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venerdì 30 maggio 2008

Costruire sulla roccia

1 giugno 2008 – 9a domenica del Tempo ordinario (A)

Parola da vivere

L'uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia (Mt 7,24)


Saggio è colui che è guidato dalla Sapienza. Colui che ha scoperto Dio come rupe che lo accoglie, roccia che gli dà sicurezza, baluardo che lo salva nella misericordia, dono di sentirlo come Amore.
Come allora rispondere all'amore di Dio? "Non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre che è nei cieli, veramente lo ama".
Amare Dio dunque non è un fatto di sentimento, ma di volontà: fare la volontà di Dio. Anzi, essere la volontà di Dio su di noi, in ogni momento, perché sempre vogliamo amarlo. Fare la volontà di Dio è identificarsi con Lui che è amore. Quindi nell'amore si realizza ogni attimo della nostra vita, così colmata della nostra tensione alla santità.
Questo ci insegnano i santi: non di imitarli nelle circostanze particolari della loro vita, ma nella divina volontà su di loro, che ha fatto di ciascuno capolavori di Dio, poiché riflettono la verità che Dio è amore.
Siamo sicuri di cogliere la volontà di Dio su di noi nell'attimo presente? Sì, se seguiamo la voce di Dio dentro di noi. Soprattutto se passiamo subito ai fatti, senza fermarci alle dispute inutili. "A chi mi ama, mi manifesterò!".

Testimonianza di Parola vissuta


Mentre ero in vacanza, ho vissuto un'esperienza speciale con le mie due figlie. La maggiore è stata ricoverata d'urgenza in ospedale. Chi si sarebbe presa cura della sua bambina di 16 mesi? La minore andò subito a casa sua. Io ero in apprensione. Come potevo stare in vacanza? Come mamma e come nonna dovevo correre subito là!
Però era anche vero che avevo necessità di quel breve ed unico periodo di riposo... Così ho atteso la telefonata successiva. Intanto pregavo, anche per poter capire cos'era giusto fare. Mi sembrava di camminare su un filo... Ero continuamente aggiornata: Kate aiutava la sorella e custodiva la piccola Liz; mi dicevano che tutto andava liscio anche senza di me!
Più tardi raccontai alle figlie come era stato difficile per me capire la giusta decisione. Loro ridevano ed ebbi modo di vedere come tutte e due erano diventate più solidali, più mature. Ho capito che non devo lasciarmi prendere dall'agitazione ma cercare di capire, nell'amore, quale è il posto giusto per me nel momento presente.

(L.H., Germania)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

venerdì 23 maggio 2008

Molti un sol corpo

25 maggio 2008 – Corpus Domini (A)

Parola da vivere

Noi siamo, benché molti, un corpo solo (1Cor 10,17)


Percorrendo la storia sacra di Dio con il suo popolo, troviamo anche i passi della nostra storia.
Avventure di fame e di sete, un continuo dibattersi tra le necessità materiali e spirituali della vita che sottendono l'unica tensione vera di ogni uomo: ritrovare l'unità con la natura, risalire alle origini per scoprire il senso del vivere. Siamo nati da Dio e solo in Lui troveremo il traguardo del nostro peregrinare. Dio si è fatto uomo, pellegrino con noi, per accompagnarci in questo cammino: nati da Dio per ritornare a Dio.
Per questo il Regno di Dio tra gli uomini è spesso paragonato alle nozze, al banchetto che celebra l'unione degli sposi. In questo banchetto lo Sposo, ci invita alla unione che ci riporta tutti, come in un unico corpo, in Dio: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui... colui che mangia di me, vive per me...".
Vivere per Gesù vuoI dire amarlo in ogni atto che facciamo, dicendo: "Per Te, Gesù!", fino a che l'amore avrà invaso tutto, anche la croce, anche la morte, trasformando tutto nell'amore più grande che è dare la vita per i nostri fratelli, per Lui in loro. Non c'è altra strada per portare all'unità gli uomini e con loro il cosmo.


Testimonianza di Parola vissuta

Vicino a casa mia, seduta per terra c'era una signora tutta velata, compreso il viso. Suo figlio mi ha detto che venivano da un villaggio nel deserto e che la madre aveva una brutta malattia della pelle, con piaghe e pus. Erano venuti al dispensario vicino a noi perché si diceva che lì le persone erano curate bene. Ma per il momento non c'era posto e non sapevano dove andare. La donna aveva un odore cattivo così forte che nessuno voleva avvicinarla.
In quel momento mi sono ricordata che dovevo amare il prossimo come me stessa... Sorelle e cognate mi sgridavano: "Lasciala perdere che ti contagi, non ti avvicinare!". Ma io le ho portato da bere e da mangiare. Poi le suore hanno trovato posto in corridoio e io andavo spesso a trovarla. Vedevo solo i suoi occhi; quando arrivavo si illuminavano.
Un giorno il figlio mi ha detto: "È così da tanto, nessuno la voleva curare, le mie cognate l'evitavano, io non mi sono sposato per starle vicino". Dopo un mese è guarita. Era felice e io più di lei. È tornata al suo villaggio.

(M.F., Pakistan)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

sabato 17 maggio 2008

Secondo l'amore trinitario


Nell'ultimo numero della Rivista il diaconato in Italia (marzo/aprile 2008 – 149), nella rubrica Comunicazioni è stato pubblicato un mio breve intervento dal titolo Secondo l'amore trinitario.
Lo confesso, ho sempre cercato di capire, anche alla luce della mia personale esperienza, il significato del diaconato all'interno del ministero ordinato.
Il problema mi nasce dalla domanda che mi pongo sul significato del diaconato in rapporto al presbiterato, perché – ne sono convinto - non occorre essere diaconi per fare quello che normalmente (e forse meglio) fa un semplice laico; e d'altra parte quello che potrebbe fare un diacono è stato fatto, e si continua a fare, dal prete.
Quindi non su questo versante penso ci si debba muovere, piuttosto su quello del segno, e del segno sacramentale.
D'altra parte non ho mai capito il diacono distaccato dal prete, quasi autonomo: si tratta di distinzione di ruoli all'interno dello stesso sacramento dell'ordine. Direi che il rapporto all'interno del sacramento è di tipo trinitario; un'unica realtà, un'unica presenza di Gesù, ma che si esplica in modo diverso, quasi facce di un'unica medaglia.
L'unità è espressa dal vescovo, sintesi e completezza del segno sacramentale, da cui si aprono due braccia (non identiche), il prete e il diacono, quali canali di grazia per la comunità. È l'amore di Gesù, Capo e Sposo, per la Chiesa, che si esprime attraverso il prete e il diacono, partecipi ambedue (anche se in modo distinto e loro proprio) alla «gratia Capitis». Gesù, infatti, fondò la sua Chiesa sugli apostoli i quali associarono a sé i loro collaboratori.
Per quanto riguarda il diacono, se non sviluppo la riflessione sulla realtà del segno, non comprendo appieno la sua funzione, dato che non è per quello che fa che esprime qualcosa di specifico, ma per quello che è, sia in rapporto al prete, sia alla comunità che è chiamato a servire assieme al prete. Infatti, ambedue i ministri, ognuno nel proprio ordine, sono chiamati ad essere al servizio della comunità cristiana, in «persona Christi»: è un vivere a mo' della Trinità una realtà collettiva, essendo collettiva la natura stessa dell'ordine sacro.

Ecco l'articolo:

Secondo l'amore trinitario
La realtà del segno sacramentale è un tramite di grazia, e così la presenza del ministro (prete - diacono) in seno alla comunità produce effetti particolari, come rendere la comunità "matura", farla crescere non solo singolarmente nei suoi membri, ma come corpo, la fa crescere nel suo insieme quale Chiesa, Corpo di Cristo.
Il presbitero, segno dell'unità, dell'amore che porta all'unità, che riconduce tutto all'uno; il diacono, segno della distinzione, cioè dell'amore concreto, fatto di singoli atti, amore incarnato nel tessuto sociale, umano, amore che va incontro ai bisogni concreti delle persone, della gente; amore però che deve avere le caratteristiche della "carità", altrimenti non vale nulla, è "cembalo risonante" (cf 1Cor, 13,1s); carità che per sua natura porta all'unità. Se non fosse così, questo amore concreto non edificherebbe il Corpo di Cristo, componendo le membra in unità. Ma dato che il diacono è segno sacramentale di Cristo, ha in sé la grazia per attuarlo.
Rapporto quindi di complementarità tra prete e diacono: in questo senso vedo la presidenza, espressa dal sacerdote, quale segno dell'uno e la diaconia espressa dal diacono. È da notare che sia il sacerdozio che la diaconia sono vocazioni della chiesa, di tutto il popolo cristiano: i ministri servono la comunità dei battezzati sostenendo con un "carattere" specifico queste caratteristiche sacerdotali e diaconali della chiesa. In questa ottica trinitaria ho riletto il passo di Ignazio di Antiochia (Lettera ai Trallesi 2,3) sui tre ordini: «Tutti onorino i diaconi come Gesù Cristo, così anche il vescovo che è tipo del Padre; i presbiteri come sinedrio di Dio e collegio degli apostoli: senza di questi non si dà chiesa».
Mi ha impressionato il fatto che siano i diaconi ad essere accostati a Gesù Cristo e non i presbiteri; e quando l'ho letto la prima volta è stata una conferma di quanto sentivo dentro di me.
Il rapporto tra i tre ordini è trinitario: il vescovo a mo' del Padre, il diacono a mo' del Figlio, i presbiteri (anzi, il collegio dei presbiteri) a mo' dello Spirito Santo.
I presbiteri sono visti nel loro aspetto collettivo (il presbiterio), nella comunione tra loro: legano e accordano il rapporto tra il vescovo e il diacono, quasi corona, espressione dell'amore che accoglie.
In questa realtà, resa quasi plastica dalla rappresentazione rituale, liturgica, il diacono sta alla destra del vescovo (il Figlio alla destra del Padre) e lo serve: in questo rapporto fanno corona i presbiteri che contengono i due, quale espressione del loro amore, essendo loro stessi amore. Su questo aspetto del diacono quale figura di Gesù mi ha confermato quanto espresso dalla definizione stessa del diacono (quasi la sua Parola di Vita), quale figura di Cristo Servo, di Colui «che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita» (Mt 20,28).
In realtà è su questo aspetto che conviene soffermarci: è segno sacramentale di Colui che «dà la vita», un amore concreto, fin nei minimi particolari, fino alla fine. Non per nulla il diacono è «ministro del calice» (del Sangue di Cristo)! Non certo per una semplice ritualità, ma per il suo significato intrinseco che nei segni eucaristici prende forma.
Il pane e il vino significano il Corpo e il Sangue di Cristo. Non indicano tanto due aspetti anatomici di Gesù, quanto piuttosto il mistero di Gesù che ci ha amati fino a dare la vita, realizzando in sé l'unità dell'umanità, l'unità tra noi e con Dio, l'unità del suo Corpo: il pane e il vino, segni dell'unità (il pane) e dell'amore concreto fino al sangue versato (il vino). Nella liturgia, al termine della preghiera sacerdotale, si offre al Padre Cristo stesso nei segni del pane e del vino, cioè del Corpo e del Sangue, per le mani del vescovo (pane) e del diacono (calice).
Tuttavia, il ministero ordinato, pur rapportandosi in modo trinitario (Padre, Figlio, Spirito), nella sua unità è segno di Cristo e sua presenza speciale nella Chiesa. In effetti, nel "vivere" questa relazione faccio esperienza del Padre, del Figlio e dello Spirito, ma sempre «attraverso il Figlio», dell'unico Gesù presente nel vescovo, nel presbitero, nel diacono, quasi una conferma delle parole di Gesù a Filippo: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9), sapendo che non si può andare al Padre se non per mezzo di Lui (cf Gv 14,6), «che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1,3).

venerdì 16 maggio 2008

Nella luce della Trinità

18 maggio 2008 – Santissima Trinità (A)

Parola da vivere

La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi (2Cor 13,13)


Il segno della croce con l'evocazione della santissima Trinità ormai è presente dai primi anni dell'esistenza all'ultimo respiro dei morenti. Lo facciamo sulla mensa quotidiana, nei momenti di ansia o di tensione, è abusato nelle competizioni sportive e nei campi da gioco, fino a diventare un gesto magico o propiziatorio.
Anche la Liturgia della Chiesa lo pone all'inizio di ogni rito, con le parole di saluto dei primi cristiani: la grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con voi... Può diventare anche un gesto meccanico, senza anima, una semplice abitudine.
In realtà è più che un rito, più che una preghiera. È la sintesi della nostra storia, la continua scoperta di essere in Dio e di crescere e muoversi in Lui in una partecipazione piena alla Sua vita.
Il nostro incontro con Gesù, attraverso la sua Parola, ci ha fatto scoprire una parentela profonda tra noi e Lui, quando siamo nell'amore. Da dentro sentiamo circolare come un sangue nuovo che ci avvolge come in un circolo di meravigliosa armonia con noi stessi, con le realtà che ci circondano, con il passato; nel presente non ci sentiamo più soli, orfani: sboccia sulle nostre labbra la più bella espressione che sia mai stata pronunciata, la più bella preghiera che solo può nascere da un Figlio, uno come noi e quindi fratello, che ci fa provare la dolcezza di essere cullati nell'essenza di Dio: PADRE NOSTRO.


Testimonianza di Parola vissuta

Quando sono nata la mia mamma mi ha abbandonato. Ero sola perché il mio papà non mi voleva ed ha deciso di affidarmi alla nonna, pur continuando a vivere nella nostra stessa casa. Nella mia testa si è così creata una grande confusione. L'ambiente a casa non è dei migliori. Vivono con noi infatti anche due zie che però conducono una vita sregolata. La nonna, che io chiamo mamma, ha sempre sofferto moltissimo per questa situazione anche perché, pur dandosi tanto da fare, non è mai riuscita a trovare una soluzione.
Quando ho incontrato Dio e l'ho scoperto presente, con il suo amore, nella mia vita, mi si è spalancato un altro mondo, diverso da quello nel quale vivevo. Ho capito il significato dell'amore, il valore della purezza. Buttarmi ad amare, amare, amare, mi ha aiutata a rimanere fedele alla mia nuova vita.
Un giorno ho iniziato a provare vergogna per la situazione della mia famiglia e volevo fuggire. Grazie all'aiuto dei nuovi amici che avevo conosciuto, ho capito che non dovevo rifiutare quel dolore, ma tornare a casa e ricominciare ad amare. Ancora adesso, a volte, mi è difficile accettare questa situazione, ma la cosa più importante è che Dio mi ama immensamente. Questo mi dà una incredibile libertà e la forza di andare avanti e di ricominciare ad amare ogni giorno.

(Danielle, Brasile)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

mercoledì 14 maggio 2008

Rocco racconta (versare il proprio sangue!)

Ecco un'altra esperienza che l'amico diacono Rocco ci racconta sulle visite alle famiglie della sua parrocchia (vedi le altre esperienze nella rubrica "Rocco racconta").


Versare il proprio sangue!
Ascoltare i fratelli è caricarsi i pesi, condividere le fatiche, aiutarci nel cammino, dare speranza a chi non c’è l'ha. Il bussare alla porta delle case per la benedizione delle famiglie sta trasformandosi in una fatica che ha tutto il sapore del divino, con tutto il suo peso umano. Bussare ad una famiglia significa accoglierne il peso, la malattia, la tristezza, il dolore, la povertà, la lontananza da Dio: è morire con la tua gente, versare il sangue... Quel Sangue di cui tu da diacono ne sei "ministro". È vivere la speranza con chi non ha speranza.

Così anche oggi ho bussato alla porta di una famiglia. Mi accoglie la madre e mi fa accomodare. Non mi molla, perché il suo cuore è pieno, tanto che esclama: "Ho bisogno che qualcuno mi ascolti, perché non so a chi dire tutte le mie cose". E così inizia il suo racconto: Siamo poveri e con me vive mia figlia. Mio marito è in carcere da tre anni per un reato commesso e ne avrà almeno per altri tre anni. E mia figlia ha altri due figli e io non posso buttare fuori lei e i suoi due figli. Così le condizioni economiche a casa mia si sono fatte difficili. E poi se non bastasse: da una settimana hanno arrestato anche mio figlio per una cosa commessa quando era minorenne. Ora i pentiti lo hanno accusato ed è stato arrestato. Lui ci aiutava a portare avanti la famiglia, ma adesso le cose si sono precipitate. Tra avvocati, visite al carcere, di soldi ce n'è bisogno parecchio. Come fare? Noi non siamo gente di chiesa, non andiamo in chiesa, ma siamo persone che si vergognano e non usciamo nemmeno da casa. L'altro giorno siamo stati a chiedere un aiuto in una parrocchia, ma la cosa ci ha ulteriormente mortificati: un parroco cosa può offrire con tanti bisognosi che ci sono? E poi di lavoro non ce n'è. Con il marito in galera, come fai a cercare Dio? Dov’è questo Dio che lei dice che mi ama?

Volti diversi, ma ugualmente storie sacre: Signore, dammi tutti i soli, i poveri, gli abbandonati, perché li possa soccorrere, aiutare, incoraggiare. Così passo da un condominio all'altro. Ma dopo questa storia, anch’io mi fermo ad aspettare. Alla messa, che di lì a poco si celebra, verso tutto il dolore incontrato, e dico con tutto il cuore: Sei Tu, Signore, l’unico mio bene! Soccorri quella tua famiglia, quella che mi hai fatto incontrare pocanzi e manda il tuo Spirito, manda la Speranza, e fa tornare il sereno. Anche oggi, Signore, ti ho riconosciuto abbandonato, solo, povero, offeso, carcerato. A me hai fatto un dono, quello di essere come una spugna: andare per i condomini della mia parrocchia e asciugare le lacrime che incontro, perché Tu, Signore, sei il Risorto, il Dio con noi, il compagno di viaggio. Io credo e spero in Te! Continuerò a bussare… e se mi dovessi anche stancare o ammazzare per il Tuo nome, Tu hai già preparato per tutti noi un banchetto nel Cielo. Voglio condividere questo momento solenne con questa mia gente, privata di tutto, ma non del Tuo Amore.
A quella mamma alla fine dico: perché non viene in chiesa? Gesù l’aspetta. E lei: Sì, debbo venire!

A ogni giorno il suo dolore, anche oggi ho avuto il coraggio di bussare: Dammi sempre, Signore, di questo coraggio!


martedì 13 maggio 2008

Rocco racconta (solo la Carità!)

L'amico diacono Rocco continua nel racconto delle visite alle famiglie della sua parrocchia (vedi le altre esperienze nella rubrica "Rocco racconta").


Solo la Carità!
Se cerchi di amare solo Dio, fai esperienza delle Sue meraviglie, perché è Lui che continua a camminare nelle strade, nei condomini, nei quartieri, nelle scuole, nelle piazze; e noi cerchiamo di essere strumenti il più possibile docili per compiere la sua volontà.
Mi sono trovato a bussare in un altro condominio nel quartiere della mia parrocchia, dove procede giorno dopo giorno la benedizione delle famiglie di casa in casa. È un avventura meravigliosa. È come se Gesù bussasse… Chi ti risponde oggi? Una donna di 30 anni, madre di due bambini, il marito ammazzato nella guerra di mafia; e lei tutta sola. Mi racconta: Vivo con la speranza che oramai mi danno i miei bambini, perché, diversamanete, mi sarei già fatta fuori. Sì, vedi, non ho neanche una bombola del gas per riscaldare il latte… e io mi dispero.
Poi continua: Vedi la luce? È attaccata al piano inferiore dove abita mia sorella. Come farei altrimenti a pagare le bollette dell'Enel?
Se ti capita, portami qualche paio di scarpe; ti dò i numeri: il 27 per il più piccolo e il 33 per il più grande. Sai, di tanto in tanto vado a fare pulizie, lavoro in nero, perché altrimenti qui si muore di fame; e poi tu conosci la mia storia. Mio fratello aspetta che tolgano l'ergastolo a mio cognato; speriamo che gli diano gli arresti domiciliari. Vedi, qua si parla solo di questo e ogni giorno; e io sono preoccupata soprattutto per i miei bambini. Dio, sì Dio! Io ti ammiro perché tu ci credi e ci credi davvero. Hai coraggio a bussare a queste porte di disperati. Ma che vuoi, come si può pregare Dio?

Esco da quella casa condividendo tutta quella sofferenza: è un volto di Gesù! Bisogna fare qualcosa. Vado in chiesa e davanti al Tabernacolo chiedo a Gesù che mi procuri due paia di scarpe per Lui in quei bambini. E poi pian piano arrivano le scarpe, numero 27 e 33; arriva anche il latte e altri generi alimentari. Arriva soprattutto la speranza, perché con la scusa di portare qualcosa a quella signora, la vado a trovare ogni giorno.

La carità è il rapporto che si crea con questa gente: è la tua gente, quella che devi preferire, perché è proprio quella che più assomiglia al volto di Gesù abbandonato. E prego in fondo al cuore: Fammi partecipe, Signore, un po' del Tuo dolore, perché io ti possa rassomigliare un po'.


domenica 11 maggio 2008

L'unità dei carismi

11 maggio 2008 – Pentecoste (A)

Parola da vivere


A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito
per il bene comune
(1Cor 12,7)


Nella Pasqua abbiamo ricevuto il grande dono della libertà dalla schiavitù del peccato, siamo diventati uomini nuovi in Cristo. La Pentecoste con lo Spirito Santo offre questo dono, facendo l'unità nell'amore di quello che siamo e facciamo, l'unità dei carismi cioè di quelle grazie che vengono date a ogni cristiano per fare di lui uno strumento adatto a costruire la comunità cristiana là dove la provvidenza ci ha destinati a vivere.
Se vogliamo però contribuire al vero bene della comunità, non si può camminare per proprio conto, ma occorre saper lavorare insieme. È necessario armonizzare le proprie attività e i propri doni con quelli degli altri. San Paolo ci dice che i vari carismi dovrebbero essere animati e legati tra loro dall'amore scambievole, mettendo da parte i personalismi, le invidie, le ambizioni, i contrasti, le rivalità, in una parola tutto quello che è di ostacolo alla edificazione della comunità.Alla fine la Pentecoste mette fuoco nella nostra mente e nel nostro cuore perché la Pasqua sia una realtà perenne tra noi. Riunifica tutti nell'unica lingua dell'amore.


Testimonianza di Parola vissuta

Ci sono delle occasioni in cui Qualcuno decide di farci un regalo; a me è successo la sera di Sabato Santo. Don G., che conosco da vari anni, mi ha invitata a partecipare alla veglia di Pasqua nella sua parrocchia situata in una valle di montagna. Sono arrivata un po' in anticipo e ho potuto prima di tutto ammirare la bellezza della chiesa, maestosa ma nello stesso tempo molto accogliente, forse per il brulicare di persone che stavano prendendo posto e preparandosi alla solenne cerimonia ho capito proprio dall'impegno, l'attenzione, la gioia delle persone e di chi le preparava che avrei assistito ad une cerimonia importante; aspettavamo l'evento più rivoluzionario della storia: la vittoria della vita sulla morte. Suggestiva e solenne la benedizione del fuoco e l'entrata in chiesa delle candele accese e dei ceri di tutta la vallata, a significare l'unità delle parrocchie che vi partecipavano e la forza che da questa unità scaturisce.
È bello pensare che tante persone di parrocchie diverse, e della stessa vallata, riescano a condividere momenti così profondi, che grazie allo sforzo di tutti si possa gustare la gioia della presenza viva del Risorto. Dunque è proprio vero che la condivisione di sforzi, l'impegno e l'abbandono delle proprie piccole realtà per aprirsi all'altro fa miracoli e lo si vedeva dai volti di tutti, tutti erano gioiosi ed entusiasti di ciò che stavano facendo. Tutto era stato mirabilmente preparato e studiato, dai canti alle letture, tutti hanno fatto la loro parte con l'intento di fare cosa gradita alla comunità tutta ed in definitiva per rendere gloria a Dio. L'omelia ha evidenziato che se mettiamo come unico fulcro della nostra vita l'amore all'altro e al diverso, tutto si semplifica e Gesù risorto vive dentro e fuori di noi. Credo di aver ricevuto proprio un bel regalo quella sera: ancora una volta ho capito che se riusciamo ad impegnarci con amore per un fine comune, se uniamo le nostre forze e capacità, se usciamo da noi per dare spazio all'altro riusciamo ad avere la presenza viva del Risorto fra noi.

(Paola, Belluno)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

sabato 10 maggio 2008

Rocco racconta (al di sopra di tutto...)

Al di sopra di tutto vi sia la Carità. Con questo titolo l'amico diacono Rocco racconta qualcosa della sua esperienza durante la visita alle famiglie della parrocchia (le altre esperienze sono raccolte nella rubrica "Rocco racconta").


Subito dopo Pasqua io e il Parroco ci inoltriamo per la benedizione delle famiglie. Un’azione pastorale che ci fa incontrare le circa 6.000 persone della nostra parrocchia.
Mi dispongo con l'anima in modo che ogni persona che incontro sia un Gesù da amare; così inizia questo mio servizio, sapendo che con ognuno che incontro posso rinnovare il rapporto o farne nascere uno nuovo.
Le persone che avvicino sono parte di una popolazione che già ha sofferto parecchio e che non avendo una casa ed avendo un basso reddito è stata ammessa nelle case popolari. Qui nelle IACP si ritrovano sia quelli offesi per mafia, sia quelli che hanno offeso per mafia. Comunque un popolo in cerca... in cerca di Dio, sia gli uni, sia gli altri.
E così che bussando ad una porta mi risponde una signora con sette figli: mi spiega che due sono del primo marito, ammazzato per omonimia, gli altri sono nati dall'attuale convivente (qui non ci si sposa di nuovo per paura e allora si convive fino a quando...). Le leggi sull'onore si rispettano, ma come? Con la paura e la mortificazione. E poi ti chiedi: e la parità? quale? Il bisogno prevale su tutto, anche sull'etica, se ce n'è una. Questa signora ha una figlia di 20 anni, una splendida figlia che vuole uscire dal bunker dove si è cacciata per via di quel padre che non ha conosciuto. È molto arrabbiata, perché suo padre era un lavoratore e glielo hanno ammazzato, scambiato con un altro. Storie di mafia, ma qui diventa proprio storia sacra! Storia di una ventenne che crede, che ha incontrato un giorno Dio Amore e che adesso sta incominciando a fare la sua esperienza, iniziando proprio lì nella sua famiglia.
La madre racconta: “Mia figlia è quella che più di tutti ha pagato per questa esperienza di mio marito ammazzato e più di tutti è quella che soffre per il riscatto dei suoi fratelli. Cosa non farebbe per non far cadere nella trappola della mafia gli altri fratelli, e cosa non fa per aiutarli tutti! Tutto questo solo Dio lo sa”.
Fin qui il racconto, che continua con l'elencazione dei vari bisogni, che sono tanti. A pensarci veramente c'è ancora molta gente in mezzo a noi che soffre la "fame", e manca delle cose più elementari.
Davanti a tutto questo ho presente nell'anima una sola Persona, Gesù Crocifisso, che voglio incontrare per le strade di questo mondo, tentando di asciugare qualche lacrima e sapendo ciò che viene chiesto a me, diacono di questa parrocchia, che busso a quella porta, che passo per questa via, che accarezzo questa gente. Mi chiedo: "Non è forse questa la mia gente? Il popolo che Egli ama? Che Egli preferisce più degli altri? Non viene chiesto a me di credere a tutto questo? Qual è la mia fede? E se passasse Gesù per questa via, si sporcherebbe le mani?". A tutte queste domande non hai che un secondo per rispondere, non puoi perdere tempo. E così cerco di fare in modo che la carità trionfi sempre, quella carità che è al di sopra di tutto, quella carità che è Dio, quel Dio appeso non a due stuzzicadenti, ma a due travi... (e che travi!). Anche per me, incontrare queste persone è una sua continuazione, in questo luogo, in questo momento: non puoi scappare se sei cristiano... e io lo sono.
Un desiderio mi prende: seguirLo nelle vie del mio quartiere, in questo condominio e portare la Sua festa e l'accoglienza del Suo amore. Così un momento di dolore, di sconforto diventa un Suo momento, un momento di gioia. “Hai tramutato il mio lamento in danza!”. Alla scala dei bisogni si dà una priorità e pian piano si cerca di capire da dove iniziare.
La donna che ho di fronte intuisce che qui c'è il dito di Dio, che si è fermato a casa sua e gioisce insieme a me. Pian piano torna il sereno e la forza di continuare... È vita difficile, ma adesso esclama: “Con l'aiuto di Dio e della Parrocchia tutto sarà più facile, soprattutto continuare a sperare!”. Poi: "Cu ti mannau u Signori?".
Per me una sola considerazione: Tutto vince l'amore!
Sporcarsi le mani, essere il diacono del grembiule e della stola: prima del grembiule, poi di entrambi!

mercoledì 7 maggio 2008

Lavàti dalla Parola (2)


Continuo le riflessioni sull'omelia che Benedetto XVI ha pronunciato Giovedì Santo (20 marzo 2008) in occasione della Messa in Coena Domini.

Gesù non ha solo parlato, non ci ha lasciato solo parole. Egli dona se stesso. Ci lava con la potenza sacra del suo sangue, cioè con il suo donarsi "sino alla fine", sino alla Croce. La sua parola è più di un semplice parlare; è carne e sangue "per la vita del mondo" (Gv 6, 51).
Abbassarsi a lavare i piedi sporchi degli altri con l’acqua purificatrice della Parola è donare se stessi, “carne e sangue”: in altre parole è “farsi uno”, farsi prossimo, essere l'altro... Se sono l’altro, ho dato me stesso, non sono. Questa è la radice della diaconia: non essere, per essere (essere amore).

Il diacono, quale “ministro del calice”, incarna nella sua vita questo dono di sé “per la vita del mondo2, perché tutti siano l’un per l’altro dono di sé, contribuendo così, quale sacramento di Cristo, alla fraternità universale.
Possiamo scorgere nell'avvenimento della lavanda dei piedi due aspetti. I Padri hanno qualificato questa duplicità di aspetti della lavanda dei piedi con le parole “sacramentum” ed “exemplum”. “Sacramentum”: il mistero di Cristo nel suo insieme, dall'incarnazione fino alla croce e alla risurrezione: questo insieme diventa la forza risanatrice e santificatrice, la forza trasformatrice per gli uomini, diventa la nostra “metabasis”, la nostra trasformazione in una nuova forma di essere, nell'apertura per Dio e nella comunione con Lui. Questo nuovo essere deve poi trasformarsi in noi nella dinamica di una nuova vita.
Questo “essere” di Cristo, rappresentato nell’abbassamento della lavanda dei piedi, è la mia nuova forma di “essere”; il modo di vivere di Dio.
È Dio che si abbassa, che si “svuota”, donando tutto Sé: Dio si dona, non dà qualcosa. In questo donarsi di Dio noi non restiamo destinatari passivi. Egli ci gratifica come “partner” personali e vivi.
L'amore donato è la dinamica dell'"amare insieme", vuol essere in noi vita nuova a partire da Dio.
"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13, 34). Il "comandamento nuovo" consiste nell'amare insieme con Colui che ci ha amati per primo.
La grandezza di Dio consiste nel discendere, nell'umiltà del servizio, nella radicalità dell'amore fino alla totale auto-spoliazione.
La cosa nuova è il dono che ci introduce nella mentalità di Cristo.

Avere "gli stessi sentimenti di Cristo" che svuotò se stesso fino alla natura di servo (cf. Fil 2,5).
Questo "essere" di Cristo, questo suo annullarsi per amore, è diventato, per il dono di Dio, il mio "nuovo essere": essere per gli altri. Come Gesù; essere "preso dentro", incorporato a Lui, essere Lui, per essere dono agli altri; e fare il dono di sé agli altri, affinché anch'essi siano "uno" in noi; e Dio sia tutto in tutti, già fin d'ora. Questo è essere diacono!
Man mano che nasce e si sviluppa questa fisionomia nuova nel prossimo, nella comunità, io scompaio: io sono gli altri, perso negli altri, anima della "nuova relazionalità" all'interno della comunità, segno sacramentale di Colui che è venuto per servire.
Il sacramento, pur essendo una realtà oggettiva, che ha valore in sé, rimanda sempre ad una realtà più grande, che lo fonda ed è la sua ragion d'essere.
Esso è mezzo, via, per raggiungere il fine: la mediazione, raggiunto il fine, scompare. E la realtà è l'incontro col Padre, nell'unità con i fratelli, fatti "figli", anzi fatti "figlio" (perché "uno"), nel Figlio.
La lavanda dei piedi. Il Signore lava a noi sempre di nuovo i piedi sporchi per poter sederci a tavola con Lui.
Tutto questo diventa "exemplum": "Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri" (Gv 13, 14).

lunedì 5 maggio 2008

Lavàti dalla Parola (1)

In questo periodo di Pasqua ho fatto oggetto della mia meditazione l'omelia che Benedetto XVI ha pronunciato Giovedì Santo (20 marzo 2008) in occasione della Messa in Coena Domini, il cui contenuto, incentrato sulla lavanda dei piedi, ha un valore che va oltre questo periodo liturgico ed investe interamente il mio essere diacono.


"Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1) È arrivata l'"ora" di Gesù… Ciò che costituisce il contenuto di questa ora, Giovanni lo descrive con due parole: passaggio (metàbasis) ed agape-amore.
Il passaggio è una trasformazione. Egli porta con sé la sua carne, il suo essere uomo. Sulla Croce, nel donare se stesso, Egli viene come fuso e trasformato in un nuovo modo d'essere, nel quale ora è sempre col Padre e contemporaneamente con gli uomini. Trasforma la Croce, l'atto dell'uccisione, in un atto di donazione, di amore sino alla fine. Mediante il suo amore la Croce diventa "metabasis", trasformazione dell'essere uomo nell'essere partecipe della gloria di Dio. In questa trasformazione Egli coinvolge tutti noi, trascinandoci dentro la forza trasformatrice del suo amore al punto che, nel nostro essere con Lui, la nostra vita diventa "passaggio", trasformazione.
Sembra come di essere travolti in questo "vortice" d'amore divino; come risucchiati nell'intimo stesso di Dio, in questo donarsi di Dio a Se stesso, del Padre e del Figlio; essere come immersi in questo dono di reciprocità delle divine Persone, nello Spirito Santo, e respirare l'aria del Paradiso.

Questo processo essenziale dell'ora di Gesù viene rappresentato nella lavanda dei piedi in una specie di profetico atto simbolico.
Gesù depone le vesti della sua gloria, si cinge col "panno" dell'umanità e si fa schiavo. Lava i piedi sporchi dei discepoli e li rende così capaci di accedere al convito divino al quale Egli li invita.
Egli ci rende puri mediante la sua parola e il suo amore, mediante il dono di se stesso. "Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunziato", dirà ai discepoli nel discorso sulla vite (Gv 15, 3). Sempre di nuovo ci lava con la sua parola. Sì, se accogliamo le parole di Gesù in atteggiamento di meditazione, di preghiera e di fede, esse sviluppano in noi la loro forza purificatrice, (
di noi che siamo ricoperti di sporcizia multiforme, di parole vuote, di pregiudizi, di sapienza ridotta ed alterata).
Se accogliamo le parole di Gesù col cuore attento, esse si rivelano veri lavaggi, purificazioni dell'anima, dell'uomo interiore.
È, questo, ciò a cui ci invita il Vangelo della lavanda dei piedi: lasciarci sempre di nuovo lavare da quest'acqua pura, lasciarci rendere capaci della comunione conviviale con Dio e con i fratelli.

Si coglie il legame strettissimo tra Diaconia e Parola di Dio. La lavanda dei piedi è stata posta a simbolo della Diaconia di Gesù, e quindi di ogni diaconia, soprattutto di quella ordinata: infatti, la nostra icona, di diaconi, è la lavanda dei piedi.
Noi spesso ci fermiamo all'atto del lavare, del fatto che Gesù si fa servo… e quindi al fatto che dobbiamo farci servi gli uni degli altri: servire il prossimo, qualsiasi servizio, sull'esempio di Gesù. Questo è vero.
Ma il servizio che Gesù mette in atto è il "lavare i piedi", cioè renderci puri, toglierci il velo dell'immondizia che abbiamo, quella che accumunliamo nel nostro contatto col mondo, con le miserie che ci circondano, con le nostre personali miserie.
L'acqua purificatrice è la Parola che Gesù ci ha lasciato; è Lui stesso, Parola che dà vita, che ha la vita in sé e che può diventare la mia vita se mi lascio assimilare da essa, se conformo la mia vita alla Sua.
Essere Parola viva significa essere lavati da Gesù, accogliere docilmente il Suo servizio di abbassamento, il Suo cingersi col "panno" della mia umanità…
L'acqua che io dono ai fratelli per "lavare i loro piedi" è la Parola di Gesù, fatta mia parola, mia vita.


sabato 3 maggio 2008

La Sua presenza

4 maggio 2008 – Ascensione del Signore (A)

Parola da vivere

Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20)


Dopo la risurrezione di Gesù il mondo si è unificato: non c'è più un Cielo, nell'immaginario collettivo al di là delle nuvole, che contiene Dio e la terra dove Gesù è venuto ad abitare, casa dei mortali. Ora tutta la realtà è un unico Cielo che abbraccia tutto l'universo e ha i confini infiniti della Trinità. Gesù, tornando al Padre ci porta con sé. La vecchia umanità è morta con Cristo sulla croce, la nuova è Gesù risorto, glorioso.
Quello che in Gesù è già realizzato, per noi resta da completare con il nostro continuo morire e risorgere con Lui, attraverso l'Amore di cui siamo stati fatti capaci, nello Spirito.
"Completo quello che manca alla passione di Cristo!" dice san Paolo.
Come? Amando in ogni attimo del mio tempo: vivendo la Parola, divento Gesù. Amando il fratello, incontro Gesù. Nella comunione di amore Gesù si fa presente in quelli che si amano nel suo nome. Nell'Eucaristia la nostra stessa carne si trasforma nella carne di Gesù, come pegno ed esperienza dell'eternità d'amore.
Oggi Gesù, salendo al cielo, nella liturgia ci dice:
"Sarete miei testimoni!" cioè farete l'esperienza che ormai sono sempre con voi, fino alla fine del mondo.


Testimonianza di Parola vissuta


Più passa il tempo, più mi accorgo che il servizio in parrocchia è proprio bello ed è estremamente vero il detto: "è donando che si riceve"; io posso testimoniare che nei vari incontri con le persone ricevo sempre molto.
Riporto un avvenimento, recentemente accaduto, che si è impresso particolarmente nel mio animo. Abitualmente andavo a trovare un'anziana signora, molto accogliente e simpatica. I nostri dialoghi erano sempre vivaci e piacevoli, anche profondi, ma rimaneva in lei un rifiuto netto nei riguardi dei sacramenti. Durante la benedizione delle famiglie, passai da lei con un giovane sacerdote. Ci accolse con gioia e quasi le sembrò di vedere nel sacerdote un suo nipote. Avviò con lui una prolungata conversazione e gli raccontò tutta la sua vita... tutto quello che serbava nel cuore. Benché io tentassi di uscire per lasciarla più libera non ci riuscii, mi prese la mano e volle assolutamente che le rimanessi accanto. Al termine del colloquio-confessione, dopo l'assoluzione, ricevette la Comunione con grande fervore e tanta commozione. Era felice! Ripeteva di sentirsi un'altra persona, leggera, gioiosa. Aveva incontrato Cristo!
Commuove davvero constatare come il Signore si serva di semplici incontri per consolare le anime. È questa per noi una grande ricompensa per un piccolo servizio.


(S.M., Italia)


(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)