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venerdì 4 maggio 2012

Rimanere in Lui, garanzia di fecondità


V domenica di Pasqua (B)

Appunti per l'omelia

Nella linea delle grandi rivelazioni solenni di Gesù nel IV Vangelo: «Io sono la luce… Io sono il pane della vita… Io sono la porta… Io sono il buon pastore… Io sono la via, la verità e la vita… Io sono la risurrezione e la vita…», nel vangelo di questa V domenica di Pasqua, Gesù si proclama: «Io sono la vera vite…». Nell'Antico Testamento Israele era la "vigna del Signore". Oggetto della cura assidua e amorevole; una vigna però sterile che non produce frutti. Ma ecco la grande novità: la vite produce ora i suoi frutti, perché tale vite, tale vigna è Gesù!
In Gesù si coniugano perfettamente il dono di Dio e la risposta dell'uomo. Infatti è sulla Croce che Dio arriva a morire per l'uomo; ed è sulla Croce che un uomo muore per Dio! Il Padre ha trovato in Gesù la docilità e l'amore che si attendeva dagli uomini.
Anzi è in Gesù con i suoi discepoli, nella misura che essi sono uniti a Lui, il nuovo popolo, la vera vigna del Signore: la comunità di coloro che aderiscono a Gesù come i tralci alla vite, oggetto della cura amorosa del Padre.
Ecco la risposta alla sterilità antica: la condizione essenziale per essere fecondi e non inaridire è il rapporto che i cristiani hanno con Gesù. I discepoli, infatti, portano frutto solo restando intimamente legati a Lui: «Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». È una questione di vita o di morte!
Portare molto frutto! Non si tratta di compiere chissà quale azione specifica o quale sforzo particolare: noi siamo già in Lui. La comunione con Cristo è un dono che abbiamo ricevuto già nel Battesimo. Noi siamo in Lui, un solo Corpo con Lui, come il tralcio è unito alla vite e forma un'unica pianta che porta frutto, ché la vite senza i tralci non produce uva. Per questo l'invito di Gesù è così pressante: «Rimanete in me e io in voi», perché «se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà fatto». L'appartenenza a Lui è inseparabile dall'attenzione costante alla sua Parola, quella Parola che ci rende "puri", quella Parola che, se vissuta interamente, sostituisce progressivamente la nostra vecchia mentalità, formando in noi la fisionomia dell'uomo nuovo, l'immagine dell'Uomo-Dio, Gesù: novità di vita che si manifesta nel nostro amarci gli uni gli altri, «non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità».
Ora, il nostro "rimanere in Lui" ed il suo "rimanere in noi" è lo stesso espresso dalla relazione trasformante tra Gesù e l'Eucaristia che riceviamo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui».
Ci è svelato il segreto della fecondità: nutrirci della Parola ed essere da Lei posseduti, e cibarci dell'Eucaristia ed essere trasformati in Colui di cui ci cibiamo.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto (Gv 15,5)
(vai al testo) - (pdf, formato A5)

Commenti alla Parola:
di Marinella Perroni (VP 2012)
di Claudio Arletti (VP 2009)
di Enzo Bianchi


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