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sabato 6 marzo 2010

Ministro di quella carità che conduce all'unità


Ho ripreso alcuni pensieri pubblicati nel terzo volumetto Come il Padre… sull'anno sacerdotale (di cui ha parlato più volte) e che vengono raccolti sotto il titolo Icone dell'unitrinità. È quanto mai illuminante, per non lasciarsi prendere dalle "cose da fare", focalizzare la nostra vita, di sacerdoti o diaconi, su un aspetto fondamentale: la carità, non tanto e non solo fine a se stessa, ma come anima di quel moto che costruisce l'unità, fa vivere "a corpo" e fa della comunità un giardino fiorito.

La carità di Dio infatti colma ogni divisione:
«È Gesù crocifisso che, nel suo grido d'abbandono, ha voluto assumere tutte le divisioni del mondo, tutte le eredità del nostro peccato. …ha pagato ogni divisione del mondo e la nostra fra cristiani» (Chiara Lubich).

È la vita di Dio che discende fra gli uomini:
«La legge immacolata del Signore è la carità, che ricerca non il proprio interesse, ma quello dei più. Ed è chiamata legge del Signore, sia perché egli vive di essa, sia perché nessuno la possiede se non per dono suo... La carità stringe la Trinità e la rinserra in un legame di pace... Ed è la sostanza stessa di Dio» (San Bernardo).
«Come si chiama questa forza coesiva, atta a tenere insieme il corpo parrocchiale, l'umanità desiderosa d'essere unita in Cristo? Lo sanno tutti: si chiama la carità. Scende dal Cielo, quale fiume regale e benefico… È la grande legge costitutiva della Chiesa… il grande distintivo, idoneo ad indicare il grado della vita ecclesiastica» (Paolo VI).

Questa carità porta all'unità, alla comunione nelle varie componenti della chiesa:
«Affinché questa desiderabile collaborazione diventi e rimanga una realtà, si richiede che sacerdoti e laici siano centrati su Cristo e non su se stessi. Sono chiamati a promuovere il regno di Cristo, non il proprio interesse o quello del loro gruppo. Non devono sentirsi ingaggiati in una battaglia per il potere» (Card. F. Arinze).

Siamo infatti tutti "collegati" in un sol corpo:
«Tutti siamo in Cristo una cosa sola, per cui nessuno è staccato dalla funzione assegnata all'altro e non c'è parte, per quanto piccola, che non sia in diretto collegamento con il capo» (San Leone Magno).

In questa unità del corpo, il sacerdote e il diacono hanno una forma particolare, rappresentano sacramentalmente Cristo:
«"Agite in mia persona, agite in modo che io stesso agisca in voi". Il sacerdote (il diacono) potrà essere sacerdote (diacono) soltanto se abita nell'intimo di Cristo, unito totalmente alla sua vita e al suo amore… Quando il sacerdote (il diacono) dice "io", deve immedesimarsi con l'io di Cristo, perché Cristo stesso vuol dire "io" in lui» (Klaus Hemmerle).

Cristo, che è presente ed operante nella persona del suo ministro, ha una risonanza speciale se chi lo rappresenta non è "solo", ma vive "a corpo":
«Nel Vangelo di Giovanni si trovano molto spesso queste parole di Gesù: "Quello che io vi dico non viene da me ma dal Padre..., le opere che io faccio non sono mie ma del Padre...". Gesù sembra rinunciare ad ogni autonomia nei confronti del Padre; perde ogni autonomia, ma è Gesù, quella persona umano-divina, incarnata nella storia, apparentemente condizionata dalla cultura e dalle strutture del tempo, ma in realtà totalmente libera, tanto da essere capace di offrire la propria vita e morire "per" l'umanità. E nessuno ha amore più grande, cioè nessuno è così vicino alla perfezione di Dio, come chi dà la vita per gli altri. Ora, il dar la vita implica il distacco da se stessi e dalle persone, rinunciare ai propri beni e alle proprie idee, alla propria cultura…» (Silvano Cola).
«Il ministero ordinato ha una radicale "forma comunitaria" e può essere assolto solo come "un'opera collettiva"» (Giovanni Paolo II).
«Nessun presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri presbiteri... Ciascuno dei presbiteri è dunque legato ai confratelli col vincolo della carità, della preghiera e della collaborazione nelle forme più diverse, manifestando così quella unità con cui Cristo volle che i suoi fossero una sola cosa, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre» (Concilio ec. Vaticano II).

Pertanto la carità è la caratteristica dei discepoli di Cristo:
«Il fiore all'occhiello che caratterizza la mia Chiesa è l'unità: quell'unità da molti sconosciuta e da altri poco apprezzata, che costituisce invece il riflesso della Divinità… è l'essenza stessa di Dio, l'Unità! … Pertanto, se i sacerdoti vogliono essere coerenti con il loro fine, con la loro vocazione divina, devono divinizzarsi nell'unità» (Conchita Cabrera De Armida).
«La missione (della Chiesa) è l'attuazione del disegno grandioso di Dio di riunire in Cristo l'umanità intera in un'unica famiglia» (Benedetto XVI).
«Un parroco che maldestramente vedesse solo la propria parrocchia e la sua attività sacerdotale orientata unicamente ad essa, sminuirebbe la misura del servizio che presta nel presbiterio della sua diocesi… La competenza del sacerdote deve essere presa in considerazione nell'essere assieme agli altri che svolgono lo stesso ministero» (Klaus Hemmerle).
«… la legge della vita è proprio negarsi per affermare l'altro. Cos'è in definitiva l'obbedienza? È totale carità. Quando sei totalmente amore, non fai più la tua volontà, ma quella dell'altro, non scegli più la tua iniziativa personale ma cerchi di promuovere l'iniziativa dell'altro. E se per caso l'altro prossimo che ti sta accanto o che vive con te fa la stessa cosa nei tuoi confronti, in questo scambio di amore c'è l'Amore. Allora non è più la tua iniziativa o l'iniziativa dell'altro, la tua volontà o la volontà dell'altro che vengono in evidenza, ma la volontà di Dio» (Silvano Cola).

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