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mercoledì 30 settembre 2009

Accanto ai "lontani"


Il vangelo di domenica scorsa (Mc 9,38 e seg), con l'episodio di una certa intolleranza verso chi non è "dei nostri", ci ha fatto fare un esame di coscienza sul nostro personale e comunitario rapportarci con quelli che non sono "istituzionalmente" controllabili, eppure agiscono nel nome di Gesù o perseguono valori prettamente evangelici. Sono quelli che normalmente vengono chiamati "lontani". Vivono accanto a noi, li abbiamo in casa…
Come si colloca il mio essere a servizio della comunità, come diacono?
Sono animazione di quella diaconia che è accoglienza di ogni essere umano, che è segno ed immagine del Cristo presente in mezzo a noi, anche di chi non la pensa come noi o appartiene ad altra religione o non ha un riferimento specificatamente religioso?

Claudio Arletti nel suo commento a questo vangelo ci ricorda il "lontano" che ci interpella. «Chiamiamo "lontani" (parola usata abbastanza di frequente nel gergo ecclesiale) coloro che non si riconoscono nella comunità parrocchiale o nelle associazioni e movimenti cattolici. Chiamiamo "lontani" coloro che, in qualche modo, avvertiamo essere su una linea differente dalla nostra, quanto alla fede e alla sua prassi. Il vangelo di oggi mette profondamente in questione questa categoria e noi che l'abbiamo creata. I non appartenenti, infatti, da chi sono "lontani"? O da dove sono "lontani"? La lontananza da un certo modello di comunità ecclesiale è sempre identificabile con la lontananza da Cristo?
La pagina di Marco che abbiamo letto sembra distinguere nettamente il modo in cui Giovanni e il Maestro percepiscono questa categoria. E se i lontani li creassimo noi? Se fossimo noi a creare dei confini rigidi, in base ai quali c'è chi è dentro e chi è fuori?
L'obiezione mossa dall'apostolo all'esorcista non autorizzato si muove su due registri: il verbo "seguire" e il pronome "noi". Il verbo utilizzato è quello tecnico della sequela. Se il discepolo non si mette in atteggiamento di sequela, non è tale. Il problema è il complemento che fa da oggetto al verbo. Mai Gesù, anche quando già un piccolo gruppo si è costituito, chiama a sé nuovi discepoli usando il "noi". La sequela cristiana non consiste nell'aggregarsi a un gruppo, ma nel mettersi sulla strada di Cristo, lungo la quale incontro altri fratelli che la percorrono con me e per il mio stesso motivo.
È importante notare come i confini del Regno ospitino chi si prende cura dell'uomo e dei suoi mali. L'amore di Dio opera per riscattare gli ultimi, per cambiarne in meglio le condizioni di vita. La via della Chiesa non è la comunità ecclesiale intesa come tramite e fine di tutto. Il "lontano" allora ci interpella e ci provoca. La sua opera al servizio dell'uomo interroga la nostra pigrizia e il nostro culto, a volte così sterile e incapace di produrre solidarietà. Diversamente, la sequela di Cristo può anche produrre scandalo. L'intolleranza dei credenti ha un qualcosa di scandaloso, che ostacola il cammino dei piccoli».

Questa riflessione mi riporta al mio più genuino "essere per gli altri", presenza di quella chiesa che vuole essere accoglienza e segno dell'amore di Dio per tutti.
Il Direttorio mi ricorda: «I diaconi cerchino di servire tutti senza discriminazioni, prestando particolare attenzione ai più sofferenti e ai peccatori. La diaconia, infatti, deve far sperimentare all'uomo l'amore di Dio…» (nr. 38).

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