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mercoledì 25 giugno 2008

Gli zingari, miei prossimi

Ho avuto occasione di leggere la lettera aperta, che il CCIT (Comitato Cattolico Internazionale Zingaro), dopo il loro incontro internazionale (dal titolo: "Essere artigiani di Pace di fronte a un contesto antizingari crescente") tenutosi a Trogir (Croazia), ha inviato al Presidente della CEI, card. Bagnasco.
(vedi anche il servizio della Comunità di Sant'Egidio)

Riporto alcuni passi.

Come nel suo passato, questa popolazione, ancora oggi, è vittima di un rifiuto e di una povertà inquietanti. Questo giudizio è ampiamente confermato da diversi rapporti ufficiali e seriamente oggettivi.
Di fatto, la situazione in Italia, con l'evolversi di reazioni sempre più violente e ostili caratterizzate da irrazionalità, è particolarmente grave al punto che sembra rispondere a un disegno precostituito. Non denunciare le ingiustizie, ne la deriva sociale che esse creano, costituirebbe un delitto di cui non ci sentiamo di portarne la responsabilità sia come battezzati che come "artigiani della pace".
Per questo sentiamo il dovere tassativo e inderogabile di non tacere!
È profondamente ingiusto l'imputare il comportamento inadeguato di qualche Zingaro all’insieme della comunità...
È profondamente ingiusto che siano diffuse attraverso strumenti politici di primo piano notizie false e tendenziose, confermate e divulgate dai media, senza che alcuna voce, altrettanto autorevole, senta il dovere di approfondirne la veridicità e richiami alla riflessione seria e alla oggettività delle notizie.
È profondamente ingiusto prendere "misure di sicurezza" che rifiutano questa popolazione in quanto tale.
È profondamente ingiusto assistere passivamente ad atti di violenza in terreni di stazionamento che, anche se tutti sanno essere luoghi di vita subumana e abbandonati a se stessi, sono pur sempre e comunque luoghi di vita familiare intensa.
È profondamente ingiusto che una maggioranza permetta, con il suo silenzio, agli "integralisti" di diffondere disprezzo, diffidenza, paura e odio e di "ripulire" ciò che ci disturba. Domani la stessa maggioranza si laverà le mani e si giustificherà affermando che è stata obbligata a ripulire la sporcizia lasciata da altri.

In queste tragiche circostanze, noi non riusciamo a nasconderci dietro un fragile rifugio chiamato prudenza che alla fine provocherà una grave ferita alla giustizia; noi dobbiamo, al contrario, osare di assumere, tutti insieme, il rischio che comporta il messaggio di Gesù Cristo.



Di fonte a queste povertà cosa mi suggerisce la mia coscienza di diacono?
Non posso rimanere indifferente, né demandare ad altri quello che spetta fare a me, come diacono e come persona...
Il compito del diacono, penso, sia quello non solo di rimboccarsi lui stesso le maniche, ma soprattutto quello di essere fermento di un'anima nuova, accogliente, all'interno della comunità, partendo da una personale conversione.

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