, «vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il corpo di Cristo» (cf. LG 52).
Dunque, il ruolo dei ministeri è quello di consentire (da con-sentire), significare, attualizzare il fatto che Cristo è il fondamento della Chiesa e che tutti i battezzati, nel loro insieme, sono edificati su di lui, struttura portante dell'intera costruzione. Questi dati ecclesiologici sono molto importanti, anche perché pongono in luce che la Chiesa non è fonte autonoma di salvezza; proprio nel suo essere comunità della Parola, essa non appartiene a se stessa ma vive in rapporto all'evento fondante del Cristo, che permane in lei per mezzo dello Spirito come la norma che la convoca e la giudica.
[…]
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Per colmare il divario tra liturgia e carità (Approfondimento)
di Giuseppe Bellia

Il Vaticano II espone la sua visione del diaconato soprattutto nella Lumen Gentium. In questa costituzione dogmatica, dopo aver ribadito che la pienezza del sacramento dell'ordine è esercitato dai vescovi, come continuazione dell'ufficio apostolico (LG 20 e 21), si ricorda che questi si avvalgono della collaborazione di presbiteri e diaconi (LG 28). A questi ultimi, collocati in un grado inferiore della gerarchia, sono imposte le mani non per la presidenza dell'eucarestia ma per il servizio1. La distinzione, è necessario ribadirlo, riguarda il grado di partecipazione alla mediazione sacerdotale di Cristo e non l'intensità della natura sacramentale o dell'essenza pneumatologica dell'unico sacramento dell'ordine articolato nelle tre diverse funzioni ministeriali; per essenza, il sacerdozio ministeriale, differisce solo dal sacerdozio comune.
Il testo, in continuità con la tradizione, assegna al ministero diaconale un pieno valore sacramentale; infatti i diaconi sono conformati a Cristo mediante il conferimento del "carattere" e perciò sostenuti dalla "grazia sacramentale" nell'esercizio del loro ministero che si struttura come diaconia della liturgia, della parola e della carità. A questo triplice ministero sono chiamati, in comunione col vescovo e il suo presbiterio, per essere al servizio del popolo di Dio (cf. LG 29 e CD 15).
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1 Si rimanda qui alla nota espressione «per il ministero, non per il sacerdozio», ripresa anche da LG 29, nota 74, dove si fa riferimento alle Constitutiones Ecclesiae aegyptiacae, 3, 2: ed. Funk, Didascalia, 2, p. 103. In realtà questa affermazione non deve essere interpretata in modo improvvido e mutilo, quasi separando da una parte vescovi e presbiteri come segno del sacerdotium, mentre dall'altra i diaconi sarebbero espressione del solo ministerium. Tutti i ministri, partecipando dell'unico Spirito (cf. 1Cor 12,4-7; Rm 12,4-8), che permette loro di operare in persona Christi capitis, possono presiedere, anche se a diverso titolo e grado, alla vita della comunità. Cf. Tradizione Apostolica 3,1,2. Su questa interessante problematica, vedi il documentato articolo di G. Cigarini: Il diaconato nella lex orandi: "non per il sacerdozio ma per il ministero", in Il diaconato in Italia 101/102 (1996) 7-22.

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sabato 10 agosto 2013

San Lorenzo, diacono e martire


Nel fare memoria della festa odierna di san Lorenzo, riporto l'ultima parte di una bozza di articolo che avevo preparato per il mensile diocesano "Ecclesia in cammino" della diocesi di Velletri Segni (RM); articolo non andato in stampa per un cambio di programmazione.
L'intero articolo è riportato nel mio sito di testi e documenti (vai al testo…).


Ecco la parte conclusiva:

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La testimonianza della vita e del martirio di san Lorenzo è per noi di grande attualità e fonte di luce per una maggior comprensione del ministero diaconale, ripristinato nella sua forma permanente dal Concilio Vaticano II.
Tale attualità si può peraltro riscontrare anche nei vari discorsi che si sono tenuti in occasione del Giubileo dei diaconi del 2000, al quale ho potuto partecipare. Uno di questi interventi è stato quello di mons. Moraglia. Cercherò qui di riportare alcuni appunti di quel discorso.
Se la caratteristica principale che identifica il diacono, in sé, e nel suo ministero è essere ordinato per il servizio della carità, allora la "martyria", la testimonianza fino all'effusione del sangue, va considerata come espressione di un amore-carità più grande, ossia il servizio di una carità che non conosce limiti. Il ministero della carità a cui il diacono viene deputato attraverso l'ordinazione non si ferma, quindi, al servizio delle mense o genericamente alle così dette opere di misericordia corporali o spirituali, piuttosto il servizio diaconale della carità deve pervenire, nell'incondizionata consegna di sé, fino all'imitazione di Cristo, il testimone fedele per antonomasia (Cfr, Ap 1,5; 3,14). Nel caso di san Lorenzo, spiega sant'Ambrogio, nessun desiderio lo spingeva se non quello di immolarsi per il Signore; così, attraverso la testimonianza data innanzi ai suoi persecutori, è evidente che l'esercizio del ministero diaconale qui non si identifica col servizio al prossimo ridotto alle sole necessità materiali. Poiché proprio in quel gesto che esprime un amore più grande per Cristo e che porta a donare la vita, Lorenzo fa in modo che anche i suoi carnefici possano, in senso reale, fare una qual esperienza di Cristo che, alla fine, è il destino personale e comune di ogni uomo: questo è il servizio teologico della carità a cui ogni diacono deve tendere o, almeno, rimanere disponibile. Ciò non significa che il diacono nel suo ministero esaurisca la testimonianza della carità che è, e rimane sempre, vocazione e missione di tutta la Chiesa; piuttosto si intende affermare che, in forza dell'ordinazione, il diacono porta in sé, in modo sacramentale-specifico, la "forma Christi'" per il servizio della carità; vale a dire un "esercizio ministeriale" della carità che si attua nei confronti di Cristo e dei fratelli e che può giungere a richiedere anche il dono di sé, fino al sacrificio della vita.
Il diacono poi si presenta come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, vive la "comunione ecclesiale" attraverso un servizio specifico proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad essa.
Questa è l'altra caratteristica che si evince dal colloquio tra Sisto e Lorenzo presso il cimitero di Callisto. Il dialogo pone in evidenza come proprio nel legame sacramentale che unisce il diacono al vescovo, il diacono appare "uomo della comunione" proprio attraverso il servizio specifico al vescovo; servizio che si realizza concretamente nel fedele adempimento di ciò che il vescovo richiede al suo diacono secondo le necessità e le urgenze ecclesiali.
L'incontro tra papa Sisto e il diacono Lorenzo ci invita a riscoprire nel cuore della Istituzione-Chiesa, sempre indispensabile, e delle strutture ecclesiali, parimenti necessarie, la realtà viva e vivificante della grazia che le anima e, insieme, ci invita a riscoprire il legame teologico che le vincola a Cristo, unico, vero Episcopo, Presbitero e Diacono.
Nella sua testimonianza, sant'Ambrogio ci presenta ancora Lorenzo come colui che, in forza del sacramento ricevuto, è pienamente dedito al servizio della carità in una situazione concreta: la Roma imperiale del terzo secolo, mentre infuria la persecuzione; e, in tale congiuntura, Lorenzo è chiamato a porre, dinanzi alla comunità ecclesiale e al mondo, gesti concreti destinati a trasformarsi in altrettanti segni dell'Amore-Carità di Dio, ossia di quella Carità da cui ogni cosa proviene e verso cui è incamminata. E proprio in tale servizio, il diacono esprime il ministero più tipico della sua diaconia che consiste, appunto, nel servizio della carità compiuto in forza del mandato sacramentale.
Lorenzo, prima di morire, in spirito di servizio ed obbedienza al suo vescovo, per l'ultima volta amministrerà i beni della Chiesa, Sposa di Cristo, con un gesto che dice come nella Chiesa tutto è finalizzato e assume valore a partire dal servizio della carità.
A chi guarda da lontano, in modo approssimativo, questo gesto può sembrare legato esclusivamente alle necessità materiali (si tratta, infatti, solamente della distribuzione di beni materiali a dei poveri). In realtà, l'atto che Lorenzo compie, in spirito di fedeltà alla consegna ricevuta dal vescovo e al ministero ecclesiale in cui è costituito, è un atto che lo proietta e con lui proietta tutta la Chiesa - affidatagli fino al momento del martirio -, oltre la storia, nel "tempo" e nello "spazio" in cui Dio manifesta la pienezza della sua carità e del suo amore.
Così il diacono Lorenzo, ministro ordinato della carità, porta a termine il compito che aveva ricevuto, non solo in quanto segue il suo vescovo nel martirio ma perché attraverso il gesto col quale dona ai poveri tutte le risorse della comunità - qui espresse dai beni materiali -, manifesta come nella Chiesa, ogni cosa abbia valore se è orienta alla carità, se diventa servizio alla carità, se può trasformarsi in carità.

venerdì 9 agosto 2013

La fede di quel "piccolo gregge"


19a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

La condizione di vita del cristiano, la sua appartenenza a Cristo, è caratterizzata dalla fede. Il brano della Lettera agli Ebrei (11,1-2.8-19), proposto per questa domenica, si sofferma sulla storia di Abramo che è tutta spiegata e permeata dalla fede.
Risvegliare e alimentare la fede rimane l'intento principale di Gesù, come possiamo osservare anche nel Vangelo odierno (Lc 12,32-48).
I discepoli sono un gruppo sparuto, senza potere né rilevanza sociale, povero e insignificante. Non è la condizione di "minoranza" in cui anche oggi si trovano, sotto molteplici aspetti, le comunità cristiane? La Chiesa resterà sempre "piccolo gregge" e non avrà mai la pretesa di essere forte e di gareggiare sullo stesso piano con i potenti: «Non temete, piccolo gregge…».
Dio, però, non è soltanto il pastore di questo gregge. È soprattutto il "Padre vostro" al quale "è piaciuto di darvi il suo Regno".
Il Regno di Dio: Dio stesso, il re e Signore infinitamente potente e buono, che interviene in favore degli uomini per liberarli da ogni male e legarli intimamente a sé, facendoli felici della sua stessa felicità. Il Regno è Dio che si rivela e si dona in Gesù. È la presenza di Dio Amore fra gli uomini attraverso Gesù. Il Regno è quindi la persona di Gesù. È Gesù tra noi e con noi. È come se Gesù ci dicesse: Non temete, perché il Padre nella sua bontà vi ha donato me. Riconoscerlo e accoglierlo e, quindi, vincere ogni paura, rinnovando il coraggio e l'entusiasmo dell'annuncio evangelico: ecco la fede!
«Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina». Se il Regno è il tesoro più prezioso, tutti gli altri beni impallidiscono e non meritano perciò di essere ricercati e difesi con attaccamento ostinato. I discepoli li sanno condividere con i poveri.
«Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli». L'uso delle ricchezze in favore dei poveri, le opere di bene compiute sulla terra sono come un capitale depositato presso quel buon banchiere che è Dio. Anzi, più propriamente, il "farsi borse" implica un'attività finanziaria, un trafficare in modo corretto e fruttuoso i beni di cui si è in possesso. Tale attività consiste nell'aiutare con i propri beni i bisognosi. Il migliore investimento, la più intelligente operazione finanziaria consiste nel dare ai poveri!
«Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore». Il tesoro è ciò per cui l'uomo lavora, ciò che gli sta più a cuore e a cui si attacca con passione. Per Gesù si identifica con la realtà del Regno, che il discepolo è invitato a scegliere senza riserve. La ricchezza non è cattiva in sé, ma è un grosso pericolo per l'uomo, che è tentato di riporre in essa tutta la sua fiducia, invece che riporla nell'Unico infinitamente affidabile che è Dio.
«Fatevi borse…», che è come dire, anche: preparate le valige per il viaggio verso la patria eterna, riempiendole ogni giorno di atti d'amore, perché bisogna stare «pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese».

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore (Lc 12,34)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 7 agosto 2013

La diaconia edifica la Chiesa [1]


La rivista Il Diaconato in Italia dedica il n° 179 al tema della diaconia quale elemento costitutivo della Chiesa (La diaconia edifica la Chiesa).
Nel riportare i vari articoli nel mio sito di testi e documenti, segnalo questi interventi.





Il servo sofferente edifica la Chiesa (Editoriale)
di Giuseppe Bellia

Fin da principio i canti del Servo sofferente si sono prestati a una imponente e fruttuosa lettura cristologica che rischiava di enfatizzare l'aspetto sacrificale e messianico dilatando la sua esemplare esistenza oltre i confini della moralità ordinaria. Ancora oggi la gran parte dei commenti si muovono in questo orizzonte ermeneutico. Ma da ultimo qualche autorevole voce di dissenso ha cominciato a contestare questa linea interpretativa. Certo, il metodo storico-critico, attraverso comparazioni, esclusioni, adattamenti, ampliamenti e glosse redazionali, ha permesso di individuare gli apparentamenti e le probabili tradizioni originarie consentendo così una ricostruzione ipotetica della lezione primaria giudicata idonea per raggiungere il vero messaggio dell'autore/redattore. Una lettura cristologica per quanto coscienziosa deve sempre tener presente il fatto che un testo non è mai contenuto e compreso da una sola interpretazione, lasciando spazio ad altre legittime e forse più sintetiche e coinvolgenti letture (v. l'interpretazione di stampo post-critico di Walter Brueggeman). Si vuole cioè leggere Isaia e il carme del Servo sofferente come profezia per la Chiesa di oggi chiamata non a celebrare e ingessare i suoi martiri ma a lasciarsi provocare dalla insolita martyria profetica di testimoni di Cristo nel nostro tempo, come padre Pino Puglisi.
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I diaconi sono al servizio di Comunità di carità? (Contributo)
di Piero Coda

La Chiesa "comunità di carità" è la figura di Chiesa che scaturisce dal vangelo della carità e viene definita dal documento della CEI "Evangelizzazione e testimonianza della carità" (ETC) in questi termini: «configurata alla croce, la Chiesa è il grande sacramento della carità di Dio nella storia degli uomini» (n. 24). È evidente che questa espressione ricalca quella di LG 1, dove - in modo sintetico e programmatico - si intende indicare, allo stesso tempo, l'identità e la missione della Chiesa, definendola come «sacramento, e cioè segno e strumento, in Cristo, dell'unione con Dio e dell'unita del genere umano». ETC esplicita sia il rapporto con Cristo, che è precisato nei termini paolini della configurazione alla croce, che è mistero di morte e risurrezione; sia il contenuto della vita e dell'operare della Chiesa, che è appunto la carità. Non per nulla, poco più avanti, si richiama che «la carità, prima di definire l'agire della Chiesa, ne definisce l'essere profondo» (n. 26). Vorrei cercare di affrontare questo tema senza la pretesa di dire tutto, ma offrendo solo qualche spunto alla riflessione, in due momenti. Nel primo mi soffermerò, soprattutto alla luce del NT, su cosa significa che la carità è segno distintivo ed efficace della comunità cristiana. Nel secondo cercherò di precisare alcune conseguenze di questa visione per la vita della comunità cristiana, in sé e nel suo rapporto con la società.
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Servi per la Chiesa degli ultimi (Focus)
di Francesco Giglio

Quando il Beato Giovanni XXIII indisse il Concilio Vaticano II, nessuno poteva immaginare a quali novità di ministerialità, di evangelizzazione e sviluppo del laicato si apriva la Chiesa di Cristo. Tra le geniali intuizioni ci fu anche il ripristino del "Diaconato permanente" quale gradino proprio e specifico dell'Ordine Sacro. Oggi molte diocesi ricordano questa istituzione e festeggiano o hanno festeggiato il 30° o il 40° di questa avventura ministeriale ed ecclesiale. Palermo prima e Verona poi, hanno ancora una volta rimarcato il valore unico e speciale di questo "servizio" svolto da uomini sposati che, lungi dall'essere "mezzi preti", sono chiamati ad indossare il grembiule, e sull'esempio del Maestro, ad essere "servi". Tutti i documenti del Magistero chiedono, esortano, invitano i diaconi ad essere e a rispondere coraggiosamente (e in spirito di servizio) alla specifica chiamata del Signore.
Ma è importante capire per quale Chiesa vengono ordinati. Certamente per quella Chiesa che è accanto a chi è povero, malato, carcerato, abbandonato, emarginato. Portatore di gioia e di speranza, prediligendo il ruolo di ministro dell'accoglienza, dell'invito, della disponibilità e del servizio. Propositore di offerte alla comunità ecclesiale in sintonia con i laici, associazioni, movimenti, gruppi, consacrati, consacrate e sacerdoti; contribuisce così a costruire quella Chiesa "comunione e comunità" in cui fiorisce la solidarietà fraterna, la condivisione di ciò che si è e che si possiede, è empatia per le gioie e le sofferenze degli altri.
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La diaconia e la Chiesa (Il Punto)
di Andrea Spinelli

Quando sento pronunciare la parola "diaconia", confesso che non penso immediatamente ai diaconi, anche se la comune etimologia dei due vocaboli potrebbe farli sentire collegati nella loro genesi. In realtà r1are di diaconia mi conduce ad una visione molto ampia, ad un orizzonte quasi illimitato, dove i diaconi costituiscono un piccolo gregge. Parvus grex, sed grex, qualcuno potrebbe affermare, ma il piccolo gregge dei diaconi ordinati è parte integrante del popolo di Dio, come del resto tutti i membri della Chiesa, radicati tramite il Battesimo nel Signore che dice di sé: «Ecco, io sono in mezzo a voi come colui che serve (come il diacono)» (Lc 22,27).
Ecco allora che la diaconia è innanzi tutto una caratteristica fondamentale di ogni battezzato, di ogni figlio di Dio, di ogni discepolo, che come il Maestro, venuto a servire e non a essere servito, cerca di imitarlo e non è tranquillo finché non capisce che la sua diaconia è come la diaconia del Maestro, il diacono per eccellenza. Prevengo una possibile obbiezione: con tale modo di pensare tu sminuisci il senso e la forza della diaconia ordinata. Credo di no: in un contesto di diaconia diffusa, l'anelito alla diaconia ordinata mi sembra acquistare forza e significato. Non è privilegio di pochi servire, bensì dovere gioioso di tutti e, perché tale dovere sia sentito irrinunciabile e qualificante da chi segue Cristo, non è inutile che ci sia qualcuno che lo assume come ministero "a tempo pieno" in semplicità di cuore e umiltà.
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venerdì 2 agosto 2013

L'unico mio bene!


18a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

Che cosa vale di più nella vita? Che cosa conta semplicemente nella vita? Accumulare ricchezze, accrescere il proprio potere economico e così anche il proprio prestigio sociale, e in questo impegno investire senza risparmio tempo, interesse, energie? Ma è proprio così? Il giudizio su tale scelta di vita e comportamento lo dà la parola di Dio, proposta per questa domenica, nel brano del Qoelet (1,2;2,21-23), un'affermazione perentoria che è come un pugno inatteso sullo stomaco: «Vanità delle vanità, vanità delle vanità, tutto è vanità». Questa parola di per sé significa "vuoto", "soffio di vento"... e dà come l'idea del fiato che, appena emesso, non c'è già più.
Anche Gesù, nel vangelo (Lc 12,13-21), offre ai suoi discepoli (e quindi anche a noi) il suo insegnamento riguardo al rapporto con i beni materiali. Tale insegnamento prende spunto da una lite per una eredità. Liti di questo genere, si sa, nascono dalla bramosia del possesso e spesso devastano i rapporti anche nell'ambito di una stessa cerchia familiare, creando inimicizie che possono durare tutta la vita. Contro questa insaziabile avidità Gesù lancia un ammonimento molto forte: «Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni». Col suo richiamo Gesù prende di mira anzitutto i ricchi (e chi non lo è, almeno nel cuore?). Non li condanna perché sono ricchi. Li avverte, piuttosto, che la loro ricchezza è una sicurezza soltanto apparente e molto precaria, perché la qualità e la riuscita della vita non sono determinate dai beni che si possiedono. È quanto emerge con forza provocatoria dalla parabola che Gesù racconta, di un uomo, di un impresario agricolo, i cui affari sono andati a gonfie vele ed ha davanti a sé un futuro rassicurante: una vita comoda e beata, anche se, di per sé non dissoluta e licenziosa. D'altra parte non si dice neppure che egli abbia accumulato la ricchezza ingiustamente. Tutto farebbe pensare che si tratta di un uomo veramente fortunato. Ma è proprio così? Ciò che rende una vita felice e degna di essere vissuta si riduce a questo?
Nel modo di pensare di questo uomo si coglie un individualismo esasperato. È interamente concentrato su di sé e su ciò che possiede, dove i verbi sono alla prima persona singolare e domina l'aggettivo possessivo: «farò... raccoglierò... dirò a me stesso: riposati... i miei raccolti... i miei beni...». Nel suo progettare il futuro non c'è posto per Dio e neppure per gli altri. Fa i suoi calcoli senza Dio. Ma i conti con Dio non si possono rimandare senza fine! Ha programmato accuratamente tutto, meno l'eventualità della morte. E qui sta la sua stupidità: «Ma Dio gli disse: stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?». Il ricco, allora, è insensato, manca cioè di buon senso, perché nei suoi calcoli non ha inserito la realtà della morte, ma soprattutto perché non ha inserito Dio: ha dimenticato che la sua vita è un dono che gli può essere richiesto in ogni momento. Un dono che, ricevuto da Dio, esige di essere a sua volta "ridonato" nel servizio e nella condivisione dei beni col prossimo. Accumulando i beni per se stesso, il ricco si considera proprietario di ciò che non è suo. Si rifiuta cioè di essere quello che Dio vuole che sia: un amministratore al quale Dio affida beni che, per definizione, sono destinati a tutti e con i quali avrebbe dovuto aiutare gli altri. Non ha capito che ricchi si può essere anche da soli, ma felici no. Non si può essere felici se non con gli altri, con tutti gli altri, e grazie agli altri.
L'errore del ricco della parabola, e di quanti egli rappresenta, sta nell'aver concentrato unicamente il suo interesse sulle cose terrene che "passano", senza darsi pensiero delle realtà più vitali e importanti. In questo senso ha agito da stolto: ha fondato la sua sicurezza per il futuro su beni effimeri, mentre Dio solo può dare e conservare la vita.
Un uomo che è vissuto così «accumulando tesori per sé», non è ricco davanti a Dio! Come fare, allora, per diventare veramente ricchi?
Ai tanti simili a quel ricco, Gesù non si stanca di chiedere una sincera conversione, che consiste nel passare dai "beni" al "Bene", a Dio, il Sommo Bene; dall' "io" al "noi", dal "mio" al "nostro", ai "beni" che si trovano così relativizzati e vengono condivisi. Consiste nel passare dai "miei beni" al "Sei Tu, Signore, l'unico mio bene!".

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Arricchire presso Dio (Lc 12,21)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


giovedì 1 agosto 2013

Il Diaconato in Italia

Il diaconato in Italia n° 179 (marzo/aprile 2013)




La diaconia edifica la Chiesa


Sommario


EDITORIALE
Il servo sofferente edifica la Chiesa (Giuseppe Bellia)

CONTRIBUTO
I diaconi sono a servizio di comunità di carità? (Piero Coda)

FOCUS
Servi per la Chiesa degli ultimi (Francesco Giglio)

IL PUNTO
La diaconia e la Chiesa (Andrea Spinelli)

ANALISI
La missione di servizio che edifica la Chiesa (Enzo Petrolino)

APPROFONDIMENTO
Per colmare il divario tra liturgia e carità (Giuseppe Bellia)

RIFLESSIONI
Una diaconia al vaglio dei poveri (Giovanni Chifari)
La diaconia a servizio della Chiesa (Maria Concetta Bottino)

CONFRONTI
La Chiesa (Carlo Carretto)

PASTORALE
Servitori della Parola (Carlo Caffarra)


Rubriche

PAROLA E SERVIZIO
«Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Vincenzo Testa)

TESTIMOINIANZA
Medico e diacono (Crescenzo De Stefano)
40 anni: da Torino (Michele Bennardo)

PAROLA
Prima Lettera di Pietro (IV) (Luca Bassetti)



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