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venerdì 6 marzo 2009

Dalla morte, la vita

8 marzo 2009 – 2a domenica di Quaresima (B)

Parola da vivere

Dio ha dato il proprio Figlio per noi tutti (Rm 8,32)


Se c'è un campione della fede nella storia sacra del popolo eletto è proprio Abramo. Per amore a quel Dio unico, immenso come i cieli stellati e profondo come gli oceani, ha lasciato tutto e Dio lo ha ricompensato con un figlio. Per amore allo stesso Dio che gliela chiede, come se fosse un capretto per l'altare delle offerte, è pronto a sacrificarlo, a distruggere il frutto del suo sangue. Riceve una promessa inebriante: sarai padre di tutti i popoli.
Quello che Dio non ha permesso ad Abramo, Lui stesso lo fa: sacrifica il suo Figlio perché l'amore di Gesù, infinito come quello del Padre, rigeneri ognuno di noi come figlio prediletto.
È un mistero che stordisce, come quello della Trasfigurazione davanti ai tre apostoli prescelti. È luce piena, certezza, piacere indicibile, inspiegabile quando ritorniamo a camminare sulle vie dolorose del nostro mondo. Bisogna che il figlio dell'uomo soffra molto, muoia... Senza la crocifissione, non c'è trasfigurazione. Solo se moriremo con Lui riusciremo a capire la Pasqua e a proclamarla come gioco di morte e di vita, di luce che sconfigge le tenebre. Buttiamoci a vivere la passione di Cristo con la tenacia del suo amore, per diventare annuncio di novità che conquista. Non possiamo dire niente a nessuno, come Gesù chiede agli Apostoli, finché Lui non sia risorto e vivo in noi.

Testimonianza di Parola vissuta


Quando giunsi nell'attuale parrocchia, trovai un giovane collaboratore verso il quale avevo mille attenzioni; tuttavia qualcosa non è funzionato bene, dopo qualche mese ho notato una strana sofferenza in lui, fino a un mattino in cui, con voce alterata, ha cominciato a protestare per cose che secondo lui non andavano; una cosa del genere proprio a me, che avevo la certezza di aver trattato il mio collaboratore come il mio prossimo del Vangelo. Ma mi resi conto che ero io fuori strada. Capii che l'unica cosa da fare era di donare al mio collaboratore un supplemento d'amore, e così feci. In breve tempo tornò il sereno in tutte e due le parti.
Passarono alcuni anni e il Vescovo affidò al collaboratore una parrocchia. Egli stesso mi chiese di accompagnarlo con la mia vettura e di presentarlo alla nuova comunità; nei mesi seguenti mi telefonava sovente, oppure chiedeva di andarlo a trovare per aiutarlo nell'attività pastorale. Anche ora i nostri rapporti sono sempre momenti di festa.
All'inizio del ministero in parrocchia, ricevetti da una persona amica un preciso suggerimento: "Creare rapporti, creare rapporti!". Era una buona comunità, vivace; cercai di "fare famiglia", e in breve crebbe a dismisura una speciale vitalità: un impulso nuovo alle vocazioni (tre sacerdoti novelli negli ultimi anni, uno studente di teologia, diversi seminaristi, alcuni giovani in attesa di finire le scuole pubbliche per entrare in teologia, e da ultimo l'ordinazione di due diaconi permanenti: un medico geriatra e un meraviglioso professionista); la liturgia, diventata una festa di famiglia dove tutto parlava; la catechesi, che si allargava a macchia d'olio. Tante volte mi sono sentito dire: "A te non si può dire di no!"; ma io correggevo: "A Dio non si può dir di no!".
Forza portante di questo clima di famiglia era un certo gruppo che viveva una forte spiritualità. Che poi non era numeroso, ma col suo stile decisamente "mariano" non appariva, ma c'era e io lo avvertivo. A volte bastava guardarsi per capirsi nel fondo dell'animo... ma specialmente era garanzia della divina presenza.

(Un parroco)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)


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