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giovedì 4 settembre 2008

Anche in alto mare il Signore ti trova

Nel numero del 20 agosto 2008 del settimanale diocesano di Trieste, "Vita Nuova", nell'inserto speciale "Senza sosta corre la nave" (dove si raccontano le testimonianze dei marittimi per mesi lontani da casa) ho letto anche la testimonianza dell'amico diacono Liberio Derossi, ora macchinista in pensione.
Abbiamo vissuto insieme il periodo della nostra preparazione al diaconato; il ricordo è sempre vivo, quando fra uno sbarco e l'altro, frequentava i corsi e dava gli esami. Abbiamo percorso insieme un tratto significativo della nostra vita…
Riporto uno stralcio dell'articolo sulla sua testimonianza.


«Amavo moltissimo la mia professione» racconta senza rimpianti, «cercavo sempre di dare il meglio. Ho navigato dai diciotto ai cinquantacinque anni. Eppure, il giorno in cui sono andato in pensione, ho promesso di smettere completamente». Sulle navi si è svolta la gran parte della sua vita. Anche sua moglie l’ha conosciuta su una nave: era una studentessa cilena che veniva in Italia con una borsa di studio. Dopo poco più di un anno, nel 1965, si sposarono, potendosi vedere pochissimo. Tutti dubitavano, eppure stanno ancora insieme, dopo aver avuto anche tante difficoltà. La famiglia è un punto saldo nella vita d’un marittimo: era raro passasse un giorno senza che sentisse l’esigenza di scrivere alla moglie. E quanta era l’ansia di arrivare in un porto per vedere se c’era posta! Il primo regalo fatto a sua moglie fu una borsa da viaggio.
«La nostra è una vita aneddotica», commenta ricordando capitani, cappellani ed equipaggi; gli sfuggono le date, perché in mare le stagioni sono una cosa relativa, specie sulle tratte transatlantiche, a basse latitudini, come faceva lui, verso il Sud America. Ricorda certe animosità tra personale di coperta e macchinisti. Ma saliti a bordo è impossibile — afferma — non percepire la solidarietà che affratella gli uomini di mare: «Tutti per uno ed uno per tutti». È così quando si è consapevoli di quanto si è piccoli nella vastità dell’oceano. «La più grande cattedrale in cui sono stato è la notte nell’Atlantico». Il cielo stellato, immenso. Lo sciabordio delle onde, il respiro ritmato dei motori, la brezza. Si svegliava presto per vedere le albe. Poi ricorda i tramonti tropicali: dalla sommità del sole morente si alza misteriosamente un raggio verde. Una volta ha visto un iceberg, in viaggio verso gli Stati Uniti: «Non è bianco. È celeste intenso e brilla in mille fosforescenze come un grosso diamante».
Un uomo di mare non può essere ateo: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate...», sussurra assorto recitando il salmo 8. Maturò così la sua vocazione al diaconato: una volta, sotto Natale — non c’era il cappellano —, preparò un foglietto con le letture del giorno ed un commento, che infilò sotto le porte delle cuccette dell’equipaggio. La cosa piacque e divenne un impegno fisso. La Parola va seminata ovunque, darà frutto. «Non ci si può nascondere, anche in alto mare il Signore ti trova».

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