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venerdì 29 aprile 2011

Adeguare il servizio ai tempi


Ho riportato nel mio sito di testi e documenti la testimonianza del diacono Roberto Bernasconi, di Como e direttore della Caritas diocesana, apparsa sul n° 163 della rivista Il diaconato in Italia, dal titolo Adeguare il servizio ai tempi.
Si tratta appunto dell'esercizio di una diaconia che è attenta al tempo presente ed all'ambiente dove viene esercitata.
Ne riporto alcuni passaggi.

«La giornata di un buon diacono non è fatta solo di un serio cammino di studio, spirituale e di preghiera, che pure è indispensabile, non è nemmeno una riscoperta del ministero legata a un percorso rivendicativo, che spesso ci vede impegnati all'interno delle nostre comunità a trovare quella visibilità che ci permetta di far capire il valore del nostro ministero per il servizio a tutta la comunità. Permettetemi questa sottolineatura: tante volte questa nostra rivendicazione ci allontana, più che avvicinarci, dalle nostre comunità, perché in questo nostro voler distinguerci nel ruolo che ci compete rischiamo di creare ulteriori steccati piuttosto che abbatterli, rischiamo di diventare non uomini di servizio, ma uomini da dover servire».

«La riscoperta del mio ministero diaconale la sto realizzando soprattutto attraverso la vita vissuta, che mi ha messo in condizione di stare in stretto contatto, quindi di condividere, di far mia, la vita di tanti fratelli che hanno una esistenza travagliata che è difficile da condividere, perché faticosa, perché complessa, problematica, perché fatta di tante cadute, perché ci fa avvicinare persone di cultura o di religione diversa, ma bisognose di essere capite, ascoltate. Sento il bisogno di accogliere e di condividere queste esistenze, perché sono la vita di uomini e donne che stanno inserite nel grande progetto di Dio sull'umanità. Dio si manifesta attraverso la vita di tutti gli uomini e soprattutto di chi è ultimo, di chi è dimenticato, di chi è emarginato…».

«Il rischio concreto che le nostre parrocchie vivono nel nostro tempo è quello di perdere il contatto con la realtà, con la quotidianità, con l'uomo comune a favore di una chiusura in presunte certezze che svuotano di senso tutto quello che la comunità a livello liturgico, di catechesi, ma anche di servizio caritativo riesce ad esprimere, perché fondamentalmente non sono rivolte all'uomo. Le nostre comunità diventano così poco significative, poco incisive sui problemi reali vissuti dalla gente, si limitano spesso a creare delle strutture di aiuto, di distribuzione di viveri o altri generi, ma quasi mai si sentono impegnate in un cammino di approfondimento, di conoscenza delle povertà…».

«Le nostre parrocchie devono diventare luoghi accoglienti in cui l'attenzione massima deve essere data innanzitutto alla persona, qualunque sia la sua provenienza, il suo ceto. Attraverso il dialogo sincero che nasce da questa accoglienza le nostre comunità devono farsi carico dei problemi, delle aspettative, devono diventarne il portavoce, diventare luoghi dove la vita con i suoi problemi reali abbia la possibilità di confrontarsi con la Parola, con la dottrina sociale della Chiesa e il frutto di questo confronto siano proposte concrete che portino ad una civile convivenza».

«Il mio servizio alla carità mi ha fatto capire che uno dei compiti del diacono che è ministro della Parola e della Carità, è anche quello di essere ministro della soglia, ministro della accoglienza. Deve il diacono saper vivere questo suo ministero della soglia a nome e per conto della comunità, ponendosi al di fuori, sulla porta, aperto al mondo, ma con un occhio rivolto alla comunità che deve saper stimolare, che deve saper guidare e deve saper rappresentare in questa accoglienza e con un occhio al mondo dove gli uomini e le donne vivono e faticano e spesse volte, quando sono in difficoltà, si nascondono per paura, per pudore».

«Noi, accettando il nostro ministero diaconale, ci siamo accollati una grossa responsabilità di cui dovremmo rendere conto a tutta la comunità. Il ruolo che noi possiamo svolgere e che ci è dato anche dal nostro stato di vita, che ci porta ad essere nel mondo, mentre contemporaneamente siamo ministri della Chiesa, è importante per questo nuovo rapporto tra le varie culture. Questo ruolo può aiutare la nostra Chiesa a scoprirsi Chiesa ministeriale, a diventare Chiesa che si rende consapevole di essere nel mondo non per dominarlo ma per mettersi a servizio di tutti gli uomini».

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