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venerdì 27 agosto 2010

La beatitudine della gratuità

29 agosto 2010 – 22a domenica del Tempo Ordinario (C)

Parola da vivere

Sarai beato perché non hanno da ricambiarti (Lc 14,14)


La Parola di questa domenica ci invita alla scelta di metterci "all'ultimo posto per servire". Il primo posto compete solo a Dio che ama circondarsi di poveri ed emarginati. Lo riconosciamo come Padre degli umili, ai quali viene annunciata la bella notizia della sua vicinanza. Anche noi per "essere grandi" possiamo scegliere l'ultimo posto e sull'esempio di Gesù farci servitori di tutti. Il nostro rapporto con il prossimo deve rispecchiare quello di Gesù, che ci chiama a comportarci con gli altri come Lui si è comportato con noi. La scelta, l'impegno e il servizio cristiano per i poveri non sono strumento di dominio a buon mercato; non sono neanche uno sgravarsi la coscienza da sensi di colpa. Scaturiscono invece dalla conoscenza di Dio, che ha scelto i poveri e si è identificato con loro. Il povero è il "luogo" per eccellenza dove noi possiamo incontrare Dio. Per questo Gesù ci dice "beati".
A prima vista sembra una strana beatitudine, ma è vera: è la somiglianza con Dio, che è amore gratuito, che è grazia e misericordia. Non esige contraccambio, ma è contento che partecipiamo alla sua vita divina. La carità come "amore gratuito", che dà il primo posto al povero, è essenziale al nostro esser cristiani: per amore del Padre e per amore di Gesù. Mettere l'altro al primo posto: stimarlo, facilitarlo nel lavoro, aiutarlo, capirlo quando sbaglia, gioire dei suoi successi... perché l'altro, ogni altro, è mio fratello, è mio corpo. Questo ha fatto Gesù. E l'amore per Lui è pienezza di vita e di beatitudine.


Testimonianza di Parola vissuta


Eh sì, siamo una classe tutta intera, di un piccolo paese al centro Italia. Lo scorso anno abbiamo lavorato intensamente per raccogliere materiale scolastico da inviare a dei ragazzi oltre oceano.
Siamo riusciti a raccogliere 12 scatoloni stracolmi di materiale, che abbiamo chiamato: «Scatole del Dare». Che gioia quando abbiamo visto gli amici della Repubblica Dominicana usare questi quaderni, matite, astucci...
Alla base di questa nostra esperienza abbiamo messo proprio l'amore reciproco. Vivendo infatti la Regola d'Oro: «Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te», abbiamo cercato di vivere nelle attività che facevamo questa semplice e fantastica norma. Ognuno di noi ha coinvolto anche tante altre persone, sperimentando così che questa Regola d'oro è davvero contagiosa.
Tanti nella scuola hanno voluto partecipare a questo nostro invito, e siamo riusciti a coinvolgere anche le nostre famiglie...

(I Ragazzi di Cecchina (RM))

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)
(vedi Commento alla Parola di Claudio Arletti)



domenica 22 agosto 2010

Quella porta stretta!


Mi ritorna sempre alla mente il pensiero di questa "porta stretta" di cui parla Gesù nel vangelo. Anzi, mi immagino la scena di quella folla che si accalca per poter entrare nell'unica porta che conduce alla vita. Molti, come spesso succede, fanno i furbi cercando di entrare per una porta laterale, secondaria. Ma non c'è… O meglio, loro credono che ci sia, ma poi s'accorgono che hanno sbagliato strada e tornano indietro, ma è troppo tardi… Oppure si perdono, allettati da altre mete.
Certo, quella porta è "troppo" stretta per tutta quella moltitudine…
Ma Gesù si è identificato per quella porta; anzi è lui stesso quella porta stretta.
Il fatto che sia stretta, rimanda sicuramente alla difficoltà per potervi entrare, magari alle penitenze che bisogna fare… Tutto vero.
Ma a me piace vedere che quell'essere "stretto" non è nient'altro che il "nulla d'amore" di Gesù attraverso il quale tutti passano. Egli si è fatto nulla, si è svuotato, quale perfetto "diacono" del Padre… Ed in quel nulla ci passano le moltitudini…
Anche noi, che lo vogliamo seguire, abbiamo l'ardire di fare la stessa scelta di "svuotamento", sperimentando la "strettezza" di quella Porta, che altro non è se non il nulla d'amore di un Dio fattosi come noi. E ci troviamo al di là, nel seno del Padre…
È l'invito a farsi "vuoto" davanti ad ogni prossimo… e questo costa fatica…
La Chiesa è strumento di quella Porta di salvezza. Per essa passerà la moltitudine delle genti, se i suoi membri sapranno, sulle orme del loro Fondatore, farsi quel "vuoto" d'amore che tutti accoglie.


sabato 21 agosto 2010

Nella volontà di Dio, libertà piena


Mi è passato tra le mani uno scritto di Silvano Cola che parla dell'obbedienza come libertà da se stessi. Il pensiero è pubblicato sul 3° volumetto Come il Padre…, riportato anche nel mio sito di documenti e testi, in occasione dell'anno sacerdotale.
Ecco il testo:

«L'obbedienza è povertà di se stessi. Si dice che è la cosa più difficile, perché è ancora facile rinunciare a qualcosa o a qualcuno che sono sempre "fuori" di me, ma rinunciare a se stessi sembra arduo.
Forse è perché non abbiamo capito quanto sia necessaria e costruttiva questa rinuncia: perché i condizionamenti più forti alla nostra libertà ci vengono proprio dall'attaccamento a noi stessi. Perché siamo portati, in quanto creature, ad affermare noi stessi nei confronti degli altri, mentre la legge della vita è proprio negarsi per affermare l'altro. (...)
Cos'è in definitiva l'obbedienza? È totale carità. Quando sei totalmente amore, (...) non fai più la tua volontà, ma quella dell'altro, non scegli più la tua iniziativa personale ma cerchi di promuovere l'iniziativa dell'altro. E se per caso l'altro prossimo che ti sta accanto o che vive con te fa la stessa cosa nei tuoi confronti, in questo scambio di amore c'è l'Amore.
Allora non è più la tua iniziativa o l'iniziativa dell'altro, la tua volontà o la volontà dell'altro che vengono in evidenza, ma la volontà di Dio».

La volontà di Dio!

Allora, mi sono detto, non è tanto fare o non fare questo o quello, quanto piuttosto abbandonarsi totalmente all'abbraccio paterno/materno di Dio. Ed in Lui, respirare l'aria del Paradiso. Non mi chiedo più se fare o non fare quanto mi viene chiesto, ma, perso nel respiro di Dio, mi sento parte della Sua presenza nel mondo.
È come tuffarsi nell'acqua…

Fabio Ciardi l'ha descritto molto bene nel suo blog: «Vai nell’acqua ed essa si apre, ti accoglie, ti avvolge. Come tuffarsi in Dio, direbbe Jan Dobraczynski: "Vi sono misteri nei quali bisogna avere il coraggio di gettarsi, per toccare il fondo, come ci gettiamo nell’acqua, certi che essa si aprirà sotto di noi. Non ti è mai parso che vi siano delle cose alle quali bisogna prima credere per poterle capire?"».

È proprio così! E solo con Lui lo puoi fare!

venerdì 20 agosto 2010

Gesù è la porta!

22 agosto 2010 – 21a domenica del Tempo Ordinario (C)

Parola da vivere


Sforzatevi di entrare per la porta stretta (Lc 13,24)


Il Regno di Dio è certamente dono che va accolto con fede. Questa accoglienza impegna la vita del discepolo in una scelta continua. "Sforzatevi di entrare per la porta stretta": possiamo capire questa immagine guardando all'esempio di Gesù, che dona la sua vita fino alla fine. La porta è Gesù: attraverso di Lui tutti gli uomini sono salvati. Ognuno può entrare. Unico biglietto di ingresso è l' ''aver bisogno". Per entrare basta riconoscersi peccatori davanti al perdono di Dio: nessuno si salva per i propri meriti, ma tutti siamo dei salvati. La salvezza è un dono. Costa solo la fatica di aprire il cuore e la mano per accoglierlo. Ma è una lotta grande, perché spesso il cuore è duro e la mano è paralizzata (Lc 6,6). Il dono non toglie l'iniziativa. E la prima grande iniziativa è di farci piccoli, umili, capaci cioè di vivere soltanto della sua misericordia, gioiosi di vivere di Dio e della sua grazia.
La porta è detta "stretta" perché l'io e le sue presunzioni non vi passano. La porta stretta della salvezza richiama la necessità della effettiva corresponsabilità di ciascuno: bisogna fare come se tutto dipendesse da noi, sapendo che tutto dipende da Dio. Il cristiano è sempre un chiamato che accoglie il richiamo del Signore a varcare la porta stretta in diversi modi: nella gioia, nel dolore, nell'impegno costante al suo dovere, nella vita di comunità e di singolo fedele. Prendiamo sul serio l'offerta della salvezza che il Signore ci fa e affrettiamoci, corriamo: ora, qui, subito devo decidermi per Te.



Testimonianza di Parola vissuta


Abbiamo una società immobiliare dove lavoriamo con tre impiegati.
Un lavoro impegnativo che ha alti e bassi e che cerchiamo di condurre con serietà e serenità.
Un giorno ci è arrivato un fax anonimo che ci rinfacciava tanti nostri difetti e sbagli commessi. Aggiungeva poi che non meritavamo di avere una figlia come la nostra e tante altre cose molto spiacevoli.
Insieme alle figlie abbiamo analizzato la lettera e abbiamo concluso che non importava sapere chi ce l'aveva mandata; intanto noi potevamo cominciare a perdonarlo come dice il vangelo e coglierla come un invito a diventare migliori. Non erano vere le accuse contenute nella lettera, ma certo non siamo perfetti. Così quello che in un primo momento sembrava poter dividere e danneggiare la nostra famiglia, si è mutato in una occasione positiva di unità.

(G.L.S. - Colombia)


(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)
(vedi Commento alla Parola di Claudio Arletti)



mercoledì 18 agosto 2010

Uomini di speranza


Davanti alla situazione attuale di una Italia in cui si fa fatica a dialogare, l'editoriale di mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), apparso su Avvenire del 15 agosto scorso, mi ha riportato a quanto altre volte ho scritto su questo blog riguardo alla rivitalizzazione dei cristiani che cercano di essere presenti nel vivere comune.
È l'attuazione di quella diaconia che dà sapore al nostro appartenere alla comunità degli uomini, è quel sale evangelico che i cristiani sono chiamati ad essere, prima di tutto (e soprattutto) con la propria vita e testimonianza.
Mons. Crociata parla di "persone rinnovate", prima che di programmi. E si chiede “come uscire da tale situazione" e da un certo "andazzo che rimpicciolisce il nostro cielo, rendendo irrespirabile la convivenza".
"Bisognerebbe innanzitutto intendere l’indole spirituale del malessere che ci affligge: siamo poveri di idealità, di pensiero, di orizzonti, di speranza”.
"Ci ricorda Benedetto XVI: «Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune»".

La comunità cristiana è pienamente tale se è il luogo privilegiato di questa porzione di umanità rinnovata, in cui si attua quella diaconia, quel servizio reciproco che è carità che porta all'unità.

"Dobbiamo imparare a scrutare - conclude mons. Crociata nel suo editoriale - ciò che avviene nel tessuto molecolare di una società che custodisce riserve e fermenti di comunione, e spesso sente il bisogno di proteggersi dal chiasso superficiale e dalla dispersione caratteristica della spettacolarizzazione di massa. In quei fermenti troviamo, insieme a un segno di speranza, l’invito a coltivare l’arte di rientrare in se stessi e scoprire inedite possibilità di incontro e di alleanza per trasformare dal di dentro una società che appare a volte insensata".


domenica 15 agosto 2010

Il nostro luminoso destino


Guardo a Maria assunta in cielo in anima e corpo, cioè nella sua totale esistenza, e contemplo in lei il luminoso destino, nostro, dell'umanità intera.
Il commento che Caudio Arletti ne fa esprime molto bene questa consolante verità. Ne riporto alcuni passi.

« (…)
Nell'Assunzione al cielo non vediamo ciò che la comunità cristiana deve essere, ma ciò che sarà per pura grazia di Dio. (…)
Oggi è molto difficile percepire la vita cristiana nella sua totalità, inclusa la morte e la vita eterna. (…) Tutto sembra consumarsi in questo orizzonte terreno fino a quando l'età o la malattia non presentano davvero alla nostra coscienza il problema della finitudine umana. (…)
Spesso crediamo erroneamente che la vita eterna inizi dopo la morte e che noi vi entreremo quando ci saremo presentati al cospetto di Dio.
Ma se così fosse, la vita eterna non sarebbe tale, avendo un inizio con la nostra morte. Se è eterna deve essere da sempre, senza avere un principio. Non possiamo essere noi a entrare nell'eternità, ma deve essere l'eternità, che ci precede, a entrare nella nostra concreta esistenza storica. (…)
La vita eterna consiste nell'amore pienamente realizzato e compiuto. Scrive san Giovanni nella sua prima lettera che chi ama, è passato dalla morte alla vita (1Gv 3,14). Al contrario, il nostro percorso sembrerebbe andare dalla vita alla morte. È l'amore che conferisce ai nostri atti e ai nostri gesti un valore eterno. Tutto quanto è avvolto dall'amore, come dalle bende che avvolsero il corpo di Cristo nel sepolcro non può conoscere la fine. Se l'amore non avrà mai fine, ogni gesto d'amore, ogni oggetto che rende strumento d'amore per Dio e i fratelli è già parte della vita eterna la quale entra nel nostro quotidiano salvando e permeando di sé tutto quanto è impregnato d'amore.
(…)
Vivere protesi al futuro pieno di Dio non significa ignorare il fratello che domanda il mio aiuto qui, ora. Perché tutto l'amore che vivo qui, da subito, è già vita eterna. Ritroverò tutto l'amore che ho vissuto e tutto ciò che ho fatto con amore in paradiso. Non può conoscere la fine né la consumazione. Noi risorgeremo assieme a tutto ciò con cui abbiamo amato gli altri. Per questo le nostre relazioni non sono un passatempo di questa vita, ma il tessuto che costituirà la nostra esistenza definitiva. Non si tratta solo di ricevere il premio eterno. È molto di più. È la vita senza fine di Dio che colora i miei giorni e prende possesso dei frammenti più luminosi del mio agire. (…)».
Così è di Maria!
«Non lei è entrata nell'eternità. Ma l'eternità, che è da sempre, è entrata in lei. Per questo non ha conosciuto la corruzione del sepolcro. In lei splende il nostro luminoso destino».

venerdì 13 agosto 2010

La beatitudine della Fede

15 agosto 2010 – Assunzione di Maria

Parola da vivere

Beata colei che ha creduto (Lc 1,45)


In mezzo alle delusioni, alle sofferenze e alle persecuzioni del tempo presente, la celebrazione dell'Assunta ci invita a guardare a Maria come segno di sicura speranza e a vivere in questo mondo costantemente orientati ai beni eterni. La fede nella presenza del Signore che sostiene il nostro cammino e la carità che riempie il cuore della presenza di Dio e rende vicini ai bisogni delle persone, permettono all'uomo di alimentare la speranza nella realizzazione delle promesse di Dio. Per la fede l'uomo tutto intero si consegna a Dio accogliendo ciò che Lui ha fatto conoscere. Per la fede di Maria si compie l'opera della Salvezza: arriva a noi il Figlio di Dio. Per la sua fede Maria è detta beata: beata perché crede alla Parola di Dio. È la prima beatitudine, quella fondamentale: la fede nella promessa, che permette al Signore di vivere "oggi" nel credente che lo ascolta. La beatitudine di Maria è condivisa da ogni credente che ascolta e fa la Parola.
La Parola va accolta come essa veramente è, quale "Parola di Dio che opera in voi che credete" (1Ts 2,13).
E sappiamo che Dio parla a noi in tanti modi. Ci visita più spesso di quanto immaginiamo. Si fa presente lungo le nostre giornate con un'ispirazione, in una persona che ci passa accanto, nel momento della preghiera, in un fatto che ci capita, in una pagina della Scrittura, nella vita di quel santo. Per questo è importante vigilare, aspettare ogni sua visita con trepidazione a riconoscere con fede la sua presenza.


Testimonianza di Parola vissuta


Quando M. mi disse che si era accorta del mio tradimento, era l'immagine della desolazione. Quel mattino mi resi conto di aver rovinato tutto: la mia vita, la sua e quella del nostro bambino. Mi pareva impossibile rimediare, e così andai in ufficio con questo strazio dentro, e con la paura di quello che sarebbe successo tornando a casa la sera. Per tutto il giorno pensai a cosa dire, a come difendermi.
Quando suonai il campanello di casa la porta si aprì subito. M. era lì, serena, dietro di lei la tavola per la cena era imbandita come per un giorno di festa… Tutte le difese che mi ero preparato crollarono di colpo. Niente avrebbe potuto ferirmi quanto quell'accoglienza. Capii che M. mi consentiva di ricominciare.
Da lì, con fatica, è rinato il nostro matrimonio.

(T.O.)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)
(vedi Commento alla Parola di Claudio Arletti)


mercoledì 11 agosto 2010

Solo Dio!


Quando Chiara scappò di notte per seguire Francesco, il santo le chiese: "Chiara, cosa vuoi?". "Dio!", rispose senza esitazione. E lo scelse nella radicalità di una povertà che non fu solo materiale, come Gesù che sulla croce si spogliò di tutto, persino di Dio.
Solo Dio! Questa è anche la nostra chiamata.
La liturgia che quest'anno accompagna la festa di santa Chiara propone il vangelo di Matteo (18,15-20), un brano in cui è manifesta la dimensione ecclesiale della sequela.
È nella comunità che incontro pienamente quel Dio che mi si è manifestato come amore e che chiede a me, a tutti, una radicale reciprocità nell'amore quale garanzia per il dono della sua presenza in mezzo a noi.
È questo il dono che santa Chiara ci fa: spogliarci di tutto, di tutto il nostro io; uscire fuori da sé per essere l'altro; e nell'altro ed in me incontrare lo stesso Gesù che è in me ed è nell'altro e che ci fa uno: è in mezzo a noi, è noi, noi Lui.
Chiara Lubich nel suo libro L'Arte di amare scrive: "Occorre essere sempre pronti a morire per il fratello, e quanto facciamo, momento per momento, per dimostrargli concretamente il nostro amore, deve essere animato, sostenuto da questa volontà, da questa decisione. Solo un amore così piace a Gesù: non un qualche amore, non una patina d'amore, ma un amore così grande da mettere in gioco la vita.
Amando così si vive completamente "fuori di noi", si abdica interamente a noi stessi e, se siamo in più di uno ad agire così, si può sperare di abdicare in favore del Risorto, che potrà vivere fra noi. Egli, infatti, non si fa pienamente presente dove c'è un po' d'amore, ma dove si è uniti nel suo nome, e cioè in Lui, secondo la sua volontà che è amare come Lui ha amato".


martedì 10 agosto 2010

San Lorenzo, il martirio di oggi


"Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto". Così dal vangelo della festa odierna del martire san Lorenzo, diacono della chiesa di Roma. Sant'Agostino lo chiama "ministro del sangue di Cristo" e "per il nome di Cristo versò il suo sangue".
La diaconia a cui siamo chiamati porta il frutto che Dio vuole solo se effettivamente è testimonianza di quel dare la vita, che è l'essenza della vera carità.
Se nel mio servizio pastorale riscontro questa mancanza di frutti, se la presenza del diacono nella comunità ecclesiale è spesso relegata a funzioni marginali non significative del sacramento ricevuto, è forse il caso di chiedersi se personalmente e come comunità diaconale siamo veramente "ministri del sangue di Cristo" e il nostro "dare la vita" frutta nella comunità quella vita che trova nella reciprocità dell'amore la sua massima espressione.
Ma, scrive Chiara Lubich nel suo libro L'Arte di amare, "l'amore reciproco, così come Gesù lo chiede, comporta un vero martirio. Esso infatti domanda di amarci tra noi fino al punto di essere pronti a morire l'uno per l'altro. E questo è martirio, un martirio bianco, se vogliamo, ma vero, perché domanda la vita. È un martirio quotidiano, anzi, di momento per momento. Forse, nonostante tutta la nostra buona volontà, non l'abbiamo vissuto proprio così. Ma solo in tal modo siamo veri cristiani, raggiungiamo la perfezione, appunto come i martiri; e con essa l'unione con Dio, la presenza piena di Cristo in noi".
Quando si fa questa esperienza, sia pur minima, si coglie tutta la potenza dell'amore di Dio e con esso quella "pazienza" che ti fa "perseverare fino alla fine".


lunedì 9 agosto 2010

Misteriosa reale solidarietà


Festa di santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein.
Pensando alla nostra chiamata a partecipare nella comunità a quella presenza dell'Amore di Dio, che si manifesta nel Cristo che si è fatto solidale con noi, mi è di particolare luce questo pensiero della santa di oggi:

«Chi appartiene a Cristo deve vivere fino in fondo tutta la vita di Cristo. Deve crescere sino alla maturità di Cristo, (...) passare per il Getsemani e per il Gòlgota. E tutte le sofferenze che possono venirgli dall'esterno sono nulla a paragone della notte oscura dell'anima, quando la luce divina non brilla più e la voce del Signore non si ode più. Dio è sempre là, ma sta nascosto.
Le sofferenze e la morte del Cristo proseguono nel suo Corpo mistico, e in ognuno delle membra di esso. Soffrire e morire è il destino di ogni uomo. Ma se egli è un membro del Corpo mistico di Cristo, il suo soffrire e il suo morire assumono per tramite della divinità del capo un valore espiatorio, co-redentivo. (...)
Così, colui che è legato a Cristo persevererà inconcusso anche nella notte oscura della soggettiva lontananza da Dio e assenza di Dio; forse l'economia divina della salvezza impiega i suoi tormenti per liberare qualcuno che è oggettivamente incatenato dal peccato. Perciò voluntas tua! Anche, e anzi proprio in seno alla notte più tenebrosa».

(Edith Stein, La vita come totalità, Città Nuova, Roma 1990, pp. 204-205)



domenica 8 agosto 2010

Diaconi di Gaeta, ritiro spirituale


I diaconi in ritiro spirituale a Cappadocia in Abruzzo

I diaconi della diocesi di Gaeta hanno svolto il loro ritiro spirituale annuale a Cappadocia in Abruzzo, nei pressi di Avezzano.
L'inserto di Avvenire, Lazio Sette, di domenica 25 luglio 2010 ne ha riportato il resoconto del diacono Vincenzo Testa, di quella diocesi.
Gli esercizi spirituali sono stai guidati dal diacono Enzo Petrolino, presedente dell'Associazione del diaconato in Italia.
Voglio proporre ai lettori di questo blog la parte centrale di quell'articolo, data l'importanza dell'esperienza vissuta da quella comunità diaconale.

« (…)
Petrolino, con il suo piglio di simpatia ha saputo trasmettere con profondità una serie di meditazioni che hanno avuto per oggetto il vissuto concreto dei diaconi nel contesto del loro stato di vita. In particolare, Enzo Petrolino, che conosce profondamente la realtà dei diaconato italiano e le sue peculiarità con pregi e difetti, ha offerto una serie di riflessioni che hanno toccato l'esercizio del ministero alla luce anche della realtà matrimoniale che rappresenta per i diaconi coniugati una ricchezza e un sostegno di straordinario rilievo.
Il vissuto in famiglia con le sue gioie, le sue speranze. e le sue sofferenze, infatti, costituisce una palestra unica all'interno del quale impiantare e far vivere la ministerialità diaconale: il servizio che il diacono è chiamato a rendere visibile.
Proprio il servizio ministeriale dei diaconi è stato al centro di una meditazione che ha fatto intravedere come nel quotidiano ritenuto da alcuni anonimo ed indistinto cresce e matura, invece, una realtà vera e profonda all'interno della quale la vita offerta si fa martirio e pane spezzato per la vita stessa della comunità.
Il diacono, quindi, chiamato a rendere visibile il Cristo Servo, è colui il quale con semplicità e fedeltà deve saper testimoniare la presenza di Cristo in un mondo dove la fede si fa sempre più rara e poco espressa nel contesto sociale. Il diacono, uomo di Chiesa che vive nel mondo con tutte le ansie, le problematiche, le gioie è, perciò, l'espressione di qualcosa di unico e insostituibile all'interno del corpo di Cristo che è la Chiesa. Una Chiesa senza diaconi è una Chiesa monca.
La partecipazione a questi esercizi spirituali è stata numerosa e nutrita è stata anche la partecipazione delle mogli che hanno avuto la possibilità di realizzare momenti di confronto per riflettere sul loro ruolo a fianco del marito. Insomma, questi esercizi 2010, sono stati una esperienza significativa che di certo ha permesso ai diaconi e alle loro spose di fermarsi un po' e di prepararsi per il prossimo anno pastorale con una consapevolezza maggiore della loro necessità all'interno di un corpo ecclesiale che deve vivere con tutti e di tutti i suoi organi.
(…) ».

venerdì 6 agosto 2010

Il nostro tesoro

8 agosto 2010 – 19a domenica del Tempo Ordinario (C)

Parola da vivere

Fatevi un tesoro sicuro nei cieli (Lc 12,33)


Ancora una volta la Parola di questa domenica ci invita a seguire il Signore: oggi l'invito è ad una povertà volontaria per il regno di Dio. L'appello alla povertà è appello a dare sempre il primato, nella nostra vita di cristiani, al regno di Dio. Espressione questa che dice la nostra possibilità di fare esperienza dell'amore infinito del Padre. La vita non dipende né da ciò che abbiamo, né da ciò che non abbiamo, bensì da ciò che siamo: figli di Dio. Mentre l'uomo in genere accumula con affanno quando ha e si agita quando non ha, il credente dona quando ha e lavora quando non ha. Ma senza inquietudine, con fiducia, perché sa che Dio è la sua vita. I beni sono mezzi, non il fine della vita. Chi tesorizza per sé, perde la vita e non arricchisce davanti a Dio. Chi invece dà, arricchisce davanti a Dio della ricchezza stessa di Colui che è ricco in misericordia.
Il tesoro vero non è ciò che hai, ma ciò che dai. Questo non viene meno neanche nella morte, perché, dice il libro dei Proverbi "chi dà al povero fa un prestito a Dio". Se uno è distratto, preso da una preoccupazione, nemmeno sente il campanello. Se uno invece aspetta una persona amata è vigilante, è subito pronto. È sempre questione di cuore. Perché: dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Se "nostro tesoro" sono "le cose di lassù", il nostro cuore è tutto preso dal cielo, da ciò che rimane per sempre.



Testimonianza di Parola vissuta


Una sera tornando a casa ho visto le mie figlie preoccupate perché una parente era venuta a chiedere un po' di zucchero portandosi via quel poco che avevamo. "Non preoccupatevi – ho detto loro – dobbiamo darlo con generosità. Probabilmente questa persona ha più bisogno di noi". Pochi minuti dopo arriva una vicina con una cesta di viveri per noi. Tra essi c'è il doppio dello zucchero che avevamo regalato.
Eravamo riusciti a comperare un paio di scarpe alla nostra figlia maggiore. Un giorno torna dalla scuola e dice che una delle sue compagne ha le scarpe rotte; vorrebbe regalarle le sue scarpe nuove, "perché tu, mamma, ci hai insegnato che dobbiamo dare ai poveri le cose migliori che abbiamo". Sapendo quanti sacrifici ci erano costate, io rimasi perplessa; però non mi sono sentita di contraddirla. Tre giorni dopo una signora porta un paio di scarpe dello stesso numero, dicendo che le aveva comperate per la figlia ma le stavano piccole.

(C.P., Messico)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)
(vedi Commento alla Parola di Claudio Arletti)


giovedì 5 agosto 2010

Il diaconato in Italia

Il diaconato in Italia n° 162 (maggio/giugno 2010)




Educare alla diaconia:
chi forma i formatori?


Sommario

EDITORIALE
Riformare i formatori? (Giuseppe Bellia)

DOCUMENTI
Ratio fundamentalis institutionis diaconorum (Congregazione per l'educazione e per il clero)

ANALISI
Leggendo i direttorii: quale formazione? (Paola Castorina)
Como: il ruolo del delegato
Bologna: una visione teologica
Napoli: la vita spirituale
Otranto: un ritratto diaconale
Interrogativi e risposte (Pierantonio Tremolada)

CONTRIBUTO
La formazione in Orientamenti e norme (Enzo Petrolino)

APPROFONDIMENTO
I formandi (Andrea Spinelli)

RIFLESSIONI
Per educare alla diaconia (Giovanni Chifari)

EMERGENZE
Formazione dei cristiani alla partecipazione politica (Pietro Sapienza)

TESTIMONIANZA
Progetto e sintesi (Vincenzo Testa)

STUDIO
Il tragitto dell'alleanza (II) (Luca Bassetti)

MOTU PROPRIO
Il carisma specifico dei diaconi (Giuseppe Barracano)


Rubriche

PAROLA E SERVIZIO
Crescita umana e spirituale (Elisabetta Granziera)

OMELIA
Chicco di grano, speranza della chiesa (Dionigi Tettamanzi)

TESTIMONIANZE
Pasqua in Turchia (Luigi Padovese)


Riquadri

Quadro d'insieme (Francesco Mattiocco)
Il ministero del sollievo (Gaetano Marino)