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venuto per servire
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martedì 30 marzo 2010

Il nostro modello


In questi primi giorni della settimana santa ci è riproposta la figura del Servo di Jahvè, di cui parla Isaia. È come l'icona a cui il diacono deve guardare, il modello di spiritualità a cui conformarmi.
"Il modello per eccellenza – si legge nelle Norme fondamentali al n. 11 - è Cristo servo, vissuto totalmente al servizio di Dio, per il bene degli uomini. Egli si è riconosciuto nel servo del primo carme del Libro di Isaia, ha qualificato espressamente la sua azione come diaconia ed ha raccomandato ai suoi discepoli di fare altrettanto".
I vescovi italiani, nel documento del 1993, Orientamenti e norme per il diaconato permanente, scrivono: "L'ordinazione sacramentale, proprio in quanto tale, configura secondo una modalità loro specifica i diaconi a Gesù Cristo. Essi sono costituiti nella chiesa come segno vivo di Gesù, Signore e Servo di tutti. Sono consacrati e mandati al servizio della comunione ecclesiale, sotto la guida del vescovo con il suo presbiterio.
(…) Non sono ordinati per presiedere l'eucaristia, ma per sostenere in questa presidenza il vescovo e il presbiterio. Proprio attraverso questa disponibilità essi sono chiamati a esprimere, secondo la loro grazia specifica, la figura di Gesù Cristo servo, ricordando così anche ai presbiteri e ai vescovi la natura ministeriale del loro sacerdozio, e animando con essi, mediante la Parola, i sacramenti e la testimonianza della carità, quella diaconia che è vocazione di ogni discepolo di Gesù e parte essenziale del culto spirituale della chiesa" (n.7).
Guardare a Lui, che "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita", dà spessore e senso ad ogni mia azione, illumina ogni oscurità che assieme ai fratelli di fede debbo affrontare, infondendo quella forza soprannaturale che non fa venir meno la speranza.

venerdì 26 marzo 2010

Amare sino alla fine

28 marzo 2010 – Domenica delle Palme (C)

Parola da vivere

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori (Is 50,6)


Durante la Settimana Santa ci viene data la possibilità di rimanere con Gesù che, per amore, dona a noi tutto di sé, persone e cose.
Il racconto della Passione, fatto da Luca, è carico di inspiegabile, infinito, dolcissimo amore di Gesù per ciascun uomo e donna che hanno sete e bisogno di lui: "Lo schernivano, lo percuotevano, lo bendavano, lo deridevano, lo coronavano di spine, lo inchiodavano in croce".
Gesù, di fronte alla passione, come "Agnello innocente", non ha opposto resistenza. La cattiveria umana non riuscirà mai a precedere la misericordia di Dio.
Per questo, Cristo "fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce", dal Padre è stato glorificato, dice Paolo, e noi siamo stati salvati.
E questi sono i frutti di tanto inspiegabile amore. Il centurione riconosce: "Veramente quest'uomo era figlio di Dio"; il ladrone pentito si sente dire da Gesù: "Oggi sarai con me in paradiso".
Di fronte a un tale amore, anche a noi, in questi giorni e nella nostra vita, è richiesta una risposta generosa e responsabile: ama!


Testimonianza di Parola vissuta


Abito in un piccolo condominio di sette famiglie, amministrato a conduzione familiare da una signora del palazzo stesso. Nonostante ci si conosca tutti, talora si creano situazioni conflittuali. Quando il materassaio del piano terra ha trasferito la sua attività nei negozi sottostanti al palazzo, aveva preso l'abitudine di lasciare il suo furgone parcheggiato di traverso, all'interno dell'angusta area di recinzione antistante al negozio, che è passaggio obbligato per entrare nel palazzo stesso. Ne derivava una continua diatriba sui diritti da lui reclamati sull'area davanti al negozio, sia dall'amministratrice che dai condomini per i disagi conseguenti.
Una sera, tornando a casa, avevo pensato di provare a parlare col negoziante, ma prima che gli potessi dire alcunché, egli si è messo a inveire contro di me perché, involontariamente, la sera precedente avevo parcheggiato la mia auto in modo da ostacolare l'entrata del suo furgone all'interno dell'area recintata (aveva recepito la situazione come una provocazione). Gli ho chiesto sinceramente scusa, assicurandogli che avrei fatto più attenzione in futuro; a quel punto mi ha chiesto cosa ero venuta a dirgli, e allora l'ho pregato, se possibile, di parcheggiare il furgone in posizione più laterale per consentire l'entrata nel palazzo. Qui di nuovo una violenta invettiva, come se fossi andata ad insultarlo intenzionalmente. "E avendoli amati, li amò fino alla fine" dice il vangelo. Mantenendo la calma ho cercato di dirgli che non avevo la minima intenzione di offenderlo, ma solo di chiedergli un favore, una cortesia... Alla fine rendendomi conto che non accettava alcuna ragione, l'ho salutato con la massima gentilezza di cui ero capace.
Il giorno dopo rientrando a casa, al pensiero di incontrarlo attingevo a tutte le mie risorse per mantenere un atteggiamento di disponibilità, di non giudizio. La prima cosa che ho notato era che, essendo già passato l'orario di chiusura, il negozio era già chiuso... Poi la strabiliante visione del furgone ben parcheggiato lateralmente, in modo da consentire il passaggio! Da allora i rapporti si sono rasserenati non solo nei miei confronti, ma anche con gli altri condomini e con l'amministratrice, che alle riunioni di condominio dimostra molta considerazione per la mia opinione sulla soluzione dei vari problemi.

(T.A.)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)

martedì 23 marzo 2010

Come servire la comunità


Ripensando a quanto ho scritto, meditando sul messaggio del Papa per questa Quaresima ed in particolare sulla necessità di creare uomini nuovi per strutture nuove (dato che l'origine del male non sta in strutture esterne, ma nel cuore dell'uomo), vorrei riproporre quel pensiero (vedi post del 1° marzo u.s.): «Di fronte a questo mistero del cuore umano mi sembra percorribile una sola strada: uscire da sé, dal proprio egoismo, dalla propria sicurezza di un presunto possesso della verità, ed essere nel mondo fermento nuovo per rapporti rinnovati, sale che dà sapore e gusto per la vita, luce che mostra possibilità di orizzonti nuovi oltre il proprio limite, senza lasciarci ingoiare dalla paura di intessere un dialogo anche con chi non la pensa come me, con la certezza che una umanità rinnovata nasce proprio dall'incontro sincero e dal contributo fattivo di tutti. L'altro è sempre e comunque mio fratello!».

In questo contesto mi sono soffermato a considerare al senso ampio della presenza del diacono nella comunità, in quella cristiana, in quella civile, nel mondo del lavoro…: "interprete delle necessità e dei desideri delle comunità", "animatore del servizio, ossia della diaconia", quella diaconia che si esplicita in tutte le espressioni del vivere umano, non ultima la politica. Mi ha sempre colpito il pensiero di Paolo VI sulla politica quale "alta forma di carità". E mi sono chiesto più volte che rapporto ci possa essere tra la diaconia (aspetto ecclesiale) e la politica (aspetto civile), quale moto dell'animo che nasce nell'unico cuore della stessa persona umana, e come possa esprimersi nella assoluta distinzione dei ruoli.
Non ho una risposta immediata e non la cerco per non essere frainteso.
So però che la "diaconia" è vocazione di tutta la chiesa e che il diacono, pur operando concretamente per i bisogni del prossimo, suo compito specifico è essere "animatore", essere l'anima della diaconia in un determinato contesto sociale, in una determinata comunità: sarà costruttore, per la sua parte, dell'unica fraternità universale, affinché la comunità sia "diaconia" in atto.
I cristiani, coscienti di questo loro essere immersi nell'unica comunità degli uomini, sono chiamati a tessere rapporti costruttivi con tutti, a saper testimoniare la validità dei valori evangelici di cui sono portatori, a non inquinare questo dialogo con interessi personali. E se i cristiani così intesi sono una minoranza, vivranno come quel sale evangelico che è capace di dare sapore e gusto alla vita, con la coscienza che è "meglio un provvedimento imperfetto, ma costruito insieme, che uno fatto per soddisfare pienamente qualcuno, ma che non avrà seguito. Se una legge nasce dallo scontro servirà a molto poco" (Letizia De Torre, da un'intervista).



sabato 20 marzo 2010

Come il Padre ha amato me… (4)


È uscito l’ultimo dei quattro volumetti (4. primavera: le prospettive), pubblicati dall'editrice Città Nuova, dal titolo Come il Padre ha amato me…, 365 pensieri per l'anno sacerdotale, per accompagnare giorno per giorno il cammino di questo anno.

Gli argomenti di questo quarto volume riguardano le prospettive di questo essere sacerdote (o diacono) oggi: essere "Con Gesù crocifisso e risorto", impegnati "Per una nuova umanità", inviati per una "Missione senza confini", come sottolineato nei sottotitoli.

Si legge nella Prefazione: «"In un mondo lacerato da discordie la tua Chiesa risplenda come segno profetico di unità e di pace", domanda la preghiera eucaristica V/d in un passaggio che sorprende e non può non invitare ad una riscoperta stessa dell'Eucaristia. Appare come una ripresa dilatata di quanto viene chiesto nella preghiera eucaristica II: "Per la comunione al corpo e al sangue del Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo”. Chiesa e umanità sono tra loro intrecciate: e ciò che si opera nella Chiesa dovrebbe essere il "segno efficace" di ciò che si sviluppa, come attesa e come prospettiva, nell'umanità intera. Non per nulla il Concilio Vaticano II definisce la Chiesa “sacramento dell'intima unione con Dio e dell' unità di tutto il genere umano".
E se il Concilio ancora invita a guardare alla Chiesa come il "popolo di Dio" in cammino nella storia, ciò che compagina questo popolo non sono delle norme legislative o amministrative, ma una realtà di vita che crea un "corpo". I cittadini di questo popolo sono così articolati tra loro che la funzione dell'uno è essenziale per l'altro e, in questo senso, ciò che è dell'uno è anche dell'altro.
Basterebbe questo per dare volto nuovo all'intreccio di popoli, lingue, culture, etnie che costituisce l'umanità: una "bellezza" unica! La bellezza di manifestarsi reciprocamente ciò che si è: "figli" dell'unico Padre!
(…) »

Come per gli altri tre volumetti, riporterò i pensieri sul mio sito di testi e documenti.

venerdì 19 marzo 2010

Sentirsi veramente amati

21 marzo 2010 – 5a domenica di Quaresima (C)

Parola da vivere

D'ora in poi non peccare più (Gv 8,11)


"Ecco, faccio una cosa nuova..." (Is 43,19).
Dio è colui che fa sempre "una cosa nuova".
In un clima di disorientamento, incertezza, sfiducia, non ci sono spiegazioni e risposte sicure, la fede vissuta però ci dà sicurezza: Qualcuno non ci perde di vista.
Gesù ci apre una strada nuova: la salvezza! Paolo, nella lettera ai filippesi, parla della sua personale "novità" in seguito all'incontro con Gesù Cristo. Il suo è un autentico "miracolo di Pasqua": lo fa uscire da se stesso, dal proprio orgoglio, acquista occhi e cuore nuovi, incontra il Risorto e - di conseguenza - vive una vita nuova.
La novità è presente anche nella pagina del Vangelo. L'adultera, nell'incontro con Gesù: "Donna - le dice - dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?".
"Nessuno, Signore", risponde la donna. "Neanche io ti condanno".
Stupita di tanto amore, si sente amata e perdonata: è ora una creatura nuova, capace a sua volta di amare e perdonare.


Testimonianza di Parola vissuta


Avevo 17 anni quando, aspettando un figlio, mi sono sposata: dopo dieci faticosi anni ho divorziato. Ho incontrato poi Marco, il mio attuale compagno. A questo fallimento, si aggiungeva la consapevolezza che finiva anche un rapporto chiaro con la Chiesa e forse con Dio: come divorziata non sarei più stata ben accetta in Chiesa.
Che cosa sarei stata se un prete non mi avesse detto: "Dio ti ama immensamente, anche così come sei?". Se non mi avesse tenuto in Chiesa nonostante la mia condizione? Ho sentito che nella parrocchia c'era un posto anche per me. E da qui è ripreso il mio cammino di fede. Il primo frutto è stato l'insorgere in me dell'esigenza della preghiera, della Messa e perfino del Rosario. La mia vita è cambiata e con la mia anche quella di Marco e di mio figlio Lorenzo.
Ho scoperto che anche tutto il dolore passato aveva un senso, era legato al grido di Gesù in croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". A quel grido ho legato la sofferenza di non poter ricevere l'Eucarestia, ho legato il rivedere il mio precedente matrimonio al tribunale ecclesiastico. Le esperienze compiute mi sono preziose nel Gruppo del Vangelo dove sono tanti quelli che stanno vivendo ora quello che io ho vissuto in precedenza.

(Cecilia, Modena)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)

lunedì 15 marzo 2010

Il diaconato in Italia

Il diaconato in Italia n° 160
(gennaio/febbraio 2010)




Quale spiritualità e preghiera
per la vita del diacono?



Sommario

EDITORIALE
Luci e ombre della spiritualità del servizio (Giuseppe Bellia)

ATTUALITÀ
Omnium in mentem (Benedetto XVI)
Per comprendere la modifica (Francesco Coccopalmerio)
Essere capo, essere servo (Antonio Bonzani)

DOCUMENTO
Lineamenti della spiritualità diaconale (Giovanni Paolo II)

CONTRIBUTO
Spiritualità diocesana e ministero diaconale (Enzo Petrolino)

STUDIO
La dimensione umana della formazione diaconale (III) (Luca Bassetti)

RIFLESSIONI
Teologia e prassi del diaconato nella chiesa (I) (Fabrizio Mandreoli)

DISCERNIMENTO
«Quando i giorni sono cattivi» (Luciano Manicardi)


Rubriche

TESTIMONIANZA
Accompagnamento per i separati (Gruppo diocesano S.M. di Cana)

IL PUNTO
Sul diacono uxorato rimasto vedovo (Giuseppe Barracane)

PAROLA E SERVIZIO
Maria serva del Signore (Elisabetta Granziera)

LITURGIA
Appunti necessari sull'omelia (Mariano Crociata)


Riquadri

Focus (Luigi Sabbarese)
Ai detenuti (Dionigi Tettamanzi)



venerdì 12 marzo 2010

L'abbraccio della riconciliazione

14 marzo 2010 – 4a domenica di Quaresima (C)

Parola da vivere

Era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,24)


È una splendida parabola: un vangelo nel vangelo. Il protagonista non è il figlio che dissipa tutto, ma il padre che ama.
Dio, "perché è amore", è Padre. Il suo amore ha sapore di cielo e di terra: è rispettoso, sa attendere, è misericordioso; pensa al figlio, l'aspetta, l'abbraccia e fa festa: "perché questo mio figlio era perduto ed è stato ritrovato".
Il figlio riscopre l'amore del padre, ritrova la voglia di vivere, la libertà e la gioia di amare.
Il fratello maggiore non prende parte alla festa perché non sa amare. La sua giustizia, la pratica dell'obbedienza e delle norme e regole - senza un guizzo di vita, di spontaneità e creatività - l'hanno inacidito, reso incapace di amore e di perdono.
"Lasciatevi riconciliare con Dio" ci ricorda Paolo.
Facciamolo, dilatiamo il nostro cuore, compiamo opere di perdono e di pace.
Perché, in preparazione alla Pasqua, non inventiamo qualcosa di bello e gioioso, come un gesto di riconciliazione, per una Pasqua diversa?


Testimonianza di Parola vissuta


Quella sera, forse per l'eccessiva velocità, l'auto di grossa cilindrata si ribalta. Mio figlio muore sul colpo a soli 23 anni; l'amico fraterno che guidava esce illeso dall'incidente. Sono passati otto anni. È la Settimana Santa in chiesa il prete parla di riconciliazione, di perdono. Il "pensiero del mese" che riporta la mia agenda, invita ad amare sempre per primi. Sento che entrambi parlano a me. Mi guardo dentro e scopro un sottile rancore che mi ha accompagnato durante tutti questi anni nei confronti del ragazzo che, in fondo, ritengo responsabile della morte di Luca. Ogni volta che passo davanti alla sua casa il cuore mi si indurisce.
Vado al telefono; con le mani che mi tremano digito il numero e lo chiamo. Lui non c'è. Mi risponde la moglie, sorpresa e imbarazzata quando le dico chi sono. Apro a lei, che come me è mamma, il cuore dicendole tra l'altro: "Ho pensato tanto a voi in questi giorni, vorrei rivedervi, conoscere i vostri bambini... Sarei felice se vorrete venirmi a trovare". Lei, commossa, promette che presto verranno... Mi guardo dentro e scopro d'essere felice e leggera.

(V. G., Svizzera)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)

mercoledì 10 marzo 2010

Presenza che dà sapore


Questo passo di una sconcertante attualità, tratto dal libro dell'Esodo (20,22…), e che trascrivo, mi ricorda quanto importante sia, nella società odierna (anche italiana), la presenza dei discepoli di Gesù per dare sapore al nostro vivere quotidiano, pena l'essere "gettati via", come amminsce il vangelo.

«Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto.
Non maltratterai la vedova o l'orfano…
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? …
Non spargerai false dicerie; non presterai mano al colpevole per essere testimone in favore di un'ingiustizia. Non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo per deviare verso la maggioranza, per falsare la giustizia.
Non favorirai nemmeno il debole nel suo processo.
Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l'asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo.
Non farai deviare il giudizio del povero, che si rivolge a te nel suo processo.
Ti terrai lontano da parola menzognera. Non far morire l'innocente e il giusto, perché io non assolvo il colpevole.
Non accetterai doni, perché il dono acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti.
Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d'Egitto».

Occorre impegnarsi a tessere un dialogo, un ascolto, che sappia vincere ogni chiusura ed orgoglio di parte, e ci insegni l'essenzialità dell'accoglienza reciproca.
La comunità cristiana (composita e molteplice nei sui elementi), per essere tale, deve presentarsi come il "luogo" e la "palestra" dove maggiormente si respira e si impara quest'arte che fa dell'umanità una sola famiglia.

lunedì 8 marzo 2010

L'unica meta


"Incontrare Cristo è l'unica meta", scrive Giuseppe Bellia nel suo intervento (Il diaconato: discernimento, formazione e stati di vita) al Convegno nazionale dell'agosto scorso e di cui sono stati pubblicati gli Atti nell'ultimo numero del 2009 della rivista Il diaconato in Italia.

I passi che riporto sono un semplice mettere a fuoco, in questi giorni, la dimensione più vera del nostro servizio diaconale. Si parla, nell'articolo, di come "un ministro della parola, restando ministro della parola, attraverso la liturgia eucaristica e la messa domenicale, diventa ministro della carità". "Allora, il discernimento (ha a che fare) con questi tre elementi: il primato della Parola, la centralità dell'eucaristia, la destinazione verso la missione e la fraternità".
E ci si chiede "Qual è il futuro di un orizzonte diaconale? …che cos'è il futuro che ci viene chiesto?... Riuscire ad indossare una dalmatica? Fare l'omelia? Fare tanto del bene?".
Sono domande serie, che (senza nasconderci dietro a un dito) ci interpellano direttamente.
"Il ministero cristiano – scrive Bellia - ci spinge a fare delle operazioni di discernimento. Si potrebbe dire con una domanda di immediata comprensione: sapete distinguere il quadro dalla cornice? Cosa è più importante il quadro o la cornice? (…) Spesso noi scambiamo la destinazione di un ministero con la sua cornice che è il luogo dove siamo messi, le cose che ci vengono chieste…
Il quadro, invece, è un altro.
Se il quadro è incontrare Cristo, ogni vocazione si decide proprio nell'incontro con Cristo. È così anche nel matrimonio cristiano. L'unità non è data dall'antropologia di base: siccome due stanno bene insieme allora c'è di mezzo il sacramento. Non è così. Per noi cristiani è al contrario: siccome i due cristiani hanno conosciuto Cristo, si uniscono in Lui: in Cristo l'uomo non può separare ciò che Dio ha congiunto. E nel caso in cui nel matrimonio solo uno dei due è radicato in Cristo, basta quel radicamento a reggere l'unione. Questo vale anche nei tre gradi dell'unico sacramento dell'ordine. La cosa più importante è incontrare Lui. (…)
Non si dà una cornice sproporzionata a un quadro grandioso ma se il quadro è meschino, se il quadro è l'autopromozione di qualcuno che umanamente aspira al diaconato perché è una rivincita, una rivalsa su sé stesso o sul proprio ambiente, a che vale la cornice? (parlo ai diaconi ma per noi preti è anche peggio, in uno degli ultimi, scritti il cardinal Martini metteva in evidenza quanto sia diventata imperante l'autocensura in vista di un'autopromozione). Il punto di riferimento nel quarto Vangelo è al capitolo 12,26: «Se uno mi vuoi servire mi segua». Il primato è dato alla sequela, non al fare qualcosa per lui, e Matteo sia alla fine del capitolo 7 delle Beatitudini, sia nel mirabile capitolo 25 presenta alcuni che hanno fatto, strafatto per Lui, che però risponde: «Andate via operatori di iniquità». Dunque c'è il rischio che si possa servire senza seguire. O che si possa servire senza avere più alcuna attesa".

Mi sono rimesso, in questo periodo di quaresima, a guardare, con occhi e cuore nuovi, a quel "Quadro" che altro non è se non la ragion d'essere del nostro essere e del nostro agire, il Signore Gesù.


sabato 6 marzo 2010

Ministro di quella carità che conduce all'unità


Ho ripreso alcuni pensieri pubblicati nel terzo volumetto Come il Padre… sull'anno sacerdotale (di cui ha parlato più volte) e che vengono raccolti sotto il titolo Icone dell'unitrinità. È quanto mai illuminante, per non lasciarsi prendere dalle "cose da fare", focalizzare la nostra vita, di sacerdoti o diaconi, su un aspetto fondamentale: la carità, non tanto e non solo fine a se stessa, ma come anima di quel moto che costruisce l'unità, fa vivere "a corpo" e fa della comunità un giardino fiorito.

La carità di Dio infatti colma ogni divisione:
«È Gesù crocifisso che, nel suo grido d'abbandono, ha voluto assumere tutte le divisioni del mondo, tutte le eredità del nostro peccato. …ha pagato ogni divisione del mondo e la nostra fra cristiani» (Chiara Lubich).

È la vita di Dio che discende fra gli uomini:
«La legge immacolata del Signore è la carità, che ricerca non il proprio interesse, ma quello dei più. Ed è chiamata legge del Signore, sia perché egli vive di essa, sia perché nessuno la possiede se non per dono suo... La carità stringe la Trinità e la rinserra in un legame di pace... Ed è la sostanza stessa di Dio» (San Bernardo).
«Come si chiama questa forza coesiva, atta a tenere insieme il corpo parrocchiale, l'umanità desiderosa d'essere unita in Cristo? Lo sanno tutti: si chiama la carità. Scende dal Cielo, quale fiume regale e benefico… È la grande legge costitutiva della Chiesa… il grande distintivo, idoneo ad indicare il grado della vita ecclesiastica» (Paolo VI).

Questa carità porta all'unità, alla comunione nelle varie componenti della chiesa:
«Affinché questa desiderabile collaborazione diventi e rimanga una realtà, si richiede che sacerdoti e laici siano centrati su Cristo e non su se stessi. Sono chiamati a promuovere il regno di Cristo, non il proprio interesse o quello del loro gruppo. Non devono sentirsi ingaggiati in una battaglia per il potere» (Card. F. Arinze).

Siamo infatti tutti "collegati" in un sol corpo:
«Tutti siamo in Cristo una cosa sola, per cui nessuno è staccato dalla funzione assegnata all'altro e non c'è parte, per quanto piccola, che non sia in diretto collegamento con il capo» (San Leone Magno).

In questa unità del corpo, il sacerdote e il diacono hanno una forma particolare, rappresentano sacramentalmente Cristo:
«"Agite in mia persona, agite in modo che io stesso agisca in voi". Il sacerdote (il diacono) potrà essere sacerdote (diacono) soltanto se abita nell'intimo di Cristo, unito totalmente alla sua vita e al suo amore… Quando il sacerdote (il diacono) dice "io", deve immedesimarsi con l'io di Cristo, perché Cristo stesso vuol dire "io" in lui» (Klaus Hemmerle).

Cristo, che è presente ed operante nella persona del suo ministro, ha una risonanza speciale se chi lo rappresenta non è "solo", ma vive "a corpo":
«Nel Vangelo di Giovanni si trovano molto spesso queste parole di Gesù: "Quello che io vi dico non viene da me ma dal Padre..., le opere che io faccio non sono mie ma del Padre...". Gesù sembra rinunciare ad ogni autonomia nei confronti del Padre; perde ogni autonomia, ma è Gesù, quella persona umano-divina, incarnata nella storia, apparentemente condizionata dalla cultura e dalle strutture del tempo, ma in realtà totalmente libera, tanto da essere capace di offrire la propria vita e morire "per" l'umanità. E nessuno ha amore più grande, cioè nessuno è così vicino alla perfezione di Dio, come chi dà la vita per gli altri. Ora, il dar la vita implica il distacco da se stessi e dalle persone, rinunciare ai propri beni e alle proprie idee, alla propria cultura…» (Silvano Cola).
«Il ministero ordinato ha una radicale "forma comunitaria" e può essere assolto solo come "un'opera collettiva"» (Giovanni Paolo II).
«Nessun presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri presbiteri... Ciascuno dei presbiteri è dunque legato ai confratelli col vincolo della carità, della preghiera e della collaborazione nelle forme più diverse, manifestando così quella unità con cui Cristo volle che i suoi fossero una sola cosa, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre» (Concilio ec. Vaticano II).

Pertanto la carità è la caratteristica dei discepoli di Cristo:
«Il fiore all'occhiello che caratterizza la mia Chiesa è l'unità: quell'unità da molti sconosciuta e da altri poco apprezzata, che costituisce invece il riflesso della Divinità… è l'essenza stessa di Dio, l'Unità! … Pertanto, se i sacerdoti vogliono essere coerenti con il loro fine, con la loro vocazione divina, devono divinizzarsi nell'unità» (Conchita Cabrera De Armida).
«La missione (della Chiesa) è l'attuazione del disegno grandioso di Dio di riunire in Cristo l'umanità intera in un'unica famiglia» (Benedetto XVI).
«Un parroco che maldestramente vedesse solo la propria parrocchia e la sua attività sacerdotale orientata unicamente ad essa, sminuirebbe la misura del servizio che presta nel presbiterio della sua diocesi… La competenza del sacerdote deve essere presa in considerazione nell'essere assieme agli altri che svolgono lo stesso ministero» (Klaus Hemmerle).
«… la legge della vita è proprio negarsi per affermare l'altro. Cos'è in definitiva l'obbedienza? È totale carità. Quando sei totalmente amore, non fai più la tua volontà, ma quella dell'altro, non scegli più la tua iniziativa personale ma cerchi di promuovere l'iniziativa dell'altro. E se per caso l'altro prossimo che ti sta accanto o che vive con te fa la stessa cosa nei tuoi confronti, in questo scambio di amore c'è l'Amore. Allora non è più la tua iniziativa o l'iniziativa dell'altro, la tua volontà o la volontà dell'altro che vengono in evidenza, ma la volontà di Dio» (Silvano Cola).

venerdì 5 marzo 2010

I nostri frutti

7 marzo 2010 – 3a domenica di Quaresima (C)

Parola da vivere


Venne nella sua vigna a cercarvi frutti (Lc 13,6)


"Convertitevi e credete all'amore" è la parola che oggi Dio ci chiede di vivere.
"Credo all'amore" è la risposta che Dio aspetta da tutti noi.
L'esperienza dell'Esodo è il racconto di una storia d'amore. Inizia con Mosè, al quale Dio si rivela e lo invita a liberare il suo popolo, e continua con i prodigi che ha compiuto per loro.
Nel Vangelo viene raccontata la parabola del fico piantato nella vigna: rivela un Dio paziente, tenero e amoroso... "paziente e misericordioso è il Signore, lento all'ira e ricco di grazia" (Sal 144, 8).
Nella parabola Gesù rivela un Dio forte ed esigente e invita ad una risposta.
"Venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò" dice l'evangelista Luca. La delusione e l'amarezza di Gesù è logica, ma il suo amore - grande e misericordioso - vince la nostra ostinazione e indifferenza e rende possibile la nostra risposta con la capacità di portare frutti di vera conversione: "dobbiamo passare dalla morte alla vita amando i fratelli".
Pertanto la Quaresima - tempo favorevole di salvezza - è una opportunità per scoprire e valorizzare l'amore alla croce, l'unico Albero che non tradisce attese e dà speranza.


Testimonianza di Parola vissuta


L'esperienza vissuta da un gruppo di ragazze, lascia intuire come si può vivere la Parola del Vangelo, soprattutto la carità, la pazienza, la mitezza. Specie agli inizi non era sempre facile vivere la radicalità dell'amore.
Anche fra noi, sui nostri rapporti, poteva posarsi della polvere, e l'unità poteva illanguidire. Ciò accadeva, ad esempio, quando ci si accorgeva dei difetti, delle imperfezioni degli altri e li si giudicava, per cui la corrente d'amore scambievole si raffreddava. Per reagire a questa situazione abbiamo pensato un giorno di stringere un patto fra noi e lo abbiamo chiamato "patto di misericordia".
Si decise di vedere ogni mattina il prossimo che incontravamo - a casa, a scuola, al lavoro, ecc. -, nuovo, nuovissimo, non ricordandoci affatto dei suoi difetti, ma tutto coprendo con l'amore. Era avvicinare tutti con questa amnistia completa nel nostro cuore, con questo perdono universale. Era un impegno forte, preso da tutte noi insieme, che aiutava a essere il più possibile sempre prime nell'amore, a imitazione di Dio misericordioso, il quale perdona e dimentica.

(C. N. G. V. e altre)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)

mercoledì 3 marzo 2010

La giustizia che viene da Dio (2)


Riprendo il discorso sul messaggio del Papa sulla Quaresima.
Dio è giusto perché dà a ciascuno il suo, quello che gli spetta, cioè Se stesso! E lo fa in Gesù…

La giustizia ("sedaqah") per l'israelita è "da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall'altra, equità nei confronti del prossimo, in modo speciale del povero, del forestiero, dell'orfano e della vedova... Dare al povero, per l'israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo… Dio, attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato, chiede giustizia verso il povero, il forestiero, lo schiavo. Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell'illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l'origine stessa dell'ingiustizia".

Il cammino di conversione, di questo mutamento del cuore, è un aprirsi a Dio, è un affidarsi a Lui, con la certezza che senza di Lui l'uomo, in balìa di se stesso, è alla deriva. Non riconoscendo se stesso, non riconosce il proprio simile, dove tutti abbiamo bisogno di sperimentare che è Dio che ci ha riscattati, in Gesù, dalla nostra condizione di ingiustizia individuale e sociale. "È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue".
La giustizia dunque che viene da Cristo "è anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l'uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri... ma il gesto dell'amore di Dio che si apre fino all'estremo, fino a far passare in sé la maledizione che spetta all'uomo, per trasmettergli in cambio la benedizione che spetta a Dio".

Il fatto che questo avvenga nel "sangue" di Gesù, mette a fuoco l'identità più intima di colui che è chiamato ad esercitare una diaconia particolare nella chiesa, come è quella del diacono, ministro del calice e quindi del sangue di Cristo.
Il questo gesto estremo di amore di Gesù riconosco il mio dover essere e la strada da percorrere, che si concretizza in quel farsi uno col prossimo fino ad assumere in me tutto dell'altro, in quel nulla d'amore che ha in Gesù abbandonato il modello di ogni carità.
Ma occorre uscire da una logica solamente umana ed aprirsi ad una "giustizia divina, dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto".
"Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall'illusione dell'autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio"… ed "entrare nella giustizia più grande, che è quella dell'amore".
Solo così "il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall'amore", ed essere così nella società fermento di vita, perché impastato totalmente nell'esistenza dei miei fratelli.


lunedì 1 marzo 2010

La giustizia che viene da Dio (1)


In questo periodo sto meditando sul messaggio che il Papa ha fatto quest'anno per la Quaresima. Il titolo è: La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo (cfr Rm 3,21-22).

"Dare a ciascuno il suo.
Ciò di cui l'uomo ha più bisogno – dice il Papa - non può essergli garantito per legge. Per godere di un'esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente".
È appunto nella gratuità del dono che si adempie ogni giustizia: questo garantisce equità, rispetto.
Si sa che "la giustizia distributiva non rende all'essere umano tutto il suo che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio.
L'uomo vive di quell'amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza": non è giustizia vera "quella che sottrae Dio all'uomo".
Ora non si dà Dio all'uomo con la forza , né per legge!
Se c'è un'azione che l'uomo può compiere in questo senso è cercare di creare le condizioni per una vita degna di essere dimora del Dio-tra-noi. Questo presuppone che strutture nuove, nascano da uomini nuovi. Dal di dentro dell'uomo infatti nascono le cose buone e quelle cattive: una "tentazione permanente dell'uomo è quella di individuare l'origine del male in una causa esteriore". Così "molte delle moderne ideologie" individuano "l'origine del male in una causa esteriore": "affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l'attuazione. Questo modo di pensare - ammonisce Gesù - è ingenuo e miope. L'ingiustizia ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male".
Di fronte a questo mistero del cuore umano mi sembra percorribile una sola strada: uscire da sé, dal proprio egoismo, dalla propria sicurezza di un presunto possesso della verità, ed essere nel mondo fermento nuovo per rapporti rinnovati, sale che dà sapore e gusto per la vita, luce che mostra possibilità di orizzonti nuovi oltre il proprio limite, senza lasciarci ingoiare dalla paura di intessere un dialogo anche con chi non la pensa come me, con la certezza che una umanità rinnovata nasce proprio dall'incontro sincero e dal contributo fattivo di tutti.
L'altro è sempre e comunque mio fratello!