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mercoledì 25 novembre 2009

Uguaglianza nella fraternità


Ho letto un articolo, nella sezione Rubriche del periodico Vita Pastorale (n. 9, ottobre 2009), di Dario Vitali dal titolo Uguaglianza nella fraternità. Si parla del rapporto tra il popolo di Dio e la gerarchia alla luce del Vaticano II, soprattutto del sensus fidelium.
In questo anno dedicato ai sacerdoti, la lettura di questo articolo mi ha dato la conferma di come ci si debba rapportare all'interno dell'unico Popolo di Dio: siamo fratelli, con mansioni diverse, e come tali ci dobbiano trattare, nella comunione trinitaria. Il compito di essere al servizio della comunità che mi è stata assegnata mi spinge ad approfondire sempre più quella dimensione spirituale del servizio «nella linea di una spiritualità comunitaria in cui si tenda a testimoniare la natura comunionale della Chiesa» (Direttorio 46).

Si legge nell'articolo citato:
«(…) Il dettato di LG 12 non si presta a equivoci: «La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l'unzione dello Spirito Santo non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è peculiare mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando "dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici" esprime l'universale suo con senso in materia di fede e di costumi".
Il soggetto di questa funzione di intelligenza della fede è la universitas fidelium, la totalità dei battezzati, "dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici". L'idea che sta al fondo della contestazione è che l'attribuire questa funzione profetica del popolo di Dio anche a quanti appartengono alla gerarchia si risolva necessariamente con l'esproprio di un diritto dei fedeli. Quasi che una funzione, per avere rilevanza, non possa che essere esclusiva, configurandosi in rapporti di forza e quindi - in ultima analisi - come forma di potere.
La conseguenza è di trasformare il sensus fidelium in una specie di opinione pubblica all'interno della Chiesa. (…)
Nessuno ha il monopolio dello Spirito: nemmeno il magistero, che ha la grave responsabilità di "non spegnere lo Spirito, di non disprezzare le profezie, di esaminare ogni cosa e tenere ciò che è buono" (1Ts 5,19-21). Nessuno è "al di sopra della parola di Dio" (cf Dei Verbum 10): nemmeno il magistero, che "la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per comando divino e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente l'ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone" (idem).
In questa direzione, il fatto che anche i ministri ordinati appartengano alla universitas fidelium, non in ragione del loro ufficio ma in quanto battezzati, non è un elemento secondario e trascurabile. Già Agostino chiariva bene questa condizione, quando diceva: "Cristiano con voi, vescovo per voi". (…)
A ragione si è parlato di rivoluzione copernicana, che ha scardinato - almeno in termini di principi - la distinzione tra Ecclesia docens et discens, e quindi l'impostazione piramidale dell'ecclesiologia preconciliare, che riduceva i fedeli al rango di sudditi. (…)
Imparare e vivere effettivamente l'uguaglianza, nella fraternità cristiana del corpo di Cristo, è per la Chiesa la sfida di una vera e propria conversione; è - se si vuole - la vera "scuola di comunione". Comunione che sarà effettiva, se e quando il primato della vita cristiana si tradurrà nel primato della persona, attraverso la scelta di privilegiare anzitutto la relazione, e quindi l'incontro con l'altro, l'ascolto, il dialogo. Non per una concessione a una qualche tendenza democratica nella Chiesa, ma per il rispetto della verità delle cose: se "Dio parla agli uomini come ad amici" (DV 2), ogni battezzato, per il sensus fidei che lo rende partecipe della funzione profetica di Cristo, ha diritto di dire e di essere ascoltato nella Chiesa».

Vorrei concludere ricordando Presbyterorum ordinis 9: «I sacerdoti del Nuovo Testamento (...) sono discepoli del Signore, come gli altri fedeli, chiamati alla partecipazione del suo regno per la grazia di Dio. (...) membra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti».


2 commenti:

  1. Caro Luigi avevo avuto modo anche io di leggere lo scritto di Dario Vitali e di rifletterci sopra. Spero che l'anno sacerdotale non sia solo un momento per sollecitare "nuove vocazioni al sacerdozio ministeriale" ma anche e, direi, soprattutto, un anno nel quale ogni fedele riscopra veramente il proprio essere sacerdote, re e profeta con pari dignità in un Chiesa comunione. Credo che questo sia uno dei frutti più importanti. Ecco perchè considero questo anno un anno da dedicare all'educazione del cuore di tutti i battezzati e non solo per i sacerdoti chiamati dal Signore a servire il popolo di Dio.
    vincenzo

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  2. Penso, Vincenzo, che sia proprio così, come dici.
    ...e una nuova coscienza di chiesa, con un cuore rinnovato, per tutti (in cui ci sono anche i sacerdoti) è quello che ci vuole.
    Un abbraccio, Luigi

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