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lunedì 31 dicembre 2012

Madre dell'unica persona del Verbo di Dio, dono per il mondo


1° gennaio – Maria SS.ma Madre di Dio

Appunti per l'omelia

Nasce un nuovo anno con i suoi molteplici richiami: il tempo, che corre e non ritorna, è un grande dono che Dio ci offre, perché lo possiamo usare con riconoscenza e responsabilità. Se tutto viene inevitabilmente "divorato" dal tempo, rimane però intatto il bene che abbiamo compiuto. Tutto il tempo trascorso nell'amore vero diventa eterno come Dio, che è Amore.
L'anno che si apre col suo carico di incognite lo possiamo affrontare nella fiducia che Dio non ci abbandona, ma ci "benedice e ci protegge" con la sua presenza efficace d'amore: è Lui che "rivolge il suo volto su di noi" (cf Nm 6,22-27). In definitiva è Gesù la benedizione che Dio dà all'umanità. È Lui il volto luminoso di Dio rivolto verso di noi, la manifestazione concreta del suo amore che non ci sarà mai tolto.
Oggi, ottava di Natale, contempliamo ancora il mistero del "Figlio" di Dio, «nato da donna, perché ricevessimo l'adozione a figli» (cf Gal 4,4-7).
Il Vangelo (cf Lc 2,16-21) ci riporta nuovamente alla stalla di Betlemme consentendoci di rivivere l'esperienza dei pastori e soprattutto di Maria nell'incontri col Salvatore. I pastori hanno ricevuto la buona notizia e "senza indugio" sono andati e "hanno riferito ciò che del Bambino era stato detto loro", mentre "Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore".
Maria diventa così simbolo e modello della comunità cristiana che contempla e assimila interiormente il mistero inesauribile del Verbo Incarnato.
Se il protagonista assoluto rimane Lui, il Bambino Gesù, circonciso l'ottavo girono e inserito così ufficialmente nel popolo di Dio, segno e presenza del "Signore che salva", oggi però la Chiesa rivolge la sua attenzione in modo speciale a Maria, celebrandola come "Madre di Dio", titolo che, colto nel suo significato, dà veramente le vertigini. È la Madre di Dio! La maternità umana è relazione con una persona: colei che è madre è madre non di un corpo, ma di una persona. Ora il bimbo di Maria è il Figlio di Dio, è l'unica Persona del Verbo eterno, è Dio stesso. Maria è veramente "Madre di Dio"!
Ma il Figlio di Dio, incarnandosi nel grembo di Maria, ha legato a sé ogni uomo, divenendo il primogenito di una moltitudine di fratelli. Così, la madre di Gesù è anche la madre di tutti noi e di ciascuno in particolare.
Non c'è dubbio che la festa mariana di oggi è la più importante di tutte. Ogni aspetto del mistero di Maria, ogni suo privilegio trova la sua spiegazione e il suo fondamento nella sua relazione di madre con Gesù. Una relazione unica e indicibile! Ce lo richiama anche la raffigurazione, molto frequente, di Maria col Bambino; anzi, nella Chiesa d'Oriente, Maria non è mai sola, ha sempre in braccio il Bambino.
Maria esiste soltanto per Lui e lo mostra al mondo. Così anche la Chiesa: abbraccia Gesù e lo mostra al mondo, significando così la nostra vocazione di discepoli di Gesù: avere Gesù tra le braccia e mostrarlo, anzi donarlo, al mondo. Chi cerca Gesù dovrebbe poterlo ricevere da noi. Ciò sarà possibile se guarderemo a Maria come modello di fede e di carità.
Ed il dono che il mondo attende nella persona del Figlio di Dio, è "il Principe della pace… Lui stesso la nostra pace" e sua madre, la "Regina della pace".
Facciamo nostra così la promessa evangelica «Beati gli operatori di pace» che Benedetto XVI ha scelto per questa 46a Giornata Mondiale della Pace, per «incoraggiare tutti a sentirsi responsabili riguardo alla costruzione della pace».
Affidiamo a Maria il nostro desiderio ed il nostro impegno perché nel nuovo anno la pace possa "scoppiare" e dilagare.


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Vedi anche:

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi

venerdì 28 dicembre 2012

Il segno visibile dell'amore del Padre

Santa Famiglia (C)

Appunti per l'omelia

Nella luce del Natale la Chiesa celebra la festa della Santa Famiglia. Il nostro sguardo, senza allontanarsi dal bambino di Betlemme, si allarga ad abbracciare la sua famiglia: Maria, la vergine madre, e Giuseppe, lo sposo di Maria; egli che amò con genuino amore di padre il Figlio di Dio.
Maria e Giuseppe sono una coppia profondamente credente, osservante della Legge. Se i genitori di Samuele (cf 1Sam 1,20-28: I lettura) sono consapevoli che il loro fanciullo è un dono grande di Dio, come lo è ogni figlio, Giusepe e Maria sanno bene che il loro ragazzo è il dono di Dio in modo assoluto e si sentono responsabili di educarlo religiosamente. Lo mostra in modo esemplare l'episodio gioioso ed insieme drammatico del pellegrinaggio a Gerusalemme. In quella occasione Gesù rivela alcuni aspetti della sua identità, manifestando una relazione esclusiva con Dio, che chiama "padre" suo ed il cui disegno ha priorità su tutto, anche sui legami familiari più stretti.
Al rimprovero dei suoi genitori («Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre (Giuseppe) ed io, angosciati, ti cercavamo»), Gesù restituisce il rimprovero, dichiarando di avere un altro "padre" («Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi della cose del Padre mio?»). In questo dialogo emerge chiara la sua coscienza di essere il Figlio di Dio. Il termine "padre", riferito a Dio, che risuona nelle prime parole di Gesù riportate nel vangelo di Luca, si ritroverà nelle ultime parole che egli pronuncerà sulla croce sul punto di morire: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). "Padre" è la prima e l'ultima parola di Gesù, come a dire che tutta la sua esistenza è custodita e spiegata dal rapporto filiale con Dio. Un mistero che Maria e Giuseppe «non compresero» subito…
Dopo questi fatti Gesù «scese con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso». Qui si svolge, nell'umile ritmo di una vita ordinaria, l'esistenza di una famiglia non benestante, che viveva del lavoro quotidiano ed alle prese con molteplici problemi. È l'esperienza di innumerevoli nuclei familiari, anche oggi, che con modalità diverse rivivono le condizioni della santa famiglia. Ma l'apparente grigiore è rischiarato da una luce vivissima: «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini».
Ciò che caratterizza la vita di questa originale famiglia è la centralità di Gesù. È Lui che polarizza tutta l'attenzione e l'affetto di Maria e di Giuseppe. In questa famiglia uno dei tre è Dio stesso in mezzo a loro: Dio sotto il volto umano di un bambino che essi hanno accolto e custodiscono, di un ragazzo che sotto la loro guida («stava loro sottomesso») cresce e diventa adulto. L'affetto paterno di Giuseppe e la tenerezza materna di Maria per quel figlio si mescolano e confondono con lo stupore, la gratitudine e l'adorazione della creatura verso il proprio Creatore, che è arrivato al punto di convivere gomito a gomito con loro, al punto di aver bisogno di tutto, come ha bisogno un figlio dei suoi genitori. Tre persone unite dal legame profondissimo della fede e fuse insieme dall'amore.
La famiglia di Nazaret è lo specchio su cui ogni famiglia cristiana è chiamata a guardarsi, riscoprendo continuamente ciò che essa è e ciò che essa deve essere: un mistero d'amore.
Il Figlio di Dio, quando si è incarnato, si è circondato di una famiglia. Ha avuto bisogno di una famiglia dove essere nutrito, allevato, educato, aiutato a crescere in umanità. Questa famiglia l'ha trovata in Maria e Giuseppe.
Il Figlio di Dio, abituato al seno del Padre, divenuto uomo, anzi bambino, continua a sperimentare la tenerezza del Padre nell'attenzione amorevole di Maria e di Giuseppe. Essi sono stati per Gesù il sacramento, il segno visibile e toccabile dell'amore di suo Padre.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Questo è il suo comandamento: che ci amiamo gli uni gli altri (1Gv 3,23)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi



lunedì 24 dicembre 2012

Il mistero dell'umiltà di Dio


Natale del Signore (C)

Appunti per l'omelia

Siamo giunto al momento tanto atteso: la luce ha squarciato la notte, Dio stesso ha preso dimora in mezzo a noi, un Bimbo ci è stato donato! «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1).
Il Natale del Signore è un evento di luce; luce che esplode nella notte e, squarciando le tenebre, la illumina a giorno. Ha illuminato il buio in cui avanza a tentoni colui che ha smarrito la via; il buio di chi non capisce il senso della sua vita ed è portato a dubitare di Dio; il buio di chi si sente prigioniero delle proprie paure, del proprio egoismo, del proprio peccato; il buio di chi non riesce più a sperare ed ha il nulla davanti a sé.
Ed ancora, il Natale del Signore è un evento di gioia: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (Is 9,2).
Luce e gioia che sono legate ad un bambino, che sono un bambino!
Così, i temi della luce, della gioia, del bambino ritornano anche nel racconto evangelico che l'evangelista Luca ci fa della nascita di Gesù: «La gloria del Signore li avvolse [i pastori] di luce… Ecco, vi annuncio una grande gioia… Oggi è nato per voi un Salvatore» (Lc 2,9.10.11).
Sì, anche noi abbiamo bisogno di ricevere una notizia come questa: ci è donata la salvezza, gratuitamente, per puro amore. Salvezza che non consiste nella soluzione di problemi che angustiano la nostra vita quotidiana, ma in definitiva non essenziali. È una salvezza che consiste nella soluzione del problema che è ciascuno di noi, con gli interrogativi inquietanti che ci portiamo dentro sul senso della vita, del nostro destino, della nostra identità.
«Io vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi il Salvatore». Basta che io lo riconosca e lo accolga! Allora questa "grande gioia" diventa la mia esperienza quotidiana. Accoglierlo, che significa mettere da parte la mia logica, il mio buon senso, ed accettare la logica di Dio: la salvezza è un Bambino! È lo scandalo di Dio. È lo stile di Dio. Eppure questo Bambino è tutto, è Dio! In questo Bambino si manifesta la "gloria" di Dio, la sua pienezza traboccante di vita e di misericordia; e mai nulla e nessuno ha mai glorificato Dio come questa nascita. Da essa ci viene donata la Pace, che è la perfetta comunione con Dio e tra di noi; pace per gli uomini avvolti dall'infinito amore del Signore, «per gli uomini che Egli ama».
Questo Bambino, forma sublime dell'amore di Dio, è il modo di manifestarsi di Dio. Egli si manifesta in una creatura la più fragile, bisognosa di tutto e di tutti ed in balìa di tutti. Ma è anche la più dolce. È difficile resistere al fascino che emana dal volto di un bimbo. E se ogni bimbo è dono di Dio, questo lo è in modo unico e superlativo. Così, ognuno può contemplare con lo sguardo della fede il Padre mentre, in uno slancio incontenibile di tenerezza e di gioia, gli viene donato personalmente Gesù, donato attraverso Maria.
È un grande dono poter condividere lo stupore riconoscente e gioioso di questa giovane mamma. Stupore per un amore così inatteso e imprevedibile da parte di Dio. Stupore che porta Dio a nascondersi dietro il volto di un bambino, a rivelarsi nel volto di un bambino. È il mistero dell'umiltà di Dio!


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non temete: vi annuncio una grande gioia (Lc 2,10)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (messa della notte - VP 2009)
  di Claudio Arletti (messa del giorno - VP 2009)
  di Enzo Bianchi


venerdì 21 dicembre 2012

Lì, dove fiorisce la gioia


4a domenica di Avvento (C)

Appunti per l'omelia

Ormai il Natale è alle porte e la Parola di Dio ci svela alcuni tratti del grande Festeggiato che ci prepariamo ad incontrare.
Già il profeta Michea (5,1-4) annuncia il suo paese natale, Betlemme, un umile villaggio della Giudea, da dove uscirà «il dominatore di Israele», colui che assicurerà la pace, anzi, «egli stesso sarà la pace!», «fino agli estremi confini della terra». La promessa di Michea alimenta l'attesa del Messia e anche, sia pure in maniera oscura, di sua madre: «colei che deve partorire partorirà».
Il misterioso evento di colui che attendiamo e deve venire si realizza, primariamente, nell'eternità di Dio, dove in un vertiginoso dialogo d'amor il Figlio, prima di iniziare la sua avventura terrena, accetta di incarnarsi e di adempiere la sua missione fra gli uomini. Con un atto di perfetta ubbidienza al Padre, accetta di fare della sua vita un sacrificio esistenziale che culminerà con la sua morte-risurrezione: «Ecco io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10, 7 e 9).
Questo infinito "sì" d'amore a Dio e agli uomini trova eco sul versante umano in un altro "sì" perfetto di ubbidienza e di amore: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). L'incontro di due "sì" ha reso possibile il miracolo del Natale. L'«Eccomi!» del Figlio, pronunciato dall'eternità accompagnerà Gesù in ogni momento della sua esistenza e raggiungerà il suo vertice nel sacrificio della Croce. Così pure l'«Eccomi!» di Maria, che esprime la sua fede ubbidiente, risuonerà senza sosta nel suo cuore durante tutta la sua vita e sarà perfetto quando essa si troverà associata intimamente al sacrificio del Figlio sul Calvario.
Nella cornice dello svelamento di questo mistero d'amore vediamo, nel racconto evangelico odierno (Lc 1,39-45), l'incontro di Maria con la cugina Elisabetta. Il vero protagonista è Gesù, dove Maria è presentata come inseparabilmente congiunta con Lui, limpida trasparenza di Cristo.
Le parole di Elisabetta proclamano ciò che Dio ha operato in Maria. Le promesse di Dio si stanno compiendo. Il Messia è ormai presente nel mondo, anche se nascosto nel grembo della madre. L'attesa del Salvatore che i profeti avevano tenuto accesa per tanti secoli, ora palpita nel cuore di una giovane donna. Così, il viaggio di Maria evoca il viaggio dell'arca dell'Alleanza: Maria è la nuova e vera "arca dell'Alleanza", il luogo, cioè, della presenza viva di Dio in mezzo al suo popolo. Giovanni Paolo II, nell'enciclica sull'Eucaristia, definiva Maria "donna eucaristica": «Quando, nella visitazione, porta in grembo il Verbo fatto carne, ella si fa, in qualche modo, tabernacolo, il primo tabernacolo della storia, dove il Figlio di Dio, ancora invisibile agli occhi degli uomini, si concede all'adorazione di Elisabetta, quasi irradiando la sua luce attraverso gli occhi e la voce di Maria» (EdE 55).
Colei che si è dichiarata "la serva del Signore" si mette in viaggio, «in fretta», perché chi ama non indugia. Elisabetta riconosce la realtà vera e profonda della giovane cugina: «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?»; «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!»; «Beata colei che ha creduto».
Se Dio ha ricolmato di grazia Maria, rendendola "Madre del Signore", la risposta di Maria è la fede: "Beata colei che crede!". È la prima beatitudine che risuona nel Vangelo e sarà l'ultima, sulle labbra del Risorto (cf Gv 20,29). Il vero motivo della gioia, che risuona in questo incontro, è l'amore benevolo e fedele di Dio, sperimentato da Maria nella fede. Nel canto di giubilo incontenibile di Maria possiamo cogliere e fare nostra la sua esperienza di fede, che è frutto dello Spirito Santo disceso su di lei. È Gesù infatti la gioia inesauribile di Maria. Ella esulta davanti al Signore e lo loda per il dono che le ha concesso.
Tutto in questo incontro si compie in una atmosfera di gioia contagiosa, frutto della comunione nella fede e nella carità fra le due madri, ma prima ancora della presenza del Salvatore nel grembo di Maria.
Ecco il nostro "dover essere", la nostra realizzazione piena: dovunque arriva un cristiano, nel quale vive Gesù come in Maria, lì fiorisce la gioia!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Beata colei che ha creduto (Lc 1,45)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi


giovedì 20 dicembre 2012

Testimonianze di santità diaconale [2]



Segnalo alcuni articoli apparsi sulla rivista Il Diaconato in Italia, n° 175, numero monografico dal titolo Testimonianze di santità diaconale. Articoli che ho riportato nel mio sito di testi e documenti.





Testimoni di santità diaconale (Contributo)
di Enzo Petrolino

(Alcuni stralci)
[…] Se la santità è una, le forme per concretizzarla sono molteplici. Secondo i doni e gli uffici propri di ciascuno. […]
La santità non è però una qualità individuale. Ognuno è chiamato come membro di un corpo. Da qui l'esigenza della dimensione ecclesiale: tutti siamo nella chiesa per aiutarci reciprocamente ad essere santi. […]
Ma come diaconi ci siamo santificati? Non fuggendo di fronte alle difficoltà. Strumenti utili: preghiera profonda, meditazione. Siamo santi quando riusciamo ad amare come Gesù. Lo specifico della santità diaconale? Stabilità dell'impegno ministeriale, serietà, cura verso i poveri. Infine, l'attenzione prioritaria verso la Parola, sia per la maturazione interiore che per quella sociale. Continuità nella vita liturgica e di preghiera. Il diacono non è se stesso se non è servo. Non risponde in pienezza alla sua vocazione di santità se non mette in opera la grazia di servire che ha ricevuto. Il dono diventa impegno, la santità sforzo di santificazione.
Il diacono si santifica servendo «i misteri di Cristo e della Chiesa» (LG 41). […]
[…] La santità specifica del diacono è quella propria della sua vocazione, ma anch'essa, come quella di ogni chiamata, segue la "misura alta" della proposta ordinaria di vita cristiana. […]
[…]   Leggi tutto…


La diaconia martiriale di san Lorenzo (Approfondimento)
di Giovanni Chifari

[…]
La diaconia di san Lorenzo.
Può una figura o un modello illustrare più in profondità il senso teologico del ministero ordinato, in questo caso del diaconato? Proveremo a rispondere presentando la testimonianza del diacono Lorenzo, la cui vita ed opere lasciano trasparire l'azione stessa di Cristo nel suo discepolo e la novità di vita per la quale egli ha offerto la sua esistenza al progetto della divina provvidenza. […]
Quale modello di santità?
[…] Non dobbiamo intendere la diaconia martiriale di Lorenzo come la grande testimonianza di un eroe o l'esito di un attacco motivato dall'odium fidei, ma come il sigillo dell'opera della grazia divina che mediante lo Spirito Santo sanciva adesso una donazione che era iniziata tanto tempo prima, con la conversione, la fede e la sequela di Cristo per amore, forgiando gradualmente una disponibilità che era divenuta assimilazione e conformazione, costantemente alimentata dall'ascolto della Parola, dal servizio eucaristico e dall'attenzione verso i poveri e gli ultimi. […]
[…] Il modello di santità diaconale che emerge dalla testimonianza profetica del martire Lorenzo è allora da rintracciare nell'inevidente quotidianità del suo discepolato, nella costante conversione a Cristo secondo una disponibilità che ha consentito allo Spirito Santo di completare la sua opera, offrendo mediante il proprio umile servo "nuove energie" alla sua Chiesa. […]
[…]   Leggi tutto…


Santità diaconale? (Riflessioni)
di Andrea Spinelli

Il punto di domanda non vi tragga in inganno, poiché non esprime alcun dubbio circa il fatto che anche i diaconi, come tutti i battezzati, devono essere santi. «Siate santi, poiché io sono santo» (Lv 11,44-45): l'invito del Signore è forte e chiara la motivazione. Dunque la santità è una chiamata universale, che oggi, forse più di ieri, abbiamo compreso non avere sorta di eccezioni: è banale, ma lo diciamo, dall' "ultimo" (passi l'attributo) cristiano, sperduto sulla faccia della Terra, sconosciuto ai più, ma ben conosciuto a Dio, il Santo dei santi, al fedele più in vista, al papa se vogliamo, la santità è un imperativo, una realtà costitutiva, conditio sine qua non!
Allora come possiamo ipotizzare una santità particolare? […]
[…]   Leggi tutto…



mercoledì 19 dicembre 2012

Al servizio dell'Annuncio


Al servizio dell'Annuncio – Vocazione e un evento di grazia.
Con questo titolo il settimanale Vita Nuova, della diocesi di Trieste, diocesi dove sono stato ordinato diacono ed alla quale sono particolarmente legato, nel numero del 14 dicembre u.s. ha pubblicato la notizia dell'ordinazione di due nuovi diaconi permanenti, Giorgio Bortelli e Gabriele Marucelli.
L'augurio più bello a questi nostri fratelli ed il ricordo speciale nella preghiera!


Così l'articolo di Francesca Gadaleta:

Nel giorno della solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria nella Cattedrale di San Giusto l'Arcivescovo, mons. Giampaolo Crepaldi, ha ordinato due nuovi Diaconi: Giorgio Bortelli e Gabriele Marucelli. Inizialmente, il Vescovo ha parlato di cosa davvero festeggiamo in questo giorno: la Madonna fu preservata dal peccato originale, che a noi tutti viene cancellato per mezzo del Battesimo. «Anche Maria, come noi, arrivò in un mondo immerso nel male e contaminato; ma in Lei, l'azione redentrice di Gesù Cristo, ha mostrato il massimo della potenza. Fin dal primo istante questa creatura fu in comunione con Dio; nessun dissidio interiore ha lacerato l'armonia del suo animo. L'ha tutelata anticipatamente da ogni male. La redenzione è stata per lei la medicina che previene il deperimento ed evita la ferita» ha detto l'Arcivescovo.
È in questo contesto che si è celebrata l'ordinazione di due nuovi Diaconi con i quali, attraverso l'omelia, mons. Crepaldi ha voluto ripercorrere le tappe del cammino della vocazione cristiana da loro compiuto. La prima chiamata che è stata loro rivolta è stata quella del Battesimo che ha tolto il peccato originale. Poi, sicuramente non meno importante, ha ricordato le famiglie in cui sono nati che hanno trasmesso loro la fede. Inevitabile ricordare la mèta che si è chiamati a raggiungere: «In chiesa si entra uno ad uno, chiamati per nome. Su di voi il giorno del Battesimo sono stati invocati i Santi per ricordarvi che siete chiamati alla santità». Ha ricordato, poi, che così come diceva Sant'Agostino: «Per voi io sono Vescovo, con voi sono cristiano». Così anche Giorgio e Gabriele sono chiamati a dire: «Per voi sono Diacono, con voi sono cristiano». Una seconda chiamata di Dio a Giorgio e Gabriele è stata quella al Matrimonio: assieme alle loro spose sono stati chiamati a divenire testimoni autorevoli, prima di tutto verso i propri figli. Il Vescovo ha voluto ringraziare le mogli per aver dato il consenso al diaconato dei mariti, affinché essi possano compiere i loro impegni diaconali. Ha ricordato loro che è nella propria famiglia che si è prima di tutto chiamati a creare una Chiesa domestica Come Diaconi sono invitati ad andare incontro anche alle altre famiglie, a coltivare la vocazione alla comunità cristiana. Essendo la nostra chiesa missionaria, sono però chiamati a svolgere opera di catechesi anche al di fuori, andando verso i più bisognosi, nelle scuole o negli ambienti di lavoro.
Infine ha parlato della vocazione alla quale in questo giorno sono stati chiamati. Ricordando che proprio l'8 dicembre del 1965 il Concilio Vaticano II ripristinò il Diaconato Permanente, mons. Crepaldi ha spiegato che il Diaconato è una chiamata e un evento di grazia. Il Diacono ha vari compiti, tra cui poter annunciare il Vangelo, predicare la Parola di Dio, distribuire l'Eucaristia, assistere e benedire il Matrimonio: è un Ministro di Cristo a tutti gli effetti al quale serve una continua crescita spirituale. Il diacono - vista anche l'etimologia della parola greca diákonos che significa servitore - è perciò chiamato a porsi a beneficio del prossimo: «Il Cristianesimo è servizio». L'intera vita del Diacono è richiamo costante a servire e seguire l'esempio di Cristo: che si adopera per gli altri, che proclama la Parola di villaggio in villaggio, che offre la sua vita in sacrificio. Dopo averli benedetti, il Vescovo ha affidato a Maria questa loro dedizione alla Chiesa e li ha invitati ad essere solleciti nel portare a tutti il Vangelo.



venerdì 14 dicembre 2012

La gioia di incontralo nel migliore dei modi


3a domenica di Avvento (C)

Appunti per l'omelia

Nella liturgia di questa domenica domina il tema della gioia. Il profeta Sofonia (cf Sof 3,14-17) esorta la «figlia di Sion», il resto di Israele rimasto fedele, a dare libero sfogo alla propria felicità, una gioia intensa ed incontenibile, perché Dio ha liberato il suo popolo e stabilisce la sua presenza in mezzo ad esso, come «salvatore potente». Una presenza efficace che rende forti contro ogni paura e scoraggiamento: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia».
Abbiamo appena celebrato la festa dell'Immacolata ed abbiamo contemplato Maria come la "vera figlia di Sion", vera rappresentante del "resto di Israele" ed in definitiva dell'umanità. Anche a lei, con le parole dell'angelo, sono rivolte le parole: "Rallegrati", "Non temere", perché "il Signore è con te". Grazie al Figlio che porta in seno, la presenza di Dio in mezzo al suo popolo raggiunge la sua perfezione somma ed inaspettata.
A questo pressante invito alla gioia fanno eco anche le parole di san Paolo a "rallegrarsi": non è una gioia qualsiasi, ma è "nel Signore", cioè nel Cristo morto e risorto, nel rapporto vitale con lui. Il suo invito lo rivolge dal carcere! È una gioia, allora, che nessuna prova e dolore è in grado di spegnere, una gioia non a intermittenza, ma senza interruzione: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti» (Fil 4,4). Ed è una gioia che porta il nostro cuore ad un abbandono fiducioso in Dio, in una confidenza con Lui dove le nostre preoccupazioni sono unite alla riconoscenza per i favori ricevuti: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti» (Fil 4,6). È una gioia frutto dell'amore.
In questo contesto vediamo Giovanni Battista (cf Lc 3,10-18), annunciando la buona novella al popolo, chiamare tutti alla conversione. Sono le "folle", i "pubblicani", "i soldati", gente comune o invisa ai più a causa della professione o gente di provenienza pagana come i soldati, i più, forse, lontani da Dio.
Ma hanno capito che se la conversione è ritornare al Signore e volgere a Lui interamente il proprio cuore, ciò deve avvenire in modo molto concreto. Ecco allora la domanda: «Che cosa dobbiamo fare?».
Chi ascolta la Parola non può limitarsi a dire: "Che bello! Interessante!", ma si chiederà: "Come non essere più quello di prima? Come cambiare la mia vita?". A tutti è data la possibilità di convertirsi. E la risposta del Battista è chiara e concreta: nessuna professione esclude la salvezza. Non si tratta di cambiare mestiere, ma il modo di esercitarlo. Anzitutto convertirsi significa praticare la solidarietà e la condivisione: «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha…»; significa rispettare la giustizia evitando ogni forma di sopruso e di sopraffazione, così per gli esattori delle tasse o per i soldati.
Preparasi col cuore sincero all'incontro con il Signore che viene, significa lasciarsi battezzare da Lui, essere cioè "immersi" nello Spirito Santo che è l'infinita vitalità di Dio, nel suo amore che è fuoco che purifica, trasforma e rigenera e che ci unisce intimamente a Lui. Egli però ha in mano anche il "ventilabro", espressione del suo giudizio.
Così, se davanti a noi è l'attesa per l'incontro con Gesù che viene, la nostra vita si colora di gioiosa speranza e di grande responsabilità: si tratta infatti di vivere per incontralo nel migliore dei modi.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
E noi che cosa dobbiamo fare? (Lc 3,14)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi




giovedì 13 dicembre 2012

La preghiera di intercessione, via alla santità ministeriale


Dal numero 175 della rivista Il diaconato in Italia, numero monografico dal titolo Testimonianze di santità diaconale, segnalo l'Editoriale di Giuseppe Bellia, La preghiera di intercessione, via alla santità ministeriale.
Riporto alcuni stralci, rimandando per l'intero articolo al mio sito di testi e documenti.

«…mi sembra che nel nostro tempo si debba privilegiare come santità ciò che è più conforme a Cristo; santo è chi imita il Verbo che si è fatto carne per darsi al mondo in puro dono, secondo quella toccante parola del vangelo di Giovanni dove Gesù, nel suo discorso di addio, grida al Padre: "Per loro io consacro/santifico me stesso, perché siano anch'essi consacrati/santificati nella verità" (Gv 17,19)».

«[Cristo] non ha interpretato e realizzato la consacrazione come distacco dal mondo, ma come immolazione volontaria a vantaggio del mondo. Anzi, in questo consacrarsi in favore del mondo è racchiuso il senso più autentico della missione apostolica, come anche del servizio ministeriale. Infatti, proprio in quell'inarrivabile pericope giovannea si legge: "Consacrali nella verità ... Come tu hai mandato me nel mondo anch'io ho mandato loro nel mondo" (Gv 17,17-18)».

«Giovanni trova opportuno e coerente inserire queste parole del Signore: "Se uno mi vuoi servire mi segua" (12,26), definendo così in modo nuovo il senso della santità richiesta al ministro della Nuova Alleanza. Cogliere il movimento unitario che lo Spirito imprime all'obbedienza del Figlio che, a beneficio dei suoi e di tutti gli uomini, si consacra all'amore del Padre, consente di estendere lo sguardo anche sulla reale natura della invocazione conclusiva di Gesù nell'ultima cena; il brano rivela che la sua preghiera sacerdotale si configura come potente preghiera d'intercessione. Una modalità di preghiera che rivela la mediazione salvifica di Cristo che illumina anche la natura del ministero cristiano; eppure, spesso, è obliata e sottostimata. Intercedere significa stare tra le parti, mettersi di mezzo, intromettersi per evitare incomprensioni, divisioni e fratture insanabili; è un interporsi per fare pace, per riconciliare».

«…la santità dei ministri si realizza nell'esercizio ordinario del loro ministero (PO 5). Essere per il mondo senza essere del mondo è la santità richiesta al discepolo e, a maggior titolo, al ministro inviato in missione. Questi, sostenuto dalla preghiera di Gesù che intercede presso il Padre, non deve separarsi come i leviti dal mondo esterno, ma operare per la salvezza del mondo secondo la sapienza rivelata da Cristo: "non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno" (Gv 17,15)».

«Non c'è nell'esempio lasciatoci da Cristo, e non ci dovrebbe essere nella vita della Chiesa, una mediazione stratificata e gerarchica che prevede un relazionarsi tra livelli corrispondenti di valore mondano, com'è diventato di abitudine nella prassi ecclesiastica; si accetta come qualcosa di naturale, di ovvio che l'alto clero abbia relazione con i potenti di turno, mentre ai preti di periferia e ai diaconi resta da mediare con poveri ed emarginati. Gesù ha santificato se stesso accettando l'impotenza assoluta della croce perché ha creduto che la sua mediazione sacerdotale si compiva per la sua obbedienza per mezzo dell'opera misteriosa dello Spirito».

Conclude con "l'intercessione del card. Martini": «Intercedere vuoi dire mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Non si tratta di articolare un bisogno davanti a Dio... stando al riparo... Neppure semplicemente assumere la funzione di arbitro o di mediatore, cercando di convincere uno dei due che ha torto e che deve cedere... giungere a un compromesso. Intercedere è un atteggiamento molto più serio e coinvolgente: è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione» (Verso Gerusalemme, 139).



venerdì 7 dicembre 2012

In cammino… crescendo nell'amore


2a domenica di Avvento (C)

Appunti per l'omelia

«Deponi, o Gerusalemme, le vesti del lutto e dell'afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre» (Bar 5,1). Con immagini scintillanti il profeta Baruc (5,1-9), invita Gerusalemme ad aprire il cuore alla speranza ed alla gioia, perché il popolo sta per ritornare da tutti i luoghi in cui si trova disperso, perché il Signore lo radunerà; anzi, si incarica di «spianare ogni alta montagna, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio». È il viaggio di ritorno, nella gioia, verso la patria, che sarà custodito e avvolto dalla presenza operante di Dio, dalla sua "gloria".
Ma la promessa di Dio ha cominciato a compiersi in modo vero e pieno quando Egli «ha visitato e redento il suo popolo» (Lc 1,68) attraverso il Messia Gesù. Per questo i cristiani, liberati da Gesù, sanno di essere loro i destinatari dell'annuncio di Baruc.
Come non riconoscere, allora, negli esuli di Israele che ritornano, la Chiesa quale popolo di Dio in cammino verso la casa del Padre e in Gerusalemme, che vede i figli riuniti dal Signore, la santa madre Chiesa?
Il Signore, lo sappiamo, già opera nella Chiesa e nei singoli credenti; ma è nella logica del suo amore che quanto ci dona fin d'ora raggiunga poi, nel tempo stabilito da Lui, una misura completa e sovrabbondante. Ciò avverrà nel «giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6), cioè nel momento della sua ultima venuta sia al termine della storia sia alla fine della vita per ciascuno, come ci ricorda san Paolo: «Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6).
Come possiamo allora capire se la nostra fede è autentica e cresce, se non sperimentando che il Vangelo che annunciamo non è un dono che ci illudiamo di poter "consumare" tra di noi, senza sentire il bisogno e la responsabilità di "diffonderlo"?
Il segreto di questo dinamismo della fede sta nell'amore. «Prego – scrive san Paolo ai cristiani di Filippi (cf Fil 1,9-11) – che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento»; una carità che non può accontentarsi della mediocrità, ma che tende a «distinguere ciò che è meglio» per attuarlo con prontezza. Questa carità ricercata e vissuta prima di qualunque altra cosa ci renderà «integri ed irreprensibili per il giorno di Cristo…, ricolmi di frutti».
È il cammino della conversione, quella conversione che Giovanni Battista propone nel preparare la venuta del Cristo. L'evangelista Luca (cf Lc 3,1-6) inquadra questo avvenimento in una cornice storica ben precisa, sottolineando così che quanto racconta non sono favole, ma una storia reale. Perché in Gesù, Dio si è realmente coinvolto nella storia dell'umanità operandone la salvezza. E Giovanni è il suo profeta, il suo battistrada che prepara il popolo ad accoglierlo.
È la parola di Dio che «venne su Giovanni nel deserto… per ogni uomo», senza escludere nessuno. Nel deserto: dove è più percepibile la ricerca dell'intimità con Dio e più reale l'essenzialità dell'ascolto della sua parola.
La parola di Dio mette in moto Giovanni che «percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati».
Seguire il Battista, accettare il suo battesimo ed essere immersi in quell'acqua, segno esterno di purificazione, comporta anche oggi, come allora, un riconoscere pubblicamente di essere peccatore, bisognoso del perdono di Dio e manifestare così la volontà di disporsi a ricevere tale perdono con una condotta di vita coerente.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! (Lc 3,6)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi


giovedì 6 dicembre 2012

Il sogno di Dio


Immacolata Concezione della B. V. Maria (8 dicembre)

Appunti per l'omelia

Oggi la Chiesa, l'intera famiglia dei figli di Dio, si stringe attorno a Maria nel celebrare un privilegio eccelso che il Signore le ha concesso: l'Immacolata Concezione.
Come possiamo intendere questo straordinario dono di Dio a Maria?
L'umanità, all'inizio del suo cammino, ha fatto naufragio nel rapporto con Dio: i primi uomini, lasciandosi ingannare dal Maligno, hanno rifiutato il Signore rompendo l'alleanza con Lui. Con la loro colpa hanno trascinato nello stato di lontananza da Lui anche i loro discendenti, perdendo il bene supremo dell'amicizia con Dio per sé e per noi. Come in una famiglia, quando i genitori fanno una scelta sbagliata, le conseguenze ricadono anche sui figli. Così, ogni uomo nasce con questa tragica eredità. Dio, però, nel suo amore misericordioso ha promesso fin dall'inizio la vittoria dell'umanità sul male e ha poi inviato il Salvatore, figlio di una vergine: Gesù, che col suo sacrificio ha liberato gli uomini dal peccato che li teneva schiavi lontano da Dio e li ha riportati in braccio al Padre.
Tutto questo, però, si realizza per ognuno nella misura in cui si unisce a Gesù nella fede e nei Sacramenti. È la realtà della Redenzione.
Maria anche lei è stata redenta da Cristo. Ma in modo unico e specialissimo: è stata liberata dal peccato in modo "preventivo", preservata cioè dall'esperienza stessa del peccato.
Noi tutti siamo stati liberati e tratti fuori per pura grazia dallo stato di inimicizia e lontananza da Dio. Maria è stata trattenuta dal precipitarvi. Non fu tirata fuori dal fango come noi, ma fu preservata dal cadervi. In lei rifulge, così, maggiormente l'opera della grazia di Dio: Maria è la prima redenta, redenta in modo sublime e singolare.
È l'Immacolata, la "senza macchia", la "tutta bella", proprio perché è il contrario del peccato in tutte le sue espressioni. È la creatura che appartiene a Dio nella forma più intensa ed esclusiva. Ella esprime la relazione con Dio nella forma più alta e vertiginosa, oltre ogni nostra immaginazione.
È la "tutta santa", la "piena di Spirito Santo", limpida trasparenza di Dio. È la " piena di grazia", amata da Dio in modo superlativo e fuori ogni misura, trasformata dal suo amore gratuito e resa accetta a Lui, piena di Dio fino a traboccarlo.
Maria è la creatura perfettamente realizzata nella quale l'umanità raggiunge ed esprime il meglio di sé. È il "fiore dell'umanità" e di tutto il creato. L'umanità, nella sua storia di luci e di ombre, di miserie e di fallimenti, è come un immenso stelo che però fiorisce in Maria. Questo fiore con la sua umile bellezza affascina lo sguardo di Dio, che - come attratto e sedotto - si piega su di lui: questo fiore, che diventa poi frutto: "il frutto benedetto del tuo seno, Gesù".

Il sogno di Dio nel creare l'uomo a sua immagine finalmente si realizza. Dio ricomincia da Maria, inizio della nuova umanità. Concedendo a Maria questo privilegio singolare, il Signore non ha voluto soltanto prepararla a essere "degna Madre del suo Figlio", ma ci assicura che quanto ha fatto per lei vuol farlo anche per noi, per la Chiesa, per tutti gli uomini.
Maria è veramente il sogno di Dio!



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Vedi anche:

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 5 dicembre 2012

Una "via" speciale


Siamo ai primi giorni di questo nuovo Avvento. Un anno liturgico si è concluso, accompagnati dal Vangelo di Marco, dove abbiamo potuto accostarci sempre più alla persona di Gesù e vederlo tutto proteso verso i poveri, gli ammalati, gli esclusi. E vederli guariti e riscattati. Iniziando il nuovo anno della Chiesa, dove mediteremo il Vangelo di Luca ed incontreremo le parabole della misericordia, mi sento richiamare all'essenziale della mia vocazione, ad approfondire sempre più il mio "essere per gli altri", in una diaconia che esprima, prima ancora le cose da fare o le opere da compiere, il modo di essere di Dio, che è amore, sull'esempio di Gesù. Un amore che faccia incontrare Dio, che mi porti all'unione con Lui.
Essere continuamente proiettato fuori, a contatto con tante persone, sul lavoro, nel servizio al prossimo… e desiderare sempre più l'intimità col Signore.
Ed è Gesù, che è maestro, a farmi sperimentare che proprio il mio prossimo, proprio lui che un tempo poteva essere visto come un ostacolo all'unione con Dio, diventa un'apertura, una porta per aprire un varco ed incontralo.
Certo, solo l'amore, quello che ha in Dio la sua radice, può operare il miracolo di non lasciarmi influenzare da tutto quel negativo che incontro nel mio stare con gli altri e non perdere la pace. È una ginnastica continua. È amare ogni persona che incontro, una ad una, tutta la giornata, con quell'arte di amare che è divina, perché possibile solo con l'amore infuso nel cuore dallo Spirito Santo.
Alla fin della giornata, nel momento di raccogliermi interiormente, posso sperimentare ed avvertire in fondo al cuore la presenza di Dio. E ringraziarlo con tutto me stesso, perché Egli è venuto in noi, perché noi siamo andati a Lui nei fratelli.
Il fratello, amato così, è veramente una "via" speciale per arrivare a Dio ed entrare nel suo Cuore.
Via nuova, moderna, che non mi costringe ad isolarmi per incontrare Dio, ma diventa una particolare strada per arrivare a Lui. È proprio vero, come ebbe a dire Giovanni Paolo II, che la via della Chiesa oggi è l'uomo.