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domenica 25 gennaio 2009

La lieta notizia

Gesù venne in Galilea «annunciando la lieta notizia di Dio» (Mc 1,14).
Rileggo il commento di Claudio Arletti sul vangelo di questa domenica (III del T.O. B).
Alcuni passi (che riporto in corsivo) mi hanno reso più vicino a Colui che annunciando il Regno di Dio propone in realtà se stesso, la sua persona, quale "luogo" di incontro e di conversione.

Gesù venne in Galilea «annunciando la lieta notizia di Dio». Se lui in persona, è la lieta notizia, ripetere le sue parole come se fossero solo un invito stringente alla conversione sarebbe un tradimento alla presenza dello Sposo dell'umanità che è anzitutto festa (Mc 2,19). Molto della degenerazione del cristianesimo in moralismo nasce proprio dall'omissione dell'indicativo della salvezza, a favore del solo imperativo etico. Tutto consisterebbe nell'adempimento di leggi e basta.
Il sopraggiungere di Gesù fa coniugare lo scorrere dei giorni a una sensazione di pienezza e felicità. Invece, capita che siano la noia e la sazietà, rispetto a quanto facciamo, a colorare il tempo che passa. Non c'è novità. Le parole del vangelo indicano, al contrario, il tempo come "occasione". C'è come un treno che sta passando. Un incontro si affaccia all'orizzonte. Il futuro è qui, ora. Il tempo è gravido di Dio. Il nome di questo futuro ha il suono altisonante delle potenze di questa terra: Regno. Il modo in cui Gesù declinerà un termine così ambiguo dà fondamento a quella speranza cui non vogliamo rinunciare: il Regno, che lui è, sarà per gli esclusi, per gli emarginati, per i semplici. Sarà per chi non intende la propria libertà come autonomia ma come possibilità di scommettere sull'amore.
Per questo la conversione che Gesù domanda è indicata con un termine che significa "cambiare logica", "cambiare mentalità".

La novità sta proprio nell'incontro con quel Dio che si è fatto uno di noi: in Lui, assieme a tutti i poveri, i delusi, gli esclusi, miei compagni di cammino, ha senso ogni istante della vita, ogni scelta sia pur dolorosa da prendere e da non subire…
In questo "luogo" ed in questo "tempo-occasione" si gioca il mio essere al servizio degli altri nella forma che sono chiamato a concretizzare.

La chiamata dei primi discepoli: Se il Regno si è fatto vicino, allora è possibile che nella più nuda ferialità, in una normale giornata di lavoro, colui che è il Regno mi venga a cercare, senza che io debba fare un passo, e mi rivolga un invito che capovolge la direzione dei miei sforzi. Gesù vede e chiama.
I pescatori di Galilea cambieranno tutto senza mutare nome: rimarranno pescatori, ma non lavoreranno più per sé o per una famiglia, né per il proprio profitto. Dovranno lasciarsi prendere dall'urgenza del Regno e cercare fratelli da spingere perché entrino alle nozze dell'Agnello.

Così è stato anche per me e per quelli che come me sono chiamati ad un servizio qualificato nella comunità: abbiamo continuato nel nostro lavoro, non abbiamo abbandonato la nostra famiglia, né abbiamo lavorato per il nostro profitto.
Tutto quello che abbiamo continuato a fare si è allargato su orizzonti che abbracciano confini che solo lo sguardo di Dio può contenere, coscienti che, amando chi ci passa accanto nel momento presente, amiamo Dio e, in quella persona, l'umanità intera. In questo modo contribuiamo a costruire la comunità degli uomini amati da Dio.

Gesù è colui che "subito" chiama uomini, i quali "subito" girano pagina in un grande atto di affidamento. Cosa dobbiamo attendere infatti, se il tempo è compiuto? La gioia si accompagna sempre alla scioltezza per cui siamo capaci di agire con determinazione, ma senza angoscia o panico. La scena della prima chiamata traduce perfettamente questo binomio: è possibile gioire; è possibile mutare vita nella semplicità di un gesto che cambia tutto e apre all'incontro con il volto di Cristo.


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