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venerdì 9 dicembre 2011

La gioia di essere testimoni



III domenica di Avvento (B)

Appunti per l'omelia.

Anche in questa terza domenica di Avvento la figura di Giovanni Battista ci prepara ad incontrare Colui che, pur essendo già in mezzo a noi, noi non siamo sempre in grado di riconoscere: "In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" (Gv 1,26). La Parola di Dio ci invita ad accoglierlo con la gioia nel cuore, perché il Signore Gesù, colui che attendiamo, ci trovi vigilanti nella carità: è nell'amore infatti che lo possiamo riconoscere ed incontrare.
"Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie… Non spegnete lo Spirito…" (1Ts 5,16.18.19), ci rammenta l'apostolo Paolo.
Dio, che ci ha amati fin dall'eternità, vuole farci partecipi, nella gioia, di questo meraviglioso incontro.
È l'incontro con Colui che viene "a portare un lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di grazie del Signore" (Is 61,1,2).

Gli uomini del nostro tempo sono nell'attesa di un mondo nuovo. Ma anche ci chiediamo tutti, uomini e donne, se potrà mai esserci Qualcuno che darà pienamente senso alla nostra precarietà, alla nostra mancanza di libertà, ai nostri condizionamenti; se ci sarà posto per quella speranza che non fa intristire i nostri cuori e ci fa guardare in alto.
È ancora vero che ai miseri è annunciata una buona notizia e che le nostre piaghe saranno fasciate? Ci sarà qualcuno che renderà attuale questa profezia? E la nostra attesa potrà avere un senso?
Sono gli interrogativi di questo nostro tempo che ha perso il senso profondo del suo esistere e si interroga, giustamente, se coloro che si presentano come annunciatori di novità e di speranza sono in grado ancora, e non solo a parole, di rendere giustizia di questa attesa.
I cristiani di oggi sono testimoni di quella luce che guida ed indica la strada? Anche oggi ci viene chiesto di mostrare la nostra identità, di spiegare se i gesti che mettiamo in essere sono appannaggio di potere o sono servizio all'umanità.
Abbiamo la coscienza di essere "voce" di Colui che viene, "voce" di Colui che è la "Parola" che tutto crea e tutto rinnova?
Se siamo "voce che grida nel deserto", è per preparare la strada alla "Parola che deve prendere carne", con la coscienza che noi non siamo la Parola, "e che non siamo degni nemmeno di slegare il laccio del sandalo di Colui che viene" (cf. Gv 1,27).
Il nostro, di cristiani coscienti della nostra missione nel mondo, è il servizio di colui che è servo, che sa lasciare il posto al suo Signore, che sa fare spazio alla sua presenza, che sa scomparire perché Lui solo sia quella Luce che illumina il mondo.
È essere quel "nulla" d'amore, che è un "pieno" di vita, di gioia, di grazia nello Spirito.


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