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sabato 12 ottobre 2013

Convegno Diaconi del Lazio


Si è svolta oggi a Roma la Giornata Regionale del Diaconato Permanente del Lazio, promosso dal Coordinamento del Diaconato della Conferenza Episcopale del Lazio.
Ha presieduto l'incontro mons. Lino Fumagalli, vescovo di Viterbo e vescovo incaricato per il clero della Conferenza Episcopale del Lazio.
Importante e significativo è stato l'inizio di questa giornata sulla Tomba di san Pietro, dove abbiamo celebrato l'Eucaristia.
Poi, presso la Casa "Pastor Bonus" del Vicariato di Roma, abbiamo proseguito l'incontro.
Tema principale: Come aiutare i pastori a portare l'odore del gregge? Il diacono un ministero di mediazione.

Alcuni appunti.
L'intervento, tenuta da don Nicola Filippi, delegato per il Diaconato Permanente della Diocesi di Roma, si è incentrato sul pensiero di Papa Francesco riguardo al nostro rapportarci con il "gregge" che ci è affidato e l'apporto che i diaconi possono essere in questa opera di evangelizzazione, nella ricerca del superamento di due tipici pericoli: l'autoreferenzialità e il clericalismo.
Siamo chiamati a rispondere alle sfide attuali che derivano dal confronto con culture diverse, dalla modalità di dialogo e di annuncio del "vangelo della misericordia" senza compromessi. La risposta? Spesso con una quasi assenza di risultati positivi, ci si ritrova ad aver prodotto la chiusura su se stessi, nell'impossibilità di saper cosa fare… se non quello di "pettinare le pecore" che sono rimaste nell'ovile (per usare l'espressione di Papa Francesco).
L'autoreferenzialità, sia del presbitero che del diacono, è il segno di un clericalismo che si coniuga con una chiesa che ha smarrito di essere un popolo e si nega come una chiesa "plurale", appoggiandoci su una visione settoriale secondo ruoli prestabiliti (prete-fedeli).
Come allora portare l'odore delle pecore?
Il clericalismo impedisce di prendere l'odore delle pecore e, autoreferenziandosi, ci si dimentica l'odore delle pecore che sono malate, lontane… Ma per il pastore vale la parola di Gesù: "Ho anche altre pecore che non sono di questo ovile…".
Come il diacono può aiutare un vescovo o un sacerdote ad essere "davanti", "in mezzo", "dietro" al gregge …e prendere su di sé l'odore delle pecore?
I sacerdoti hanno bisogno di diaconi che li facciano essere pastori!

Pastore "davanti al gregge", nell'esercizio del governo, nella riscoperta del ministero della presidenza della comunità, quale guida spirituale attraverso l'annuncio della Parola, la Preghiera e la Direzione spirituale.
La complessità della vita rischia di far perdere di vista al presbitero la sua identità, perché egli è effettivamente troppo oberato di compiti non necessariamente sacerdotali, in una vita quasi manageriale… Occorre quindi saper delegare ad altri queste mansioni. Il servizio diaconale, espressione del coordinamento della pastorale parrocchiale, deve essere in grado di prendere su di sé tutte queste incombenze, con umiltà, per far sì che il sacerdote sia preoccupato di fare quello che è suo proprio. Il diacono, quasi una cinghia di trasmissione tra il sacerdote e la comunità.
Una comunità che ha un ministero così strutturato è una comunità viva, dove i vari carismi in essa presenti sanno sussistere in armonia.
C'è un presupposto essenziale per questi tipo di ministerialità: una profonda comunione del presbitero con il diacono, dove ambedue, radicati nel medesimo sacramento, sono coscienti della propria diversità.

Pastore "in mezzo al gregge". È un condividere totalmente la vita del gregge, è prendersi effettivamente "l'odore del gregge". Comporta una condivisione con tutte le persone affidate e non solo quelle che ci frequentano; con quelle che vivono ai margini o sono lontane. Anch'esse fanno parte del gregge…: "E ho altre pecore che sono lontane da questo gregge…".
Il Pastore "conosce per nome" tutte le sue pecore… Purtroppo, allo stato attuale, soprattutto in una grande città o in parrocchie molto numerose, è quasi impossibile essere presenti nella individualità e nella reale condizione delle pecore, "conoscendole per nome"…
Questa situazione può diventare una prospettiva molto feconda per il diacono: essere "l'occhio e l'orecchio" del vescovo, del presbitero… Il diacono infatti vive immerso nel mondo, con una molteplicità di relazioni; si incontra spesso con persone che il sacerdote non ha la possibilità di incontrare… Il diacono è "occhio che vede" e "orecchio che scolta"; sa ascoltare il grido di aiuto che sale dalle "pecore" che si trovane disperse… e tutto riconduce al pastore…

Pastore "dietro al gregge"... per assicurarsi che nessuno resti indietro e perché il popolo possa trovare pure lui altre strade di incontro.
Il diacono aiuta il pastore quando aiuta i più deboli a non restare indietro e questi sono facilitati nel loro inserimento nella comunità… Ci sono persone, come gli anziani, i poveri, delle quali nessuno si cura di loro e "rimangono indietro". Il diacono ricorda come eliminare le "periferie" e condurre tutti al centro, ad abitare il centro. Così la comunità diventa veramente di tutti, "cattolica"; e non di pochi eletti…
Il diacono, per l'inserimento nel mondo del lavoro, per l'esperienza della famiglia, ha un "fiuto" più raffinato del presbitero, per una azione pastorale più efficace.
Anche qui, se non c'è una profonda comunione tra presbitero e diacono, è fatica sprecata!

Solo così possiamo essere una chiesa "estroversa", più aperta al mondo, dialogante con tutti. In questa visione di ministero, il diacono ha veramente la possibilità di essere questo "aiuto" per il sacerdote ed essere quel continuo richiamo nell'andare alla ricerca di tutte le pecore per condurle all'unico ovile di Gesù.


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