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domenica 3 maggio 2009

Il pastore e il mercenario


L'immagine del pastore che non scappa di fronte al lupo, come fa il mercenario al quale "non importa delle pecore", ma difende con la propria vita il suo gregge, è sintomatica di chi ha ricevuto un incarico particolare nella comunità.
Mi sono rivisto davanti a questo dilemma, che alle volte mi ha toccato, di dover perdere la faccia (e non solo) perché coinvolto nelle sofferenze dei miei fratelli.
La vita che mi è chiesta è un quotidiano donarsi agli altri e un continuo "perdesi" in essi, a cominciare dalle persone con le quali condivido la mia vita, fino a quelle che mi sono affidate. Questa continua e meravigliosa palestra che è la vita in famiglia è la garanzia che il mio essere per gli altri non è falso.

«Il pastore offre la propria vita perché conosce le pecore come il Padre conosce Lui. Più che mai qui il verbo "conoscere" ha sfumatura di intimità. È la conoscenza che nasce dall'amore e permette un amore consapevole. Questo amore è destinato a dilatarsi all'infinito.
Non è possibile salvare l'altro, salvando anche se stessi da ogni coinvolgimento gravido di conseguenze. Se l'amore è creazione di comunione e condivisione, i pesi dell'altro diverranno anche i miei pesi.
Davanti al lupo, non c'è alternativa: o perisce chi guida il gregge o perisce il gregge abbandonato dalla falsa guida. Il modo in cui la luce vince le tenebre è divino, misterioso: sembra che le tenebre soffochino la luce.
Qui sta la grandezza dell'offerta esistenziale del Pastore. Il dono è tanto più grande quanto più è libero. Egli depone (la vita) "da se stesso". Il verbo greco, densissimo, è il medesimo con cui al cap. 13 (del vangelo di Giovanni) viene descritto il "deporre" le vesti da parte del Maestro per lavare i piedi ai propri discepoli. La "deposizione" della vita si chiarisce attraverso quel gesto, dove tutto assume il sapore del servizio. Un dono offerto senza riserve e in piena libertà». (Citazione dal commento di Claudio Arletti).

Succede spesso che chi viene in chiesa venga per motivi non prettamente religiosi, forse in occasione di eventi particolari, come un battesimo. E si senta apostrofare che se non ha interesse a rimanere alla celebrazione è meglio che se ne stia fuori…
Ho provato a mettermi nei panni di quelle persone che sono uscite di chiesa… che hanno sicuramente percepito un senso di rifiuto e non di accoglienza, anche se non erano di quel "recinto"…

La comunità è veramente una casa che accoglie?
Certo che il poter "dare la vita" (e di questo dobbiamo rendere conto) è un dono che ci viene dall'Alto e che dobbiamo chiedere sempre!



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