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domenica 10 gennaio 2010

Vivere una vita di comunione


Mi chiedo spesso se il servizio che sono chiamato a svolgere nei confronti della comunità produce sempre quei frutti che ci si attenderebbe. Non di rado la sterilità pastorale, il mio non portar frutto, dipende dal fatto che vivo ed agisco per me e non per Dio; la mia vita non riflette quella di Gesù. Diversamente vedrebbero sì un pover'uomo, ma le cui miserie sono sanate dalla Sua misericordia. Se così è la vita è naturalmente diffusiva e il Suo Regno si diffonderebbe per osmosi.
Per poter essere sempre segno di questo amore di Dio per gli uomini, occorre che Gesù sia in mezzo a noi ed operi, occorre che il nostro ministero sia frutto di quell'unità che Gesù ha chiesto al Padre perché il mondo creda.
Si legge nel Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi: «I diaconi, in virtù dell'ordine ricevuto, sono uniti tra loro da fraternità sacramentale. Ciascun diacono si senta legato ai confratelli con il vincolo della carità, della preghiera, della collaborazione» (n. 6). E nelle Norme per la formazione si legge che i diaconi sono «chiamati ad essere uomini di comunione e di servizio» (n. 67).
Di fronte alle sfide del nostro tempo mi sono di luce alcuni pensieri che prendo dal libretto Come il Padre..., in particolare: «La vita comune impegna tutta quanta la persona e per questo si distingue da un qualsiasi gruppo psicologico (tipo club sportivo, associazione civile o religiosa, sindacati ecc.), il quale è costituito da individui che si associano in vista di finalità particolari e che perciò interagiscono limitatamente agli interessi comuni da perseguire…
Lo stare insieme può correre appunto questo rischio: che invece di formare una comunità dove la legge della comunione tra persone ha il primo posto, vivano come un gruppo di individui che stanno insieme accidentalmente in vista dell'identico scopo da raggiungere, e senza perciò interagire, senza confrontarsi sugli altri aspetti della propria vita, e quindi iperatrofizzando il proprio io interiore reso inaccessibile agli altri. È individualismo, mascherato dal fatto di vivere insieme, giustapposti ma non comunicanti» (Silvano Cola).
Significativa è pure l'esperienza del card. Vlk, allora prete perseguitato nella Praga comunista: «Ci incontravamo una volta alla settimana malgrado i gravi pericoli di essere scoperti e puniti. Ma sapevamo che il valore della nostra comunione era più grande di ogni rischio. In questi incontri meditavamo spesso la Preghiera di Gesù per l'unità (Gv 17), e guidati e incoraggiati dal Concilio (PO 8) condividevamo le esperienze evangeliche che ognuno riusciva a vivere nella propria situazione.
È stato in forza di questa unità e della conseguente presenza di Gesù fra noi che abbiamo potuto sopravvivere. Non potrei sottolineare abbastanza fortemente l'importanza di una tale esperienza, in quei momenti drammatici e successivamente in tutte le circostanze della mia vita sacerdotale» (Card. Miloslav Vlk).

2 commenti:

  1. Tante volte, anzi sempre più spesso penso che la nostra missione (nostra in quanto cristiani soprattutto e solo poi in quanto diaconi) non sia tanto quella di 'portar frutto' quanto quella di seminare. Il frutto non dipende da noi, ma da Lui, e non ci dobbiamo pensare. Anche perché non saremo noi a raccoglierlo. I frutti che noi stiamo raccogliendo vengono dai semi sparsi da altri, e altri raccoglieranno i frutti nati dai semi sparsi da noi.

    La vera gioia non sta nel raccogliere, ma nel seminare il buon seme.

    Pace e benedizione
    Julo d.

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  2. Sì, è vero, caro Julo: la vera gioia sta nel seminare, anche se nel raccogliere (magari quello che è stato seminato da altri) dà gloria a Dio e dà gioia.
    Importante è seminare bene! In altre parole: che il seminare porti frutto… indipendentemente da chi raccoglie.
    Che mi debba chiedere se il mio lavorare debba portare "frutti", me lo dice Gesù stesso: "In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli" (Gv 15,8); e "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda" (Gv 15,16).
    Alle volte, se la vita nello Spirito ci riserva delle prove (e quindi ci sembra di non fare niente) è anche perché il Padre, "ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto" (Gv 15,2).
    Se la nostra vita è una parte vitale dell'essere Cristo, insieme, in piena comunione, come un sol corpo (quello di Cristo), allora è veramente indifferente chi raccoglie: è l'unico Gesù, in me, in te, in mezzo a noi… E questa è garanzia di genuinità e di fecondità. Altrimenti è un cercare una realizzazione individuale, che non ci appartiene…
    Grazie, Julo, per l'opportunità che mi hai dato di riflettere ancora su quei "frutti" che ci devono precedono nell'altra vita.
    Un caro saluto
    Gigi

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