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mercoledì 29 aprile 2009

Rocco, sei qui con noi!


Non posso non parlare ancora dell'amico diacono Rocco, che sento presente come non mai… ora che vive oltre il tempo e lo spazio, nel cuore di Dio.
È stato commovente vedere – ci scrivono – la testimonianza della moglie Rosa e dei figli Giuseppe, Nuccia e Elisabetta. Nel dolore hanno saputo trasmettere l’amore vissuto con Rocco; quell'amore che si vedeva vivo fra loro e verso tutti.
Voglio riportare alcuni stralci del profilo, che è stato letto al suo funerale svoltosi il 22 aprile nella chiesa madre di Gela, stracolma di gente, con il vescovo Michele Pennisi, il sindaco Crocetta, il sindaco di Butera e altre personalità. Un grande tributo di affetto da parte di tanti. Rocco aveva 54 anni.

«(…)
"Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23). La croce, Gesù abbandonato, era il faro, la stella polare della sua vita. (…)
E se è vero che, così come si vive, così anche si muore, vorremmo ripercorrere gli ultimi momenti della sua vita perché ci hanno colpito profondamente. Non si improvvisa una fedeltà a Dio anche nel dolore. C’è dietro tutta una vita di allenamento.
Quando Rocco si è aggravato, è stato portato in ospedale a Ragusa lo scorso venerdì 27 marzo. Da allora ha semplicemente continuato a fare ciò che era abituato a fare: ha amato.
Ha amato i compagni di stanza che hanno condiviso con lui la degenza in ospedale, al punto da lasciare in loro un segno indimenticabile con le sue parole ricche di speranza, di forza, di serenità.
Ha amato i medici e il personale dell’Ospedale e, poco prima di tornare nella sua casa di Gela, li ha radunati e li ha voluti salutare uno ad uno, ringraziandoli e raccomandando loro di lavorare sempre uniti. Un dottore ha esclamato di non aver mai visto una cosa del genere, impossibile, vedere morire un uomo vivo, che non si è mai ripiegato sul proprio dolore, su se stesso.
Ha amato ogni fratello, ogni sorella che andava a trovarlo. Era sempre lui, con il suo temperamento energico, non lesinava consigli o suggerimenti. Non sopportava tentennamenti o incertezze o mezze misure nella vita con Dio. Ha invitato ciascuno a donare con generosità il proprio tempo e la propria vita per Dio.

Ha chiesto scusa a tutti per gli errori che sentiva di avere commesso.

Ci ha benedetto solennemente. Con affetto. Più volte.

Aveva a cuore Gela, la sua terra, nella quale doveva brillare l’amore e l’unità. “Sarà la prima cosa che chiederò all’Eterno Padre. Non lascerò incompiuto questo compito” ci ha detto ieri.

Ieri mattina aveva chiesto ai medici la verità del suo stato e, saputo del suo aggravamento irreversibile, aveva subito chiesto di essere portato a casa.
Ha potuto parlare a lungo con la moglie Rosa, con i figli. Ha voluto mettere in ordine, sistemare, ogni cosa. Ha ringraziato Rosa per tutto l’amore e la fedeltà in un’ora e mezza di continuo parlare del paradiso, di Gesù, di Maria.
Ha gioito della presenza accanto a lui, nel momento del passaggio al Cielo, di alcuni amici che erano venuti per salutarlo; fino alla fine ha chiesto che gli cantassimo la canzone che preferiva: "Ama e capirai".

"Ci vediamo in paradiso", aveva detto a Maurizio, un medico che gli era stato accanto in ospedale.

Ci vediamo in paradiso, Rocco! E te lo diciamo come un impegno, con il tuo stesso impeto generoso! Non da soli, ma assieme: come comunità, con tutta la Chiesa locale, e con tutti i cittadini di questa città di Gela, città di luce e di amore, perché è la tua, la nostra città, che tanto hai amato».

domenica 26 aprile 2009

Rocco, la tua vita!

Rocco, amico mio, mi è giunta la notizia della tua Partenza mentre ero al volante sull'autostrada in viaggio verso il nord.
Già una prima telefonata mi aveva aggiornato, durante il viaggio, sulla tua grave situazione e del tuo desiderio di essere portato dall'ospedale a casa, perché volevi passare nell'intimità della tua famiglia gli ultimi tuoi istanti.
L'amico che mi aveva dato la notizia aveva aggiunto: "Lo affidiamo alla Madonna…".
È iniziato un silenzioso colloquio con te intervallato da preghiere ed "Ave Maria".
Ci eravamo visti l'ultima volta a febbraio, in giornate indimenticabili assieme a tanti sacerdoti e diaconi, in un clima spirituale altissimo, pur se segnato da particolari sofferenze.
Ho rivisto i momenti in cui alcuni anni fa abbiamo rafforzato la nostra amicizia, in cui abbiamo cominciato a comunicarci il nostro desiderio di dare a Dio tutto, tutto il tempo che avremmo avuto a disposizione. Ci eravamo ri-incontrati dopo quasi quarant'anni. Allora (erano gli anni 70), quando ci siamo conosciuti, in Sicilia, eravamo dei giovani desiderosi di spendere la nostra vita per un Ideale grande… quello dell'unità, quell'unità che Gesù ha chiesto al Padre. Poi la vita ci aveva fatti camminare ognuno per la sua strada. Ora, quasi per caso, ci siamo rivisti, ed eravamo ambedue diaconi, accomunati dall'unico Ideale. La tua "passione" per gli ultimi, per coloro che soffrono, per la "tua" gente, mi ha contagiato. Ti raccomandavo di non stancarti troppo e tu mi rispondevi semplicemente che Gesù non aveva dopo posare il capo… Volevi, fino alla fine, dare tutto!

Ad un cero punto, in questo colloquio con te, una profonda commozione mi invade e un nodo mi serra la gola… e penso e prego…
Cerco di non distrarmi nella guida, quando, dopo un po', un'altra telefonata mi comunica che eri appena partito…
Sicuramente in quegli istanti di profonda commozione la Madonna era venuta a prenderti e presentarti a Gesù, quel Gesù che hai sempre amato e riconosciuto negli ultimi, nei più piccoli, negli esclusi…
Mi hanno detto che uscendo dall'ospedale stavi cantando quella canzone dei nostri tempi giovanili: "Ama e capirai perché; ama: non resterà il dolor, troverai l'Amor!".
Grazie, Rocco, per quello che sei stato per me, per tutti noi…
Abbiamo scritto insieme qualcosa in questo blog, nella rubrica "Rocco racconta", ora continueremo questo nostro colloquio su un'altra "rete"; e sarà sempre più intenso, oltre il tempo e lo spazio…

Dall'intervento dell'11 giugno 2008 ("Manda me!"):
«Dammi, o Dio, di poter credere ancora, rafforza la mia fede. A volte sono stanco e sfinito e non vedo altro che tristezza! Soprattutto quando i media si mettono a parlare, a disquisire su cos'è la mafia ed ognuno dalla parte della pancia piena si mette a dire... Ma cosa c'è da dire davanti a tanti bambini innocenti? Che colpa hanno loro se i genitori si sono macchiati di crimini e li hanno relegati in situazioni di fame? Che colpa hanno, se la società è cieca e si nasconde dietro a un perbenismo che fa male e non riesce a vedere neppure al di là del proprio naso?
Dammi, Signore, tutti i poveri... Dammi tutti i perché... tutti i carcerati... dammi... e dove non posso arrivare… manda sempre me! Aspettami però un po', perché riprenda fiato e sappia ritornare subito da Te!
Ho bisogno d'incontrarti e l'ultimo caso è proprio disperato. Ma non è disperato il Tuo Grido, "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Anche se fatto duemila anni fa non l'hai emesso Tu in quel giovane disperato, senza casa, disoccupato, con il 416 bis? Ma che colpa hanno i 5 figli che gridano impauriti alla presenza dei vigili urbani? e perché dobbiamo togliere loro la casa, quando già lui è povero e non ha nulla? Perché? E ad entrare c'è un altro povero, forse ancora più povero...
Ma chi è il povero, il senza Dio... chi è? E perché questi non hanno avuto la possibilità di conoscerti? Forse, Signore, ti devo chiedere scusa, perché per troppo tempo sono stato fermo, chiuso nel mio io, non pensando che fuori di me c'erano fratelli che stavano ad aspettarti, che avevano bisogno d'incontrarti... ed io non ho fatto tutta la mia parte. Ti chiedo perdono, Signore, per l'amore che Tu mi hai donato e che io ho nascosto e non ho fatto vedere.
Certamente questo mio fratello adesso sta soffrendo perché forse anch'io ho le mie responsabilità. Pago anch'io per tutto quello che non ho fatto per loro; togli a me e da' a loro; da' soprattutto l'amore di cui necessitano. Chi colmerà il loro debito? Chi restituirà loro la pace, il lavoro, la sicurezza, l'amore? Perdonami, Signore! Ho bisogno veramente di cambiare il mio cuore!».

venerdì 24 aprile 2009

Se viviamo la Parola

26 aprile 2009 – 3a domenica di Pasqua (B)

Parola da vivere


Chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio
è veramente completo
(1Gv 2,5)


Per Giovanni la Parola è Gesù: il Verbo si è fatto carne.
Se viviamo la Parola, non diventiamo semplicemente più buoni, diventiamo Gesù.
Giovanni, quando si riferisce alla Parola, specialmente nelle sue lettere, si riferisce sempre a una Parola che tutte le riassume: il comandamento nuovo dell'amore vicendevole. Gesù in tutto è espressione d'amore perché è Dio. Per questo, se noi amiamo, partecipiamo di Dio e Dio parla attraverso di noi dandoci il suo Figlio.
I primi cristiani non avevano altro da dare alla gente, né altro pensavano di dover dare: non avevano lo splendore dei templi, la ricchezza di liturgie o di strutture efficienti: erano unicamente Cristo annunciato e fatto presente con il loro amore reciproco. "Guardate come si amano!". E questo bastava per attrarre molti ad unirsi a loro.
La Parola che ci fa vivere l'amore nelle piccole e grandi circostanze della vita, è la santità che risplende sulla nostra debolezza di peccatori: l'amore copre una moltitudine di peccati.


Testimonianza di Parola vissuta


Mia figlia quest'anno ha fatto la catechista dei bambini che si preparano alla prima Comunione. Durante le lezioni hanno letto insieme brani del Vangelo e quei bambini, attenti e interessati, hanno sentito l'esigenza di fare qualcosa per chi è meno fortunato di loro, per chi ha fame, per chi non può andare a scuola.
Così mia figlia e i loro genitori hanno visto come rendere bella e semplice la cerimonia della prima Comunione evitando spese superflue. La proposta è stata accettata da tutti. l bambini hanno preparato un biglietto spiegando che i soldi risparmiati li avrebbero destinati alle adozioni a distanza in Brasile.
Alcuni di loro hanno anche chiesto di destinare a questo progetto la cifra dei regali che avrebbero ricevuto. Anche mia figlia ha detto loro di non voler regali (da noi è tradizione fare un dono alla catechista alla fine del corso) ma di aggiungere anche questa cifra all'iniziativa.


(L.V.)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

domenica 19 aprile 2009

Ricordando quel giorno


Nel ringraziare Dio per il dono del diaconato, in occasione dell'anniversario della mia ordinazione che ricorre domani 20 aprile, sono andato coll'anima a quei momenti in cui mi si è manifestata la chiamata. Ne ho scritto qualcosa all'inizio di questo blog.

Vorrei riprendere due particolari. Uno riguarda il momento in cui ho sentito chiaramente che Dio mi chiamava ad un impegno particolare nella chiesa, mentre trascorrevo un periodo di vacanza in montagna, quando alla messa mi sentii attratto dalla figura di quel sacerdote che era come un padre per i suoi fedeli. Ho chiara come allora la percezione di sentirmi "come quel sacerdote", nel senso che io non mi sentivo un collaboratore del sacerdote, ma la stessa mistica realtà di un "unico corpo" assieme a lui: due facce della stessa medaglia, lo stesso Gesù (collettivo). Questo particolare, aggiungo io ora dopo tanti anni ma che allora era come una luce inespressa, mi ha fatto comprendere l'importanza del rapporto del diacono col sacerdote in una vita di comunione, che va ben oltre una semplice collaborazione pastorale.
Quanto scrivevo «Sentivo chiaramente che la mia condizione di sposato non era di impedimento, anzi… Mi sembrava un sogno… e non capivo come si sarebbe potuto realizzare. Più tardi capii che questa chiamata si sarebbe concretizzata nel diaconato», prendeva senso solo se io sono, nella distinzione, "come" quel sacerdote. Diversamente, collaborare da sposato col prete non è esclusivo del diacono... C'è di mezzo un sacrameto; ed il sacramento dell'ordine è uno solo. L'esperienza di questi anni mi ha fatto comprendere che la vocazione al diaconato non è un qualcosa che si "appiccica" al prete, ma è una "unità" che va ben oltre...

Un altro particolare. Scrivevo: «Essere "come" gli altri, ma contemporaneamente "per" gli altri. Nella misura in cui io "sono" (sono diacono - amore concreto - servizio puro) gli altri "sono", non solo singolarmente, ma anche come comunità. Ma questo comporta "non essere", scomparire… Essere, in una parola, "nulla", un nulla d'amore che contribuisce a far generare, per la grazia del sacramento dell'ordine, la comunità.
"Io sono gli altri!" era il pensiero dominante di quel periodo di formazione».
Quello che volevo dire è questo: il mio "non-essere" fa "essere" gli altri, come comunità, perché la dinamica del diacono è l'amore che si annulla - che si fa uno con l'altro -, facendo sì che gli altri prendano coscienza (e quindi "siano") di essere comunità, chiesa; dato che la carità (di cui il diacono ne è segno sacramentale in modo specifico) se non porta all'unità è "cembalo risonante".
«Io sono gli altri»... Io sono quella comunità che sono chiamato a servire (assieme al prete ed al servizio della grazia sacerdotale) e per la quale devo dare la vita, come il chicco di grano che muore per dar vita alla spiga. Da qui la convinzione profonda (che coinvolge tutta la mia vita spirituale e pastorale) che il diacono è tale non tanto per quello che fa, ma per quello che è!

venerdì 17 aprile 2009

La nostra Pace

19 aprile 2009 – 2adomenica di Pasqua (B)

Parola da vivere

Gesù venne e si presentò in mezzo a loro,
e disse: "Pace a voi"
(Gv 20,19)

Per l'Antico Testamento la pace è lo stato di benessere di chi vive in armonia con gli altri, con sé stesso, con la natura e con Dio.
Nel Nuovo Testamento la pace è personalizzata in Cristo stesso, "nostra pace" (Ef 2,11). Gesù con la pace non ci dà un dono, ci dà se stesso. Nel giorno di Pasqua vuole confermarci: "Eccomi, sono qui con voi fino alla fine dei tempi".
Come Cristo è nostra pace? Donandoci lo Spirito Santo, l'amore del Padre che ci trasforma in comunità, ci fa provare la vita della Trinità sulla terra.
Gli Atti degli Apostoli ci presentano il modello trinitario della vita dei cristiani che si riuniscono nel nome di Gesù: erano un cuor solo e un'anima sola. La comunione nello Spirito rende conseguente anche la comunione dei beni: ogni cosa era tra loro in comune. Nessuno era bisognoso, Nell'Eucaristia i primi cristiani trovano la forza di testimoniare con l'amore fraterno e reciproco Cristo risorto. Con la comunione nella Parola si purificano dall'egoismo umano, passano dalla Babele della confusione alla Pentecoste di un'unica lingua: l'amore.
Gli Atti degli Apostoli ci presentano il modello trinitario della vita dei cristiani che si riuniscono nel nome di Gesù: erano un cuor solo e un'anima sola. La comunione nello Spirito rende conseguente anche la comunione dei beni: ogni cosa era tra loro in comune. Nessuno era bisognoso, Nell'Eucaristia i primi cristiani trovano la forza di testimoniare con l'amore fraterno e reciproco Cristo risorto. Con la comunione nella Parola si purificano dall'egoismo umano, passano dalla Babele della confusione alla Pentecoste di un'unica lingua: l'amore.
Veramente Cristo può essere la pace per tutti, il nuovo stile di vita, la nuova cultura che trasforma le spade in vomeri.
Se la sua sarà la nostra vita, tutto questo è possibile.

Testimonianza di Parola vissuta

All'inizio del mese ho ricevuto una lettera da casa nostra, all'interno del Paese. Mi dicevano che mia moglie era caduta gravemente ammalata: soffriva tanto e aveva bisogno di medicine. In quel momento disponevo di pochissimi soldi e quelle medicine erano molto costose. Non sapevo cosa fare, ma nonostante tutto speravo che la provvidenza di Dio ci avrebbe aiutato.
Proprio in questo momento ho incontrato una persona di mia conoscenza che mi chiedeva un po' di soldi per poter mangiare. Sentivo che non potevo dargli nemmeno 100 franchi, perché mi mancava ciò che mi occorreva per le medicine di mia moglie. D'altra parte conoscevo bene questa persona e sapevo che impiegava tanto tempo a restituire i debiti!
Immediatamente, però, mi sono ricordato della Parola del Vangelo che diceva: "Al di sopra di tutto poi, vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione" (Col 3,14).
Allora ho capito che prima di pensare al mio problema, dovevo pensare a questa persona, fidandomi di Dio per il resto. Così gli ho chiesto quanto gli serviva. Era una somma piccola. Ho pensato che non gli sarebbe bastata e, dunque, gli ho dato più di ciò che mi ha chiesto, pensando a ciò che serve a me quando ho fame.
Dio mi ha dato subito la risposta: i soldi che mi servivano per le medicine mi sono arrivati all'improvviso da qualcuno, senza cercarli!
Tre giorni dopo ero di nuovo senza soldi e questa volta avevo bisogno io di comperarmi qualcosa da mangiare, ed ecco che vedo arrivare la persona alla quale avevo prestato qualcosa. Veniva a ringraziarmi e a restituirmi i soldi. Sono stato molto contento, ma la cosa più bella è che il nostro rapporto è completamente cambiato.
(E.N., Burundi)
(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)


sabato 11 aprile 2009

Noi siamo testimoni

12 aprile 2009 – Pasqua di Risurrezione (B)
Parola da vivere
Noi siamo testimoni di tutte le cose
da lui compiute
(At 10,39)

Oggi è Pasqua, nello splendore della primavera che ancora una volta ha vinto l'inverno e nell'emozione di rivivere quella prima grande Pasqua quando Gesù è ritornato a vivere e a stare tra gli uomini.
Come Pietro anche noi dobbiamo dire: noi siamo testimoni che Gesù è vivo e presente in noi e in mezzo a noi.
Non siamo testimoni di un fatto storico solamente, ma di una realtà che si è manifestata nella nostra vita e tra noi cristiani che questo avvenimento unisce.
Testimoniamo che la nostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio, viviamo nella famiglia di Dio che è la Trinità.
Testimoniamo che Cristo ci ha fatti "azzimi", puri dal vecchio lievito che è il peccato, per essere fermentati dal nuovo lievito di sincerità e di verità.
Il mondo deve vedere che Gesù vive, risorto, in noi.
Se vivremo la sua Parola, se sapremo rinnegare le tendenze dell'uomo vecchio, amando il prossimo, se conserveremo sempre l'amore scambievole fra di noi, allora il Risorto vivrà in noi, vivrà in mezzo a noi e irradierà intorno la sua luce e la sua grazia, trasformando tutto attorno a noi, con frutti incalcolabili.
Solo questo basta per trasformare il mondo in una Pasqua universale.

Testimonianza di Parola vissuta

Quando un'ondata di profughi si è riversata dal Kosovo in Macedonia, ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo che non ci saremmo mai aspettati: file di persone affamate, infreddolite, sfinite dal lungo cammino, che avevano bisogno di tutto.
Un nostro amico musulmano si è recato sul posto per cercare la propria madre ma, di fronte a tanta sofferenza, si è fermato a consolare chi gli passava accanto.
"Ho cercato di aprire il mio cuore a tanto dolore - diceva -: lavare i piedi, dare una parola di conforto... Durante la Pasqua cristiana ho scoperto nella mia scuola, adibita a centro per i profughi, che, fra i musulmani, vi erano due famiglie cattoliche. La tensione fra le etnie era molto alta, per cui ho temuto per la loro incolumità. Ho pensato così di ospitarli nella mia casa, anche se ho solo due piccole stanze, con servizi improvvisati... ed erano in arrivo mia madre, mia sorella con la famiglia e altri parenti, che aspettavano da giorni alla frontiera che qualcuno li accogliesse! Da questo piccolo gesto è nata una catena di generosità. Altre persone hanno aperto le loro piccole e povere abitazioni per accogliere mamme e bambini, facendo ritornare il sorriso sul volto di molti".

(R.B., Macedonia)
(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

giovedì 9 aprile 2009

Nel deserto del mondo…


All'inizio di questo Triduo Santo (lo scorso anno
lo abbiamo vissuto con nell'anima i luoghi santi visitati), il pensiero va a coloro che sono duramente provati dall'immane tragedia del terremoto… È un Calvario vivente, collettivo… che mette tutti a dura prova… La parola della speranza è legata anche alla generosa condivisione di molti, di tanti, che hanno fatto proprio questo dramma.
In questo "silenzio" e in questo "vuoto" che precede questa Pasqua si fa presente una luce che nasce dal cuore dell'uomo… Può sembrare che il mondo oggi non sia capace di produrre che sfiducia e mancanza di senso, eppure in ognuno scopriamo un cuore di carne… preludio alla Risurrezione.

Mi è passato fra le mani uno scritto di un sacerdote amico, scomparso due anni fa, che vorrei trascrivere perché mi ha dato luce in questa Pasqua così particolare.

«Siamo oggi nel deserto del mondo, nel deserto della morale, nel deserto del significato… Tutto è stato secolarizzato; si è perso il senso di Dio, dei santi, della Madonna, dei sacramenti. Pare che Dio a ciascuno di noi dica come ad Aronne e Mosè: Può forse uscire acqua da questa rupe?
Noi siamo la rupe, quel cuore di pietra che Dio vuol trasformare in un cuore di carne. A ciascuno di noi Dio dice: Pensi che da questa rupe possa uscire acqua, cioè Gesù? E noi dobbiamo rispondere: Io sono certo che dalla rupe sgorgherà acqua.
Ci vuole la fede. La fede che aveva Maria è il silenzio assoluto della creatura che non cerca spiegazioni. La fede silenzio assoluto. Credi tu? Io credo.
Ma questa cosa Dio ce la chiede anche collettivamente: dal deserto di oggi dell'umanità, da questa rupe, da questo cuore di pietra dell'umanità può venir fuori l'acqua, la vita? Gesù può dissetare l'umanità?
Sì, noi collettivamente, vivendo Maria possiamo generare misticamente Cristo in mezzo all'umanità di oggi. È quest'acqua che noi dobbiamo dare all'umanità». (Silvano Cola, dagli appunti di un discorso ai sacerdoti, 6 agosto 1971).

lunedì 6 aprile 2009

Quel seme che muore per dar vita


All'inizio di questa settimana santa il pensiero va a tutto quel mistero di morte e risurrezione che nella persona di Gesù trova il punto di incontro e il suo più profondo significato. Le antinomie si incontrano, i contrari si completano a vicenda fino a diventare sinonimi: croce-risurrezione, abominio-gloria, morte-vita, Uomo-Dio… La figura del seme che "se muore porta frutto", è la figura di Cristo che dona la vita perdendola… Tutto questo è possibile, perché tutto è amore!

«Nell'amore l'uomo perde sé stesso, donandosi. Amore e morte sono egualmente totalizzanti. Non tollerano parzialità, perché vogliono tutto. Ciò nonostante l'uomo può morire e basta, perdersi giorno per giorno resistendo con tutte le forze al flusso della morte oppure può assecondare la perdita di sé tramutandola nel dono di sé. Se nel primo caso l'uomo "rimane solo" senza lasciare traccia di sé e senza fecondità, nel secondo caso tutto ciò che è perduto ritornerà a vivere. Ci si può spegnere e basta, nella chiusura e nell'egoismo. Si può invece amare consumando se stessi, come il chicco nella terra, preparando una straordinaria primavera. Ogni vita umana si trova prima o poi al bivio della Pasqua. Chi segue Cristo deve seguirlo e sarà, come servo, là dove è il suo Signore» (Claudio Arletti).

Chi ama dona; se dà non ha più… Non è, e quindi è! Chi ama non è (perché ha dato tutto); ma perché ama "è", perché l'amore è l'essere, la sostanza dell'essere.
Così è la Trinità, così sono i cristiani nel mondo!
Ed alcuni sono chiamati in modo speciale a far sì che tutto il "corpo" risponda a questa stupenda ed inebriante vocazione di essere "sale della terra", "luce del mondo". Il prezzo: lo "svuotamento" di sé, per amore dell'uomo, come Gesù.


venerdì 3 aprile 2009

Amore e Dolore

5 aprile 2009 – Domenica delle Palme (B)

Parola da vivere

Veramente, quest'uomo era Figlio di Dio! (Mc 15,39)


Iniziamo una settimana più da vivere che da celebrare. Le rappresentazioni, più o meno artistiche, della passione di Gesù non sempre aiutano a vivere il mistero della sua morte, così pure certi riti tradizionali sembrano esaurirsi in compassione e lacrime, ma si spengono sul silenzio del sepolcro.
L'entrata di Gesù in Gerusalemme, profezia del Regno del Messia, ci invita a mettere come tappeto per l'asinello che porta Gesù, le nostre illusioni religiose, le presunzioni di essere tra i buoni, tra quelli che non l'hanno tradito e abbandonato.
Una settimana per imparare ad amare, come Lui, ogni volto di dolore come volto di Cristo, per riconoscere in ogni dolore, mio, di chi mi sta accanto, dei popoli e della Chiesa, la passione di Cristo, il luogo dove Lui nell'amore è Dio e nel dolore è tutta l'Umanità. Lo riconosceremo nell'annientamento dell'Eucaristia, nella tragedia universale della "via crucis", strada che percorre i cuori e i luoghi di ogni sofferenza umana, nel silenzio straziante sulla croce dove sembra realizzarsi per tre giorni la vittoria del buio, della distruzione e del caos.
Nel Vangelo di Marco è un soldato, simbolo dell'arroganza, del potere e della forza che ci annuncia la Pasqua, la nuova vita: "quest'uomo era Figlio di Dio!" e ci apre alla speranza di aver riconquistato un posto nel cuore del Padre.

Testimonianza di Parola vissuta


IL NONNO

Avevo sette anni quando i miei genitori hanno divorziato. Mio padre, pur buono, non era una persona affidabile. Programmava di venirci a trovare nei week-end, poi si dimenticava; prometteva di portarci con lui in vacanza, ma ciò non si è mai realizzato; per mesi non ci ha dato il sostegno economico.
Quando mi sono sposata, noi andavamo a trovarlo ed eravamo sempre bene accolti, ma lui non veniva mai da noi. La nostra giovane famiglia cresceva e questo comportamento mi sembrava sempre più difficile da capire. "Se vuole vedere i suoi nipoti deve venire qui!" pensavo, Ma poi ho capito che, se avevo scelto di vivere per l'unità e la pace, non potevo ragionare così. Abbiamo quindi deciso di andare a trovarlo regolarmente, con affetto, senza aspettarci nulla in cambio. In questo modo, le vecchie ferite hanno cominciato a rimarginarsi, il passato è divenuto una barriera superata. Il frutto più visibile è stato il rapporto che i nostri figli hanno costruito con mio padre: inconsci delle ferite del passato, sono cresciuti nel!'amore per il nonno.
L'anno scorso la sua salute è andata peggiorando. A settembre ci ha lasciati Eravamo al suo capezzale, abbiamo pregato con lui e per lui, è morto nella pace, sapendo che avremmo preso cura di ogni sua cosa, dei suoi amici, dei suoi interessi, in modo particolare del suo cane.

(N.N., USA)


(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)


giovedì 2 aprile 2009

Quella presenza di Dio

Sono passati quattro anni da quel 2 aprile 2005, quando, lasciando il mondo sgomento, ci ha lasciati… ma per essere ancor più presente, perché in Dio; quel Dio che "lungamente si chinò" su di lui.

Freschissimi sono i ricordi di quel "pellegrinaggio" di quattro anni fa (di cui scrissi qualcosa lo scorso anno).

Oggi voglio ricordare Giovanni Paolo II trascrivendo una sua poesia, tratta dal "Canto del Dio nascosto" del 1944.



Qualcuno si chinò lungamente su di me.
L'ombra non pesava sull'orlo delle sopracciglia.
Come luce colma di verde,
come il verde, ma senza sfumature,
un indicibile verde posato su gocce di sangue.

Questo dolce chinarsi, pieno di freschezza ed insieme di arsura
Che cala dentro di me, eppure mi resta sopra,
anche se passo poco lontano – proprio allora diviene fede e pienezza.

Questo dolce chinarsi, pieno di freschezza ed insieme di arsura è silenziosa reciprocità.

Chiuso in quella stretta – come ad una carezza sul volto
Dopo la quale vi è stupore e silenzio, silenzio senza parole
Senza nulla comprendere o bilanciare
In quel silenzio sento, sopra di me, il chinarsi di Dio.